Quando gli arabi scelsero di diventare profughi

Questi fatti possono essere nascosti e negati con le fake news, ma sono la pura verità

Di Dan Margalit

Dan Margalit, autore di questo articolo

Le migliaia di palestinesi che hanno tentato di violare la recinzione di confine fra Gaza e Israele sono i nipoti e pronipoti della generazione che visse la guerra in cui si generò il problema dei profughi, la generazione che ha inventato e tramandato l’impertinente rivendicazione del “diritto al ritorno”. Se gli arabi avessero accettato il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 (l’ultima di una serie di decisioni internazionali risalenti alla Conferenza di Sanremo del 1920) che prevedeva di suddividere la terra tra i suoi due popoli, arabo ed ebraico, un piano che riconosceva anche i diritti degli ebrei in Palestina, da allora ad oggi avrebbero potuto continuare a vivere pacificamente sulla loro terra. Ma il giorno dopo l’approvazione di quella risoluzione, gli arabi lanciarono una guerra proclamando che avrebbero gettato gli ebrei in mare, e oggi portano la responsabilità delle conseguenze.

Un mese dopo l’inizio delle sparatorie dalla Giaffa araba verso Tel Aviv, i capiarabi locali accettarono un cessate il fuoco. I leader palestinesi e l’organizzazione paramilitare Najda chiesero il consenso del Supremo Comitato Arabo, ma se lo videro rifiutare (si veda Palestinians in Jerusalem and Jaffa, 1948: A Tale of Two Cities, di Itamar Radai). Solo dopo altri cinque mesi di fuoco di cecchini su Tel Aviv, Menachem Begin permise ai combattenti dell’Irgun di attaccare Giaffa.

Titoli dell’Unità, maggio 1948 (clicca per ingrandire)

Questo accadeva nell’aprile 1948, un mese prima della dichiarazione d’indipendenza di Israele. Con quelle decisioni gli arabi scelsero di diventare profughi. Una situazione analoga si verificò nello stesso periodo a Haifa. Gli ebrei esortarono gli arabi a rimanere, ma quelli abbandonarono la città dopo che i loro dirigenti avevano garantito che sarebbero tornati entro dieci giorni e che avrebbero potuto saccheggiare le case degli ebrei. Questi fatti possono essere nascosti e negati con le fake news, ma sono la pura verità. I due maggiori abbandoni avvennero su iniziativa degli arabi.

Negli ultimi anni, ogni volta che Benjamin Netanyahu ha sostenuto di volere ancora i negoziati, ha chiesto ai palestinesi di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Forse sarebbe stato più appropriato condizionare i negoziati al riconoscimento esplicito da parte degli arabi che essi, più di chiunque altro, hanno causato il verificarsi del problema dei profughi. Contrariamente a quanto affermano alcuni, quando nel 1956 Moshe Dayan, nel suo elogio funebre per Ro’i Rothberg, il membro del kibbutz Nahal Oz assassinato da palestinesi di Gaza, disse che i profughi ci guardavano da Gaza arrabbiati e feriti, questo non significava affatto che gli ebrei si assumessero alcuna responsabilità per la situazione dei profughi, ma solo che esprimevano compassione. Da qui, anche, la conclusione di Dayan, che disse: “Questa è la sorte della nostra generazione: essere pronti e armati, forti e inflessibili, affinché la spada non cada dalla nostra mano e le nostre vite non vengano recise”.

New York Times, 16 maggio 1948: “Eserciti arabi invadono la Palestina, raggiungono Gaza, bombardano di nuovo Tel Aviv” (clicca per ingrandire)

Nessuno avrebbe potuto prevedere che nel 2018 il “diritto al ritorno” dei profughi a Giaffa e Haifa sarebbe stato ancora al centro degli eventi, e proprio nei campi presso cui Rothberg venne assassinato. Se la situazione è questa, è perché i paesi arabi non hanno permesso che la questione svanisse. Un nuovo libro illuminante pubblicato in ebraico da Einat Wilf e Adi Schwartz (La guerra per il diritto al ritorno), uscito proprio mentre i palestinesi di Gaza rilanciavano scontri violenti all’insegna della “grande marcia del ritorno”, critica non solo il mondo arabo, ma anche l’Occidente e Israele. Il principale cattivo, qui, secondo gli autori, è l’Unrwa, che ha iniziato le sue attività con buone intenzioni, ma poi ha incanalato miliardi di dollari nel perpetuare il problema dei profughi per 70 anni e nell’impedirgli di attenuarsi. L’Unrwa è diventata la cassaforte per una terza e quarta generazione di palestinesi sradicati, gente che da Haifa si è spostata a Nablus (70 km a sud-est, entro i confini della Palestina) dove si è costruita una solida vita pur continuando a percepire l’indennità da “profugo” (loro, i loro figli, i loro nipoti e pronipoti). L’Unrwa ha mantenuto i profughi nei campi di Gaza praticamente imprigionati. Israele ha lasciato fare l’Unrwa perché gli dava momentaneo respiro, e il governo israeliano voleva solo una pausa. Un po’ di tranquillità qui e ora era sufficiente, e al diavolo il domani. Yigal Allon fu il solo, vox clamantis in deserto, a dire che Israele doveva affrontare il problema e che non poteva permettersi di chiudere un occhio, ma i suoi appelli restarono ignorati.

Ora si dice che gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero cessare di finanziare l’Unrwa. Cosa che andrebbe nella giusta direzione, in linea generale, ma è necessario esercitare attenzione ed equilibrio. Wilf e Schwartz suggeriscono che i finanziamenti rimangano gli stessi, ma che l’Unrwa venga smantellata e il denaro trasferito all’Autorità Palestinese: ai profughi verrebbe finalmente dato, non un pesce, ma la canna per pescare. Ecco un’idea che meriterebbe di essere avviata, anche se Gerusalemme potrebbe non gradire un passo così drammatico.

(Da: Ha’aretz, 24.5.18)