Quando i terroristi sono figli di ufficiali palestinesi che li esaltano e proteggono

Secondo gli Accordi di Oslo, che hanno dato vita all’Autorità Palestinese e ai suoi servizi di sicurezza, i poliziotti palestinesi avrebbero il dovere di combattere il terrorismo

Di Khaled Abu Toameh

Khaled Abu Toameh, autore di questo articolo

Ibrahim al-Nablusi, il terrorista morto martedì mattina in uno scontro a fuoco con le Forze di Difesa israeliane nella casbah di Nablus, era figlio di un alto ufficiale del Servizio di Sicurezza Preventiva dell’Autorità Palestinese, un ente spesso condannato con forza in ambito palestinese per l’opera di repressione contro membri di Hamas e della Jihad Islamica in Cisgiordania, ma anche contro miliziani di Fatah “insubordinati”.

Il padre, Ala’ Izzat al-Nablusi, ricopre il grado di colonnello nel Servizio di Sicurezza Preventiva, che sarebbe l’equivalente palestinese del servizio di sicurezza interna israeliano Shin Bet.

Poche ore dopo l’uccisione del ricercato nello scontro con i militari israeliani, il quartier generale del Servizio di Sicurezza Preventiva palestinese ha pubblicato un comunicato in cui porge le condoglianze “al fratello e membro del Servizio, colonnello Ala’ Izzat al-Nablusi, per il martirio del figlio Ibrahim e degli altri martiri”. Fonti a Nablus hanno detto mercoledì che il figlio, accusato da Israele d’aver compiuto una serie di attacchi a fuoco contro soldati e civili israeliani e in particolare contro pellegrini ebrei alla Tomba di Giuseppe, non risultava ricercato dalle forze di sicurezza palestinesi.

Secondo alcune fonti, come il padre, anche Ibrahim al-Nablusi era un membro della fazione Fatah, che fa capo al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen. Altri, invece, hanno affermato che era affiliato alla Jihad Islamica. Negli ultimi mesi le due fazioni hanno intensificato la loro collaborazione a Jenin e a Nablus (Cisgiordania settentrionale).

Nablus, 8 febbraio: miliziani armati al funerale del terrorista Ibrahim al-Nablusi

In un’intervista con i giornalisti palestinesi, il padre al-Nablusi ha detto che l’ultimo messaggio del figlio ai palestinesi prima di essere ucciso è che non devono abbassare le armi. “L’occupante non capisce il linguaggio del dialogo e della politica – ha dichiarato l’alto ufficiale della sicurezza dell’Autorità Palestinese, riecheggiando affermazioni analoghe fatte da Hamas e Jihad Islamica – Siamo di fronte a un nemico tirannico che non vuole una soluzione politica”. Ala’ Izzat al-Nablusi ha anche condannato gli Accordi di Oslo firmati tra Israele e l’Olp nel 1993-95, che hanno portato alla creazione dell’Autorità Palestinese e delle sue varie agenzie di sicurezza, compreso il Servizio di Sicurezza Preventiva per il quale lui stesso lavora. “Negli ultimi 27 anni, il processo di pace non ha portato nulla ai palestinesi – ha detto al-Nablusi – La nuova generazione [come suo figlio] è stata educata alla lotta armata e alla necessità di difendere la Palestina”.

Quello di al-Nablusi non è l’unico caso del genere. Lo scorso 7 aprile Ra’ad Hazem, terrorista 28enne di Jenin, ha ucciso tre persone e ne ha ferite sei sparando sui civili israeliani in Via Dizengoff, a Tel Aviv. E’ poi emerso che suo padre, Fathi Hazem, è un alto ufficiale della Forza di Sicurezza Nazionale dell’Autorità Palestinese. Fathi Hazem ha elogiato l’attentato terroristico del figlio e si è rifiutato di presentarsi alle forze di sicurezza israeliane che volevano interrogarlo. Da allora è diventato uno dei simboli della “resistenza” palestinese a Jenin e nel nord della Cisgiordania, e in varie apparizioni pubbliche ha esortato i palestinesi a continuare la “lotta armata” contro Israele.

Alla fine del mese scorso, Mahmoud Hajeer, poliziotto 23enne palestinese originario del campo di Balata, vicino a Nablus, ha aperto il fuoco contro soldati israeliani rimanendo seriamente ferito dalla loro reazione. Dopo l’attacco, Hamas ha esortato tutti gli agenti di sicurezza in servizio per l’Autorità Palestinese in Cisgiordania a seguire il suo esempio ed effettuare attacchi contro soldati e civili israeliani.

(Da: Jerusalem Post, 10.8.22)