Qualche notizia che difficilmente troverete sui mass-media internazionali

Bambini palestinesi e siriani curati gratis in Israele, e il giornalista giordano che dice: Magari le galere arabe fossero come i penitenziari israeliani

Akiva Tamir, direttore di Save a Child’s Heart presso il Wolfson Medical Center, in Israele

Un gruppo di medici israeliani che ha salvato migliaia di bambini cardiopatici sia palestinesi che di altri 57 paesi è stato insignito la scorsa settimana alle Nazioni Unite dell’UN Population Award per il salvataggio di giovani vite, in particolare nei paesi devastati dalla guerra e in via di sviluppo. “La nostra attività è internazionale, non politica e non religiosa” ha affermato Sion Houri, co-fondatore dell’organizzazione “Save a Child’s Heart” (Salva il cuore di un bambino), con sede a Holon, poco a sud di Tel Aviv, che ha ricevuto l’onorificenza martedì insieme ai colleghi Lior Sasson e Akiva Tamir. L’organizzazione no-profit, finanziata principalmente da donatori privati con alcuni contributi governativi, ha eseguito interventi chirurgici su quasi 5.000 bambini da quando è decollata vent’anni fa. Tra questi, oltre 2.000 bambini palestinesi provenienti da Cisgiordania e striscia di Gaza, e 300 da Iraq e Siria. Gli altri provenivano da Africa, Sud America, Europa, Asia e altri paesi in tutto il Medio Oriente. L’organizzazione esegue gli interventi su base volontaria senza farsi pagare dai pazienti. Attualmente sono 44 i bambini in cura presso l’Edith Wolfson Medical Center di Holon. I primi pazienti, negli anni ’90, provenivano dall’Etiopia. Tra loro, un ragazzo di 15 anni che viveva in strada con una condizione cardiaca potenzialmente letale. Dopo il recupero, il ragazzo è tornato a casa e successivamente ha aperto una scuola per bambini senzatetto. E di recente ha accompagnato in Israele un giovane cardiopatico perché fosse operato al cuore dalla stessa organizzazione che lo aveva salvato. “Molti diranno che sono un ingenuo – ha dichiarato Sasson – ma noi pensiamo che curare un bambino con una malattia cardiaca sia come piantare un seme di pace”. Sasson ha spiegato che questi bambini, benché affetti da patologie cardiache curabili, “per la maggior parte sono destinati a morire prima dei 20 anni a causa della mancanza di strutture e di medici” nei loro paesi d’origine. I medici di “Save a Child’s Heart” stanno ora formando nuovi team di professionisti destijati a operare in Cisgiordania, Etiopia, Kenya, Cina, Romania, Moldavia e Tanzania. (Da: Israel HaYom, 1.7.18)

Unità medica delle Forze di Difesa israeliane all’opera al confine con la Siria

Sei civili siriani gravemente feriti nei combattimenti in corso nella parte meridionale del paese tra ribelli e forse del regime di Damasco sono stati trasferiti lo scorso fine settimana dalle Forze di Difesa israeliane in ospedali all’interno di Israele. Tra i feriti, quattro bambini fra i 6 e i 14 anni, le cui famiglie risultano tutte uccise nei combattimenti. Venerdì notte le unità mediche del Comando Nord delle forze israeliane sono state chiamate alla recinzione di confine nella parte meridionale delle alture del Golan dove hanno prestato i primi soccorsi d’emergenza ai siriani feriti. Poco dopo, con una complessa operazione transfrontaliera, i soldati della 366esima Divisione hanno trasferito i feriti in ospedali del nord d’Israele (Vedi foto e video su YnetNews).

Durante tutta la guerra civile siriana, le Forze di Difesa israeliane hanno garantito assistenza medica vitale a civili siriani presi nel fuoco incrociato degli scontri, sempre evitando di interferire nei combattimenti. Secondo i dati del portavoce militare, dal 2013 le Forze israeliane hanno portato in ospedali israeliani oltre 3.500 uomini, donne e bambini siriani feriti per esservi curati gratuitamente. Dal 2016, oltre 1.300 bambini malati siriani sono stati portati in Israele per cure di un giorno. Un nuovo ospedale da campo, creato dalle Forze israeliane in collaborazione con alcune organizzazioni umanitarie internazionali nel Golan meridionale, ha curato circa 6.000 pazienti dalla sua apertura nell’agosto 2017. In totale oltre 4.800 siriani, per la metà bambini, hanno ricevuto cure mediche in Israele. Giovedì scorso, inoltre, le Forze di Difesa israeliane hanno consegnato circa 60 tonnellate di aiuti umanitari ai civili sul versante siriano delle alture del Golan. Durante l’operazione speciale, che si è svolta di notte, sono stati trasferiti in Siria, attraverso quattro diversi passaggi di confine, circa 300 tende, 13 tonnellate di cibo, 15 tonnellate di alimenti per l’infanzia, tre pancali di attrezzature mediche e medicinali e circa 30 tonnellate di vestiti e scarpe (vedi foto e video su Times of Israel).

