Qualche speranza, molto disincanto

In attesa dei negoziati diretti a Washington.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_2918A proposito dell’avvio, il 2 settembre a Washington, di negoziati diretti senza precondizioni fra Israele e palestinesi, come richiesto dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Ha’aretz scrive: «Presto sarà chiaro a tutti se la mossa di Netanyahu è solo una manovra ad effetto volta solo a guadagnare tempo e alleggerire le critiche internazionali circa l’operato di Israele nei territori; o se invece Netanyahu è davvero pronto per un compromesso che conduca alla creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele». Secondo l’editoriale, è imperativo prolungare il congelamento delle costruzioni (ebraiche) nei territori, se si vuole che i colloqui abbiano successo. E conclude: «Se la sospensione delle costruzioni era necessaria per far partire i colloqui, essa deve chiaramente continuare mentre i colloqui sono in corso. Se Netanyahu vuole che le sue dichiarazioni per la pace vengano credute, deve dimostrarlo coi fatti sul terreno». (23.08.10)

Ma’ariv, ricordando che manca solo un mese alla scadenza del congelamento degli insediamenti decretato dal governo israeliano, scrive: “Appena prima dell’avvio di colloqui diretti fra Israele e palestinesi, Netanyanhu, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il presidente Obama si ritrovano al centro di una bella complicazione diplomatica». Secondo l’editoriale, un drammatico dietrofront come quello che si avrebbe con l’apertura dei negoziati e la loro subitanea implosione dopo neanche un mese dall’inizio, potrebbe seppellire definitivamente la reputazione dell’amministrazione Usa come quella dell’adulto responsabile che sa quel che fa». (25.8.10)

Yisrael Hayom fa rilevare innanzitutto un articolo scritto da Mishari al-Zaidi su al-Sharq al-Awsat nel quale «l’autore scrive, con sorprendete onestà, del desiderio del mondo arabo di sostenere il conflitto israelo-palestinese». L’editoriale rafforza il concetto ricordando l’intervista rilasciata sabato scorso dal presidente siriano Bashar Assad nella quale il dittatore di Damasco afferma e ribadisce che «per il suo paese Israele rimarrà sempre un nemico». Nonostante tutto questo, l’editoriale di Yisrael Hayom manifesta la convinzione che sia Israele sia i palestinesi possano superare le circostanze e porre fine al conflitto. «Noi sappiamo come risolverlo – conclude – Quando i leader delle due parti presenteranno la soluzione alle loro popolazioni, si guadagneranno una maggioranza che li sorprenderà». (25.8.10)

Yediot Aharonot ritiene che «tutti e sei i partecipanti (Barack Obama, Benjamin Netanyahu, Abu Mazen, Hosni Mubarak, re Abdullah II e Tony Blair) si siederanno e parleranno di ciò che realmente li preoccupa, dopodiché troveranno immediatamente un denominatore comune: gli ayatollah iraniani e la conquista di territori moderati da parte dei Guardiani della Rivoluzione. Uno stato palestinese? – si domanda l’editoriale – ma non fateli ridere tutti e sei». (23.08.10)

Commenta il Jerusalem Post: «I colloqui fra Israele e palestinesi non sono ancora iniziati e già il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) minaccia di bloccarli. In una lettera spedita domenica scorsa al Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu), Abu Mazen avverte che, se le costruzioni (ebraiche) continueranno in una qualunque area al di là della Linea Verde (la ex linea armistiziale ‘49-‘67 fra Israele e Giordania), lui si ritirerà dai negoziati. Abu Mazen dà spesso a intendere d’essere pronto a quello scambio territoriale che faciliterebbe il raggiungimento di un accordo definitivo sancendo l’integrazione in Israele di alcuni blocchi di insediamenti, insieme ai quartieri ebraici di Gerusalemme est sui quali già Israele rivendica la sua sovranità (in cambio di equivalenti porzioni di territorio israeliano da annettere al futuro stato palestinese). Ciò nonostante, il presidente dell’Autorità Palestinese pretende una moratoria totale delle attività edilizie ebraiche oltre la ex linea armistiziale, senza fare alcuna distinzione fra queste aree e gli insediamenti più isolati: un chiaro segno della sua perdurante intransigenza. Abu Mazen ha già sprecato senza muovere un dito nove mesi di congelamento degli insediamenti: una condizione senza precedenti per incoraggiare un autentico tentativo di pacificazione. Tale comportamento non è certo foriero di grande ottimismo per i colloqui a venire». (24.08.10)

(Da: Ha’aretz, Ma’ariv, Yisrael Hayom, Yediot Aharonot, Jerusalem Post, 23-25.8.10)