Quali sono le vere intenzioni di Abu Mazen?

Impossibile che l’attentato che ha ucciso Meir Hai sia stato fatto a sua insaputa

di Moshe Elad

image_2707L’imboscata terroristica di giovedì scorso nella quale è stato ucciso l’israeliano Meir Hai Avshalom in Samaria (Cisgiordania settentrionale) e la successiva eliminazione da parte delle Forze di Difesa israeliane della cellula terrorista responsabile dell’attentato è un esempio di come l’Autorità Palestinese in Cisgiordania si comporti secondo sconcertanti standard che suscitano non pochi interrogativi riguardo alla sua serietà. Si tratta di standard che non sono compatibili con un’entità che proclama giorno e notte il proprio desiderio di pace. Tutti coloro che si sentivano rincuorati dal fatto che la normalizzazione venisse lentamente ripristinata in Cisgiordania dovrebbero capire, piuttosto, il modus operandi complessivo dell’Autorità Palestinese: costruire nuovi quartieri di lusso, incoraggiare il turismo e una “intifada culturale” non sono sostituiscono affatto la “lotta armata”. L’Autorità Palestinese, per dirla in parole semplici, fa fatica a rinunciare al terrorismo.
Il retaggio terroristico di Yasser Arafat permea i quadri dell’organizzazione anche sotto i suoi successori: il “progredito” Mahmoud Abbas (Abu Mazen) in doppiopetto e il “tecnocrate americano” primo ministro Salam Fayyad apparentemente affaccendato a riabilitare la Cisgiordania. Durante il recente congresso di Fatah a Betlemme, col pieno accordo dei suoi due maggiori leader è stata pubblicata una dichiarazione riassuntiva secondo cui Fatah non abbandonerà la lotta armata. Nessuno di loro si è opposto né ha ripudiato il terrorismo. Sono stati gli osservatori israeliani che si sono affrettati a interpretare la dichiarazione come un mero atto di pubbliche relazioni rivolto puramente a scopi interni o come “parole di circostanza” di Abu Mazen indirizzate alla popolazione dei territori allo scopo di preservare l’equilibrio delle minacce l’equilibrio della minacciosità con Hamas. Gli osservatori sostenevano che Abu Mazen sta perdendo il controllo della piazza palestinese perché Hamas, fra l’altro, vince nell’opinione pubblica sulla questione della scarcerazione dei detenuti. Allo scopo di riguadagnare il controllo, Abu Mazen doveva agire rapidamente per ripristinare l’equilibrio.
Stiamo non è che stiamo nuovamente prendendo in giro noi stessi?
La traduzione nei fatti del concetto di “lotta armata” è l’assassinio di Meir Hai, e la progettata uccisione di altri israeliani un po’ in tutta la Cisgiordania. Nella realtà attuale non c’è alcuna possibilità che l’imboscata sia stata condotta senza che Abu Mazen lo sapesse e senza la sua autorizzazione operativa e finanziaria, anche se con un “benestare circostanziato”.
Obama, Sarkozy e Brown non hanno nessuna fretta di parlare di questo specifico incidente occorso in Samaria perché per loro è più conveniente attenersi all’idea che Abu Mazen “non è implicato”. I leader delle potenze occidentali godono di un particolare privilegio: possono fare a meno di badare ai dettagli e guardare solo al quadro d’insieme. Ma è solo quando inizieranno a dubitare dell’innocenza di Abu Mazen che le cose incominceranno a muoversi.
I tre membri della cellula terroristica sgominata in Samaria appartenevano a Tanzim e Brigate Martiri di al-Aqsa, bracci militari di Fatah, carne e sangue di Abu Mazen nonché lampante retaggio di Yasser Arafat. Sin dalla firma degli Accordi di Oslo, Abu Amar (alias Arafat) si adoperò con grande scrupolo non solo per essere percepito come uomo di pace, ma anche per preservare il lato terrorista suo e di Fatah attraverso sotto-organizzazioni semi-segrete che operavano su un binario parallelo e godevano persino di priorità rispetto ad enti e organismi coinvolti nel processo di pace. Così ad esempio, a metà degli anni ’90, mentre si tenevano colloqui sull’attuazione degli Accordi di Oslo e membri di Fatah come Mohammed Dahlan e Jibril Rajoub negoziavano con gli ufficiali delle Forze di Difesa israeliane all’entrata sud di Gerusalemme, un altro membro di Fatah, Marwan Barghouti, operava all’entrata nord di Gerusalemme come capo di milizie armate (illegali secondo gli accordi) e sparava a soldati e coloni israeliani. Tutti e tre, ben inteso, ricevevano i loro stipendi dalla stessa fonte: la cassa di Fatah con la firma di Arafat. Anche i tre assassini che giovedì scorso hanno ucciso Meir Hai ricevevano il loro stipendio da quella stessa cassa.
Arafat per metà faceva il terrorista e per metà impegnava contro il terrorismo. Anche Abu Mazen, da una parte dà istruzione ai suoi ranghi di arrestare 700 uomini di Hamas perché non agiscano contro Israele, e dall’altra autorizza membri della sua organizzazione, le Brigate Martiri di al-Aqsa, ad agire contro cittadini israeliani allo scopo di riguadagnare credito sulla piazza palestinese. Da una parte Abu Mazen ordina ai suoi di cooperare con le forze di sicurezza israeliane e con gli ufficiali sotto il patrocinio del generale Dayton. Dall’altra, quando queste stesse persone operano nelle Aree A, sotto responsabilità palestinese, il suo portavoce Abu Rudaina si affretta a condannare Israele per il suo intervento a Nablus. Ormai anche i bambini, nei territori, conoscono bene questa moralità doppia.
Terroristi come Raghsan Abu Sharah, Anan Sabah, Raed a-Sarkaji, che hanno assassinato Meir Hai e sono stati poi eliminati, se ne possono trovare a dozzine nei ranghi di Fatah, e continuano a ricevere stipendi mensili firmati da Abu Mazen. Loro e i loro compari sono un esempio del suo livello di serietà circa la firma di un accordo di pace con Israele. È ora che i mediatori occidentali Tony Blair and Keith Dayton spieghino ad Abu Mazen che non si può avere una cosa e il suo contrario. I giorni del “parole di circostanza” e delle “pubbliche relazioni a scopo interno” sono finiti perché la società palestinese le interpreta alla lettera e mai con moderazione. Abu Mazen deve capire che la cultura della pace non significa solo evitare di aizzare l’odio nelle moschee, e che non si concilia col suo tentativo di essere mezzo uomo di pace e mezzo terrorista.

(Da: YnetNews, 27.12.09)

Nella foto in alto: Moshe Elad, autore di questo articolo