Quando la violazione dei diritti umani è un danno collaterale accettabile nella sacra lotta contro Israele
I diritti degli ebrei non sono importanti quando sono violati dagli anti-sionisti. Quelli dei palestinesi non sono importanti quando sono violati dall’Autorità Palestinese. E i diritti degli israeliani non contano mai, a meno che non siano violati da Israele
Di Evelyn Gordon
La scorsa settimana si sono verificati tre episodi apparentemente non collegati fra loro e che invece condividono un denominatore comune: esemplificano il modo in cui la politica anti-israeliana ha corrotto il concetto di diritti umani.
Partiamo dalla notizia che due organizzazioni culturali britanniche hanno recentemente rifiutato di ospitare il romanziere britannico Richard Zimler che avrebbe dovuto tenere conferenze sul suo nuovo best seller, e che ne ha già tenute molte sui suoi libri precedenti. “Mi hanno chiesto se sei ebreo – è stata, stando a Zimler, la spiegazione del suo agente – e quando ho detto che lo sei, hanno perso ogni interesse”. Non è che questi gruppi abbiano qualcosa contro gli ebrei di per sé. Hanno semplicemente paura che ospitare un ebreo li possa rendere bersaglio di contestatori anti-Israele. Zimler non è israeliano, non ha parenti né investimenti in Israele e non scrive di Israele. Il suo ultimo libro è ambientato in Terra Santa duemila anni fa, ma il tema è più cristiano che ebraico (si intitola Il Vangelo secondo Lazzaro). Quindi non sembrerebbe un bersaglio dei contestatori, vista l’insistenza con cui gli apologeti del boicottaggio anti-israeliano ripetono che l’anti-sionismo non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo.
All’evidenza, però, gran parte della massa degli anti-israeliani non ha recepito questo raffinato distinguo. Basta ricordare, ad esempio, quei tribunali tedeschi che hanno stabilito che incendiare una sinagoga in Germania non è un crimine di odio (anti-ebraico), bensì una comprensibile protesta anti-israeliana. O quelle organizzazioni studentesche che chiedevano a una università sudafricana di espellere tutti gli studenti ebrei per dimostrare la sua sincera fede pro-palestinese.

Richard Zimler, autore de “Il Vangelo secondo Lazzaro”
O quel procuratore generale norvegese che ha stabilito che “fottuti ebrei” non è una locuzione antisemita, ma un’espressione di “malcontento per le politiche di Israele”, sebbene chi l’aveva pronunciata non avesse fatto nessun riferimento a Israele. O quelle organizzatrici di marce per l’orgoglio lesbico che hanno vietato alle ebree di portare bandiere arcobaleno con la stella di David perché a qualcuno ricordano troppo la bandiera israeliana. E così via.
Quindi, pur deplorando la vigliaccheria delle innominate organizzazioni britanniche che hanno bandito Zimler, non posso tacciare come infondate le loro paure. E questo è appunto il problema. I gruppi liberal per i diritti umani in tutto il mondo si affannano a prendere le difese dei “diritti” degli attivisti per il boicottaggio contro Israele. Si veda, ad esempio, la loro opposizione alle proposte di legge anti-BDS, sulla base della falsa motivazione che tali leggi lederebbero la libertà di parola (in realtà si applicherebbero solo alle azioni, non alle parole). Eppure quegli stessi gruppi non sono apparsi minimamente interessati a difendere i diritti degli ebrei nella maggior parte degli esempi testé citati. Evidentemente la violazione dei diritti degli ebrei è un danno collaterale accettabile nella lotta per la sacra causa dell’anti-sionismo.
Il secondo episodio è il sopruso esercitato delle autorità palestinesi nei confronti degli imprenditori palestinesi che hanno partecipato al workshop economico organizzato dagli Stati Uniti in Bahrain il 25 e 26 giugno. Uno di loro stato arrestato e alla fine rilasciato sotto pressione americana. Un altro è sfuggito all’arresto fuggendo nella parte di Hebron sotto giurisdizione israeliana. Le forze dell’Autorità Palestinese hanno fatto irruzione nelle case di molti altri, confiscando documenti come carte di credito e passaporti. Questi 15 uomini d’affari si sono recati legalmente in Bahrain per quello che un giornalista ha definito “lo scopo reale, non ufficiale” della conferenza: concludere affari legali, principalmente con altri arabi. Hanno detto esplicitamente che rappresentavano solo se stessi, non l’Autorità Palestinese, e si sono rifiutati di parlare di politica dicendo che solo l’Autorità Palestinese è autorizzata a farlo.

