Quando è necessario fare la voce grossa

A differenza dei paesi europei (che temono solo di perdere i loro affari e credono che atteggiamenti accomodanti possano placare l'aggressore) in Medio Oriente nessuno si fa illusioni sull'Iran e sulle sue intenzioni

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

Per tutti coloro che dubitavano della logica dietro la decisione del presidente americano Donald Trump di ritirarsi dall’accordo nucleare con l’Iran, le notizie sul tentativo di Teheran di lanciare razzi contro il territorio israeliano hanno ancora una volta messo in luce la vera natura e le ambizioni di Teheran.

Sulla scia dell’annuncio di Trump, criticato da tanti governi, era logico aspettarsi che l’Iran cogliesse l’occasione per atteggiarsi a paese vittima e pacifico, con l’obiettivo di portare dalla propria parte tutta la comunità internazionale. Invece, gli iraniani hanno scelto proprio questo momento per cercare di colpire Israele. Dopo che un raid israeliano preventivo ha sventato il loro primo tentativo, hanno aspettato meno di 48 ore per provarci di nuovo e nella tarda sera di mercoledì hanno sparato 20 missili verso le alture del Golan israeliane.

Finora i comportamenti bellicosi degli iraniani erano risultati vantaggiosi. Ma c’è chi, a Washington e a Gerusalemme, ha deciso di mostrare loro in modo energico le linee rosse da non valicare, prima che possano stabilire una presenza militare in Siria abbastanza minacciosa da legare le mani a Israele.

La decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo nucleare, e i colpi subiti dall’Iran e dalle sue milizie negli ultimi giorni in Siria, vengono stati accolti con aperta soddisfazione da molti, nel mondo arabo, rincuorati dalla sensazione che Washington stia tornando a giocare un ruolo da protagonista nella regione a difesa dei suoi alleati e contro le imprese espansionistiche del regime iraniano.

Una batteria aerea S-22 colpita da un missile israeliano nel momento in cui si apprestava a fare fuoco sui jet in missione contro le basi militari iraniane in Siria. Clicca per vedere il video

Dopotutto, a differenza dei paesi europei – che temono solo di perdere i loro affari e credono che atteggiamenti titubanti e accomodanti possano placare l’aggressore – in Medio Oriente nessuno si fa illusioni sull’Iran e sulle sue intenzioni. In particolare non se le fanno coloro che hanno già assaggiato gli amari effetti della sua continua espansione. Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Kuwait da alcuni anni sono preda del terrorismo perpetrato dai surrogati locali dell’Iran. L’Arabia Saudita sta combattendo per contrastare gli sforzi dell’Iran di stabilire una presenza nello Yemen, il paese che Teheran usa come rampa di lancio per minacciare il fronte interno saudita fin nella sua capitale. L’ombra dell’Iran si è allungata persino sul Marocco, che la settimana scorsa ha troncato i rapporti diplomatici con la repubblica islamica proprio a causa delle sue continue ingerenze sediziose.

Questi paesi arabi si erano sentiti abbandonati al loro destino dagli stati Uniti sotto l’amministrazione precedente, che cercava di placare l’Iran e di comprarne l’amicizia a spese dei suoi alleati nella regione. Trump, invece, ha assunto una posizione combattiva verso l’Iran sin dal momento in cui si è insediato, e ora la sua posizione viene rafforzata da scelte concrete. Di più. Trump, a differenza del suo predecessore, ha messo in chiaro che l’eversione e la belligeranza dell’Iran, e le sue minacce contro gli alleati di Washington, verranno tenute bene in considerazione durante i negoziati per qualsiasi accordo futuro. L’analoga politica di Trump verso la Corea del Nord si è già dimostrata efficace. Come avversario, l’Iran non è meno formidabile, ma il ritiro di Washington dall’accordo nucleare e gli interventi senza indugi contro la presenza militare dell’Iran in Siria sono passi nella giusta direzione.

(Da: Israel HaYom, 10.5.18)

Sorpresa: l’Iran è pieno di sostenitori di Trump

Menashe Amir

Scrive Menashe Amir: I siti delle emittenti che trasmettono in farsi riceverono quotidianamente migliaia di reazioni dall’Iran. Negli ultimi giorni la maggior parte dei messaggi è costituita da espressioni di gratitudine e apprezzamento per il ritiro del presidente americano Donald Trump dall’accordo nucleare del 2015, e danno voce all’aspettativa che gli Stati Uniti aiutino la popolazione iraniana a rovesciare il regime oppressivo. Si tratta di messaggi anonimi o sotto pseudonimo, a causa del timore generale che incute il regime. “Il nome di Trump andrebbe scritto a lettere d’oro sulle stelle nel cielo” scrive un cittadino iraniano. Un altro dice: “Siamo pronti a sopportare qualsiasi sofferenza purché vi sia una speranza di rovesciare il regime di oppressione”. Sono centinaia i messaggi di questo tipo pubblicati su siti web e mass-media in lingua farsi al di fuori dall’Iran. Un iraniano ha fatto la sua analisi della situazione al telefono con un amico in Germania: “Tutto è pronto per la ripresa della rivolta popolare, il cui obiettivo questa volta sarà di rovesciare il regime”. Ha parlato delle difficoltà economiche nel paese ipotizzando che rinnovate sanzioni potrebbero distruggere definitivamente la maggior parte dei meccanismi economici della repubblica islamica. In effetti la valuta locale si è dimezzata nel giro di pochi giorni. Oggi un dollaro viene scambiato con oltre 40.000 rial, e anche a questo prezzo è praticamente impossibile trovarlo. Un altro iraniano ha raccontato ai parenti all’estero che dovrà chiudere il suo negozio d’importazione a Teheran perché il picco dei tassi di cambio delle valute estere è stato talmente drastico da non poter più importare prodotti né ottenere alcun guadagno. Si ritiene che la stragrande maggioranza degli iraniani sia a favore di un cambio di regime, pur sapendo che il prezzo potrebbe essere elevato, anche in vite umane. Vedono quello che accade in Siria e sono scoraggiati dallo spaventoso numero di vittime dovute a una rivolta fallita. Lamentano l’assenza di un leader degno, che unisca e diriga il movimento di resistenza. Si aspettano assistenza vera e concreta dagli Stati Uniti e accolgono con favore qualsiasi pressione che Trump possa esercitare sul regime. Solo alcuni, fra le migliaia di messaggi, sembrano sostenere il regime, ed è probabile che siano scritti da cyber-soldati iraniani incaricati di diffondere la propaganda pro-regime sui social network. Uno, ad esempio, afferma che “gli unici paesi che sostengono la politica di Trump sono l’Arabia Saudita, che sostiene il terrorismo, Israele, che commette continuamente crimini contro il popolo palestinese, e una manciata di emirati essenzialmente satelliti sauditi”: senza alcun riferimento personale e alla vita concerta nel paese, sembra un copia-incolla dai proclami del regime. (Da: Israel HaYom, 10.5.18)