Quale che sia l’esito del voto, il 17 marzo inizia un processo

In attesa dei risultati definitivi delle elezioni del 2 marzo, non si deve dimenticare che è già in moto un meccanismo giudiziario indipendente dalle urne

Di Yonah Jeremy Bob

Yonah Jeremy Bob, autore di questo articolo

Le sorti politiche dello stato d’Israele si sono giocate nelle elezioni di ieri. Con i sondaggi che fino a pochi giorni fa prevedevano ancora una volta un testa a testa fra Gantz e Netanyahu, al momento in cui scriviamo l’incertezza è massima (qui i primi risultati parziali, ndr).

Tuttavia, una cosa certa c’è. Il 17 marzo, tra due sole settimane, inizierà il processo a carico di Benjamin Netanyahu, facendone il primo ministro della storia d’Israele a sostenere un processo penale mentre è in carica (comunque vadano le cose, a quella data non sarà stato ancora varato un nuovo governo). Lasciate perdere il fatto che le prime inchieste su Netanyahu iniziarono nel 2016 e hanno impiegato un’eternità per arrivare a questo punto. Quello che fra due settimane prenderà le mosse è un processo vero e proprio. Ed essendo già stata giocata a gennaio la carta dell’immunità, a questo punto niente e nessuno può impedire alla macchina di mettersi in moto. E indipendentemente da chi vince le elezioni, il processo alla fine produrrà dei risultati decisivi per Netanyahu e per il paese.

Come sarà l’udienza del 17 marzo? Dopo aver sottolineato l’importanza dell’evento, e il fatto che i suoi effetti finali non potranno essere elusi, la verità è che il 17 marzo in se stesso non sembrerà granché. Di solito il giorno d’apertura di questi processi complicati è in gran parte occupato dagli avvocati che si battono per una serie di questioni procedurali. Il vero cuore del processo con testimoni, obiezioni e tutto il loro corollario, inizierà probabilmente a metà o verso la fine del 2020. Uno dei motivi per cui vi è tanta incertezza su questo calendario è che Netanyahu è un primo ministro in carica e può invocare tutta una serie di emergenze per ritardare le udienze.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla Knesset

Fino ad oggi il tribunale si è mosso molto lentamente con questo caso: ha aspettato dal 28 gennaio, quando gli è stata formalmente presentata l’incriminazione, fino al 17 marzo per tenere anche solo la prima udienza tecnica. Così facendo, i giudici hanno fatto capire che il timore di interferire con i processi elettorali giustifica un ritardo nella tabella di marcia. L’Alta Corte di Giustizia aveva avanzato la stessa motivazione quando aveva spiegato come mai non si sarebbe pronunciata su una petizione volta a interdire Netanyahu prima delle elezioni. Quindi i giudici daranno probabilmente più tempo a Netanyahu per prepararsi al processo, in base all’idea che dopo il 2 marzo sarà impegnato nelle trattative per formare un governo. Inoltre, in passato lo stesso Netanyahu ha guadagnato tempo apportando modifiche alla sua squadra legale e altre mosse simili cui potrebbe ricorrere di nuovo.

Una volta avviato, il processo potrebbe offrire un spettacolo senza precedenti. Potrebbero essere chiamati a testimoniare l’ambasciatore d’Israele negli Stati Uniti Ron Dermer e l’ex direttore del Mossad Tamir Pardo. Così come saranno probabilmente convocati come testimoni il numero due di Blu-Bianco, Yair Lapid, il ministro della pubblica sicurezza Gilad Erdan e un inventario completo dei più alti consiglieri di Netanyahu, tra cui tre che sono diventati testimoni a carico. Lo stesso Netanyahu sarà tenuto a rispondere a domande difficili circa i suoi comportamenti in un’arena in cui governano le regole della procedura penale, assai diverse da quelle dei video su Facebook o anche delle interviste ai mass-media. Questa fase del processo potrà influire sulla sua statura politica, se sarà ancora primo ministro o comunque impegnato in politica? Difficile a dirsi. Il processo comporterà sicuramente immagini poco lusinghiere e lo distoglierà, in termini di tempo e messaggi, dai gravi problemi nazionali economici o di sicurezza. Tuttavia Netanyahu ha una porzione irriducibile del paese che lo sostiene, così come l’aveva l’ex primo ministro Ehud Olmert: fino al giorno della condanna (a partire dal 2009 Olmert, già dimissionario da primo ministro, venne processato e condannato per reati di corruzione commessi quando era sindaco di Gerusalemme e ministro del commercio ndr).

Per quanto riguarda il verdetto, probabilmente bisogna aspettarselo tra la metà del 2021 e la metà del 2023. L’incertezza dipende dalla strategia difensiva di Netanyahu, che potrebbe puntare a risolvere il processo il più velocemente possibile nella speranza di togliersi questa spada di Damocle dalla testa oppure (opzione più probabile) a tirarlo più in lungo possibile per ritardare l’eventuale condanna, rimanendo nel frattempo in carica. Un’eventuale condanna potrebbe rappresentare la fine politica di Netanyahu. Se il verdetto fosse di condanna, la sentenza potrebbe essere emessa tra l’inizio del 2022 e la fine del 2024, verosimilmente tra sei e 15 mesi dopo il verdetto. Il verdetto Olmert del marzo 2014 divenne sentenza nel maggio 2015. Un’eventuale sentenza detentiva probabilmente diventerebbe operativa tra la metà del 2022 e la metà del 2025, da tre a nove mesi dopo la sua formulazione. La sentenza Olmert venne emessa a maggio 2015, ma l’appello alla Corte Suprema ritardò l’inizio della sua detenzione fino a febbraio 2016.

In conclusione, le elezioni di lunedì 2 marzo sono sicuramente cruciali. Ma non si deve dimenticare che sono all’opera meccanismi giuridici che focalizzeranno l’attenzione del paese nel 2020, e che potrebbero determinarne il destino politico indipendentemente dai risultati di lunedì.

(Da: Jerusalem Post, 2.3.20)