Nel frattempo, a causa dell’approssimarsi dei combattimenti interni siriani alla zona di confine con Israele, il Comando settentrionale delle Forze di Difesa israeliane ha deciso domenica di rafforzare le presenza sul Golan di forze corazzate e d’artiglieria. Aprendo la riunione settimanale del governo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato: “Continueremo a proteggere i nostri confini. Continueremo a garantire aiuti umanitari, ma non permetteremo a nessuno di entrare nel nostro territorio. Sono costantemente in contatto con il Cremlino e la Casa Bianca su questo tema”. I militari israeliani ritengono che Assad, quando avrà completato la conquista della regione di Deraa, invierà forze per riconquistare il Golan siriano, sostenute da milizie sciite filo-iraniane. Israele ha più volte chiarito con russi e americani che non intende accettare alcuna presenza di forze straniere sul Golan siriano in violazione degli Accordi di disimpegno del 1974. (Da: YnetNews, 30.6 e 1.7.18)

Il giornalista giordano Yousef Alawnah ha scontato 30 mesi in un carcere israeliano per contrabbando di esplosivi. Successivamente ha scritto per molti anni per la stampa kuwaitiana, finché nel 2016 è stato espulso, a quanto pare per aver criticato il leader sciita iracheno ayatollah Al-Sistani.
Ecco cosa ha detto lo scorso 12 giugno, in un’intervista all’emittente saudita 24 TV:

Yousef Alawnah: “Mi vergogno del confronto tra le prigioni israeliane e quelle arabe. Ci sono 30-40mila libri nella biblioteca di un carcere israeliano”.
Intervistatore: “In arabo?”
Yousef Alawnah: “Sì, certo. Hanno tutti i libri importanti, libri di storia, libri contro Israele e contro il sionismo… C’è persino il Mein Kampf di Hitler. In prigione abbiamo avuto l’opportunità di farci una cultura, leggere e studiare molte cose. La prigione era come un istituto d’istruzione. Certo, i primi detenuti avevano fatto sacrifici, ma rispetto alle prigioni arabe, mi dispiace dirlo… Non sono solo le carceri. Si consideri cosa si sono fatti a vicenda gli arabi. Se gli ebrei occupassero la Siria o l’Iraq, farebbero tutte quelle cose? Forse che gli ebrei hanno ucciso tanti siriani, palestinesi, egiziani, giordani, libanesi e altri quanti ne hanno uccisi le milizie iraniane a Mosul o ad Aleppo? No […] Forse che i carcerati sunniti in Iraq hanno libri da leggere? I prigionieri detenuti nelle segrete del regime siriano… C’è una prigione in Siria che ha sopra un cimitero. La galera è sotterranea, e tra questa galera e la superficie c’è uno strato di terreno in cui le persone vengono sepolte, e quando i carnefici scavano per seppellirle, quelli sotto lo sanno. Pensa che abbiano libri?”. (Da: Memri, 12.6.18)

Ha scritto Kheir Allah, sul giornale panarabo edito a Londra Al-Arab: «A circa otto chilometri dal centro di Damasco c’è un grande campo palestinese chiamato Yarmouk. Fondato nel 1957 per ospitare profughi palestinesi, il campo si trasformò rapidamente nell’epicentro della comunità palestinese in esilio che viveva in Siria, nonché di altre comunità di sfollati. Purtroppo, ha anche subito una massiccia distruzione.

Pattuglia israeliana al confine con la Siria, sul Golan

Nell’aprile 2015 le forze dello Stato Islamico sono entrate nel campo attaccando i ribelli dell’Esercito Libero siriano che vi si erano posizionati. Nel giro di pochi giorni il campo fu completamente conquistato dai miliziani dell’ISIS, che iniziarono a giustiziare i cittadini per le strade. Si stima che oltre 10.000 palestinesi siano fuggiti dal campo, mentre centinaia di altri sono stati uccisi. Il campo venne posto sotto durissimo assedio per molti mesi. Si tratta di una delle più grandi tragedie della storia palestinese, che dovrebbe suscitare condanne e denunce ovunque. Eppure il resto del mondo, e persino la dirigenza palestinese, sono rimasti in silenzio. Il caso peggiore è quello del capo di Hamas, Ismail Haniyeh, che si è spinto al punto di definire il regime siriano “custode dei diritti palestinesi”. Facendo una dichiarazione così vergognosa, Haniyeh ha svelato quanto Hamas non si preoccupi affatto dei diritti dei palestinesi. E poi, cosa ancora più preoccupante, se Hamas se ne infischia dalle condizioni dei profughi palestinesi all’estero, perché dovrebbe preoccuparsi di coloro che vivono nella striscia di Gaza? Infatti, da quando dieci anni fa ha preso il controllo di Gaza, Hamas non ha fatto assolutamente nulla per migliorare le condizioni di vita della popolazione che controlla. L’unica cosa che la popolazione di Gaza ha visto, sotto il dominio di Hamas, è l’aumento della miseria e dell’isolamento. Hamas ha scelto di allinearsi con l’Iran e la Siria, tagliando fuori in questo modo la striscia di Gaza non solo dalla Cisgiordania, ma anche dal resto del mondo. La spaccatura fra Hamas e Autorità Palestinese, unita all’insistenza di Hamas per affiliarsi ai peggiori regimi della regione, non ha portato altro che morte e distruzione alla popolazione palestinese». (Da: themedialine.org, 25.6.18)