Quando gli arabi uccidono altri arabi

Quel che Israele deve e non deve fare

Di Josef Olmert

Il Cairo, 14 agosto 2013

Il Cairo, 14 agosto 2013

Ci sono persone nel mondo che ancora si ostinano a parlare di “primavera araba”, un termine chiaramente associato a grandi speranze, a un quadro quasi idilliaco del mondo arabo. La verità è che non esiste nessuna primavera, ma solo oscurità e tanto sangue: il sangue di arabi uccisi da altri arabi in quantità sempre crescenti.

Si tratta di una situazione che non può non destare viva attenzione in Israele, che si trova geograficamente nell’occhio del ciclone e che è stato, e pare destinato ad essere anche in futuro, il bersaglio favorito del livore e dell’odio che sembrano regnare sovrani in questa travagliata regione del mondo. La reazione ufficiale del governo israeliano è stata esemplare. È chiaro che qualsiasi reazione da parte di Israele verrebbe usata contro di noi e dunque, con una modalità del tutto insolita per il tradizionale modo di fare israeliano, il governo Netanyahu giustamente se sta zitto.

Beirut, 15 agosto 2013

Beirut, 15 agosto 2013

Gli arabi sono sempre pronti a incolpare Israele di tutto, e lo fanno anche adesso. Invito chiunque maneggi un po’ di arabo a leggersi i tweet e le reazioni su facebook in arrivo dall’Egitto nelle ultime 48 ore: saranno sorpresi di scoprire che tutto quanto sta accadendo è una perfidia israeliana, Mossad e CIA si sono messi in combutta fra loro e di conseguenza poveri egiziani innocenti giacciono morti per le strade. La totale incapacità araba di impegnarsi in un vero esame di coscienza collettivo sui loro problemi è notoriamente una delle caratteristiche salienti del discorso politico arabo, costantemente caratterizzato dal bisogno di dare la colpa a qualcun’altro, che sia Israele, gli Stati Uniti o “l’Occidente” inteso come un termine-contenitore per riferirsi a tutte le forze del male coalizzate contro arabi e musulmani. Tutto questo è già abbastanza negativo, ma è ulteriormente aggravato dal complesso di colpa occidentale verso il Terzo Mondo in generale, e gli arabi e i musulmani in particolare, che costituisce la forza trainante dietro a guru come Noam Chomsky o il deceduto Edward Said.

Padre e figlio ebrei yemeniti, riuniti all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv

Padre e figlio ebrei yemeniti, riuniti all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv

Giacché gli arabi e i loro sostenitori già tendono a incolpare Israele automaticamente per tutti i loro guai, non è il caso che Israele fornisca loro inutilmente altri presunti argomenti. In questo senso il governo israeliano semplicemente fa quel che è giusto, senza dire o fare quel che non deve. Accettare negli ospedali israeliani un piccolo numero di siriani feriti è una cosa, aprire le porte a una marea di profughi siriani sarebbe tutt’altra cosa. Personalmente preferisco che Israele rimanga l’ultimo rifugio per gli ebrei in pericolo o perseguitati, e credo che questa sua missione storica sia tutt’altro che esaurita. Proprio l’altro giorno ne abbiamo avuto conferma quando 17 ebrei sono stati portati di nascosto dallo Yemen in Israele: un numero piccolo, ma che è simbolica testimonianza di ciò che può ancora accadere se comunità ebraiche più grandi si venissero a trovare di nuovo sotto pressione.

Ed è giusto che Israele aiuti il governo egiziano, qualunque governo egiziano, quando questo combatte i terroristi nel Sinai, così come è giusto impedire ogni tentativo da parte della Siria di trasferire in mani pericolose armi chimiche e altre armi particolarmente sofisticate. Ma non sarebbe giusto, ad esempio, essere visti come quelli che vogliono attivamente abbattere il regime di Assad: un regime assassino sotto ogni aspetto, ma che è anche il regime che ha mantenuto il suo confine con Israele del tutto tranquillo per quarant’anni. È una regione complicata, questa, ed è chiaro che tale stato di cose pone a Israele dilemmi morali di prima grandezza, mettendo in discussione la stessa consolidata dottrina israeliana secondo cui solo la democrazia è la chiave per una vera pace e stabilità in Medio Oriente. Beh, Muhammad Morsi è stato il primo presidente egiziano democraticamente eletto, ma è anche quello che parlava degli ebrei come discendenti di scimmie e maiali…

In sintesi, Israele è troppo vicino al caos e potenzialmente troppo vulnerabile alle ripercussioni di questi eccidi per potersi permettere impeccabili posizioni di principio senza considerare gli immediati problemi di sicurezza di enorme portata.

La realtà è che sono gli arabi che possono decidere del loro destino, e c’è ben poco che Israele possa o debba fare al riguardo.

(Da: Times of Israel, 15.8.13)