Ashraf Ghanem, imprenditore palestinese braccato dai servizi dell’Autorità Palestinese per essere stato alla conferenza economica in Bahrain
In breve, non solo non hanno commesso alcun reato, ma non hanno fatto nessun tentativo di indebolire le posizioni politiche dell’Autorità Palestinese. In effetti, l’Autorità Palestinese non ha nemmeno fatto finta che avessero commesso un reato. Come ha detto ad Ha’aretz un funzionario della sicurezza palestinese, non c’era “nessuna accusa specifica” contro l’uomo d’affari arrestato. L’arresto costituiva “un avvertimento, perché deve capire le implicazioni di questo genere di collaborazioni”. In altre parole: pura e semplice persecuzione politica, una pratica standard nell’Autorità Palestinese dove giornalisti, attivisti e uomini d’affari palestinesi sono stati arrestati per aver commesso “reati” come quello d’aver detto che il presidente Abu Mazen dovrebbe dimettersi. Gruppi liberal per i diritti umani in tutto il mondo condannano incessantemente le violazioni israeliane (vere o immaginarie) dei diritti dei palestinesi. Spesso condannano anche Israele per violazioni, del tutto fittizie, dei diritti israeliani. Ma innocenti imprenditori palestinesi arrestati e angariati dall’Autorità Palestinese solo per aver cercato di concludere affari legali? Non si sentirà proferire una parola a questo riguardo. Evidentemente la violazione dei diritti dei palestinesi è un danno collaterale accettabile per la sacra causa della lotta contro Israele.
Il terzo episodio sono i circa 100 incendi recentemente appiccati nel sud di Israele da aerostati palestinesi lanciati dalla striscia di Gaza. Un numero insolitamente elevato per una sola settimana, ma è da più di un anno che gli ordigni incendiari di Gaza – gentile omaggio della “unità palloncini” di Hamas – causano disastri. Nei sei mesi precedenti l’ottobre 2018 distrussero circa 3.000 acri di foresta e 4.000 acri di terreni agricoli. Da quando sono cessate le piogge invernali sono state distrutte altre migliaia di acri. Si tratta di un crimine di guerra secondo le Convenzioni di Ginevra e secondo il trattato che disciplina la Corte Penale Internazionale. Entrambi definiscono crimine di guerra “l’estesa distruzione di proprietà, non giustificata da necessità militari e condotta in modo illegale e arbitrario”. Il trattato menziona anche “causare danni diffusi, a lungo termine e gravi all’ambiente naturale, chiaramente eccessivi in rapporto al concreto e diretto vantaggio militare complessivo perseguito”. Gli attacchi incendiari palestinesi fanno entrambe le cose, causano danni estesi e arbitrari sia alle proprietà che all’ambiente senza servire ad alcuno scopo militare.
La Corte Penale Internazionale sta esaminando numerosi presunti crimini israeliani contro i palestinesi e ha addirittura sollecitato i palestinesi a inoltrare ulteriori denunce. Gruppi liberal per i diritti umani in tutto il mondo condannano incessantemente i presunti crimini israeliani, compresa le attività edilizie negli insediamenti che, quand’anche fossero un vero crimine (non lo sono), si tratterebbe comunque di un crimine molto meno distruttivo delle tattiche da terra bruciata (con un accordo di pace gli insediamenti sgomberati potrebbero teoricamente essere consegnati ai palestinesi). Ma non si è sentita una parola sulla distruzione di vaste aree del sud di Israele, né la Corte Internazionale ha preso in considerazione l’idea di indagare. Evidentemente la devastazione ambientale è un danno collaterale accettabile nella sacra lotta contro Israele.
Ciò che tutti questi casi dimostrano è che i diritti umani hanno cessato di essere una norma oggettiva applicata a tutti in modo eguale. Sono invece diventati uno strumento politico per colpire i gruppi che non piacciono ai liberal. Così, i diritti degli ebrei sono importanti quando vengono violati da estremisti di destra (che i liberal detestano), ma non quando vengono violati dagli anti-sionisti. I diritti dei palestinesi sono importanti quando vengono violati da Israele, ma non quando vengono violati dall’Autorità Palestinese. E i diritti degli israeliani non contano mai, a meno che non vengano violati da Israele.
Questo atteggiamento non è limitato alla questione israelo-palestinese, naturalmente. Solo che in questo caso è particolarmente sfacciato. I gruppi liberal per i diritti umani lamentano spesso che i diritti umani sono sempre più svalutati in tutto il mondo, e hanno ragione. Ma la causa principale è la spudorata politicizzazione che loro stessi fanno da anni di questi diritti. E finché questo non cambierà, il discredito per la difesa dei diritti umani continuerà a crescere.
(Da: jns.org, 3.7.19)