Quando Israele impedì all’ISIS di mettere le mani sull’atomica

Chi allora lo condannò dovrebbe delle scuse e un sentito grazie allo stato ebraico

Di Michael Freund

Michael Freund, autore di questo articolo

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L’intero mondo libero ha un enorme debito di gratitudine verso Israele. Se non fosse per un previdente raid del 2007 contro un reattore nucleare siriano, attribuito dai mass-media all’aviazione israeliana, i fanatici dello “Stato Islamico” (ISIS) sarebbero oggi in possesso di un loro impianto nucleare.

L’inquietante circostanza è venuta alla luce grazie a un recente articolo pubblicato sul sito NK News dall’ex diplomatico statunitense Dennis P. Halpin, che ha messo in evidenza una notizia piuttosto ghiotta rimasta quasi completamente ignorata dalla grande stampa.

Lo scorso 30 giugno l’Istituto di Washington per la Scienza e la Sicurezza Internazionale, che mira a fermare la diffusione delle armi nucleari, ha pubblicato un resoconto di immagini satellitari da cui emerge che “il sito del reattore siriano distrutto si trova ora sotto il controllo dell’ISIS/Daesh [lo “Stato islamico” secondo l’acronimo arabo], in quale a quanto pare lo sta smontando e sta probabilmente conducendo attività di scavo presso il sito”.

Halpin, che è attualmente visiting scholar all’Istituto Stati Uniti-Corea presso la Johns Hopkins University, è stato il primo a sottolineare l’importanza di questi dati satellitari e a parlarne senza usare mezzi termini: “Se non fosse per l’Operazione Orchard [frutteto], vale a dire l’attacco aereo israeliano del 6 settembre 2007 contro il reattore di Al Kibar, oggi i combattenti dell’ISIS potrebbe essere dotati di armi atomiche, e non solo di mitra Kalashnikov e di carri armati americani appena catturati”.

Secondo i resoconti dei mass-media, nel settembre 2007 aviazione e forze speciali israeliane colpirono l’impianto atomico che il governo siriano stava costruendo, con l’aiuto della Corea del Nord, nella regione siriana di Deir ez-Zor. Più di sette mesi dopo, il 24 aprile 2008, l’ufficio stampa della Casa Bianca rilasciava un’insolita dichiarazione in cui si affermava che la Siria stava effettivamente “costruendo un reattore nucleare segreto nel suo deserto orientale in grado di produrre plutonio”. Sulla base di notizie di intelligence, gli Stati Uniti dicevano che c’erano “buone ragioni per credere che quel reattore, danneggiato in modo irreparabile il 6 settembre dello scorso anno, non era destinato a scopi pacifici”, aggiungendo che “dopo la sua distruzione, il regime si è affrettato a seppellire le prove della sua esistenza: quest’opera di insabbiamento non ha fatto che rafforzare la nostra convinzione che quel reattore non era destinato ad attività pacifiche”.

Il reattore nucleare siriano di Al Kibar in costruzione nel deserto di Dair Alzour, prima e dopo il raid del 2007

Il reattore nucleare siriano di Al Kibar in costruzione nel deserto di Dair Alzour, prima e dopo il raid del 2007

Torniamo al presente e consideriamo quale sarebbe la situazione attuale se il reattore siriano fosse stato lasciato al suo posto: oggi sarebbe nelle mani dell’ISIS. Il solo pensiero di uno “Stato Islamico” dotato di armi nucleari che si gode entusiasta lo spargimento di sangue è agghiacciante. L’ISIS, che oggi controlla porzioni di Iraq e Siria equivalenti per dimensioni alla Gran Bretagna, si è fatto conoscere negli ultimi anni per la sua ideologia espansionista e genocida che mira a stabilire un “califfato islamico” con lo scopo di dominare il mondo. Ha mostrato una particolare inclinazione per il macabro, diffondendo filmati in cui i suoi combattenti si dedicano orgogliosamente a decapitare, crocifiggere, affogare e bruciare vivi i loro prigionieri. Come ha osservato Andrew Hosken della BBC nel suo nuovo libro Empire of Fear: Inside the Islamic State (Impero della paura: all’interno dello Stato Islamico), l’obiettivo del gruppo terroristico è quello di impadronirsi entro il 2020 dell’intero Medio Oriente, di tutto il Nord Africa e anche di parti dell’Europa. Hosken è anche convinto, come ha detto al britannico Daily Express lo scorso 11 agosto, che l’ISIS non esiterebbe a impiegare armi chimiche, biologiche o nucleari pur di raggiungere i suoi obiettivi: “Se avessero delle armi di distruzione di massa, le userebbero – ha detto – Su questo non c’è il minimo dubbio” (e puntuali nei giorni scorsi sono giunte le prime segnalazioni dell’uso di gas tossici da parte dei jihadisti dell’ISIS).

Inutile dire che, quando otto anni fa venne distrutto il reattore siriano, tanti furono pronti a biasimare Israele per l’azione che gli veniva attribuita. Mohamed El Baradei, allora a capo dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica (AIEA), dichiarò alla CNN che l’azione israeliana era “molto penosa”. Se i paesi hanno informazioni su programmi nucleari segreti, disse, ”devono venire a dircelo”.

Col senno di poi appare chiaro quanto sia stato assennato quell’attacco preventivo israeliano, giacché non solo impedì allo spietato regime di Bashar Assad di sviluppare armi nucleari, ma sventò anche uno scenario che avrebbe visto il pulsante della bomba atomica cadere nelle mani insanguinate dell’ISIS, mettendolo in condizione di ricattare il resto del mondo.

El Baradei e tanti altri che come lui non persero l’occasione per dare addosso a Israele devono delle scuse sincere allo stato ebraico. La cattura da parte dell’ISIS del sito dove sorgeva il reattore siriano bombardato sottolinea ancora una volta il ruolo cruciale – e spesso sottovalutato, se non disprezzato – che svolge Israele sulla prima linea della lotta dell’Occidente contro il terrorismo fondamentalista islamico. Israele rimane l’unico alleato affidabile del mondo occidentale in Medio Oriente, un baluardo contro le forze dell’oscurantismo e del dispotismo. Distruggendo il reattore siriano, Israele ha verosimilmente salvato l’umanità dalla devastazione che un ISIS dotato di armi atomiche avrebbe scatenato sul Medio Oriente e oltre. Per questo, il mondo deve un grazie a Israele.

(Da: Jerusalem Post, 2.9.15)