Quando si finge di non vedere l’invasione di Israele gabellata per “diritto al ritorno”

L’Onu ha conferito lo status di ong ufficiale a un gruppo legato a Hamas, votato alla distruzione di Israele

Di Dror Eydar

Dror Eydar. autore di questo articolo

Dror Eydar. autore di questo articolo

Da anni le Nazioni Unite vengono utilizzate come una piattaforma per mettere in discussione il diritto degli ebrei ad avere il loro stato. Il Centro Palestinese per il Ritorno fa parte di una serie di enti e gruppi, complici del terrorismo, il cui obiettivo è cancellare Israele, che è appunto ciò che si intende per “ritorno”: inondare Israele con milioni di presunti profughi arabi.

Non è vero che le centinaia di migliaia di palestinesi fuggiti da Israele durante la guerra scatenata dagli arabi nel ‘48 vivevano in questo paese “da tempo immemorabile”. La maggior parte di loro era arrivata nel XIX secolo sotto il governo dell’egiziano Ibrahim Pasha, e successivamente con le ondate di aliyà (immigrazione) ebraica e l’avvio del Mandato Britannico. Per sincerarsene, basta vedere la definizione che dà l’Onu di “profugo palestinese (diversa, detto per inciso, da quella dei profughi di qualsiasi altra parte del mondo): è profugo palestinese chiunque fosse residente in Palestina nei due (due!) anni prima della nascita dello stato di Israele.

Il Centro Palestinese per il Ritorno ha forti legami con Hamas e coi Fratelli Musulmani. Gli europei e le Nazioni Unite lo sanno. Ma accanto al vecchio antisemitismo e a quello nuovo (che sarebbe “solo” anti-israelismo), funziona da anni il falso assunto secondo cui l’Occidente, sacrificando lo stato ebraico, verrà risparmiato dalla spada dell’islam. Ed ecco che adesso il Centro Palestinese per il Ritorno è stato ufficialmente scelto come consulente per i suoi pari alle Nazioni Unite.

Il logo del Centro palestinese per il Ritorno

Il logo del Centro Palestinese per il Ritorno

Prendiamoci dunque la briga di fornire un piccolo esempio tratto dall’oceano di prove che attestano il collegamento fra questa organizzazione e Hamas. Nel maggio del 2007, il Centro Palestinese per il Ritorno organizzò il suo quinto convegno in Europa, quella volta in Olanda. Per l’ennesima volta venne approvata una risoluzione che afferma che nessuno ha il diritto di fare alcuna concessione di sorta sul “diritto al ritorno” di 5 milioni di palestinesi. Ospite d’onore e relatore principale al convegno era il campione dei diritti umani Ismail Haniyeh, capo del “governo” di Hamas nella striscia di Gaza, il quale non ha perso l’occasione per parlare degli “atti criminali delle bande sioniste nel 1948”, paragonando la “Nakba” all’occupazione nazista dei Paesi Bassi. Simpatico.

Il logo stesso dell’organizzazione che viene ora chiamata ad offrire la sua consulenza alle Nazioni Unite esibisce la lettera R, che sta per “ritorno”, con all’interno una mappa di tutto lo stato di Israele (pardon, della Palestina): giusto per sgomberare il campo da eventuali dubbi sull’obiettivo finale.

Chiunque abbia familiarità con la funesta Carta di Hamas, che invoca a gran voce la distruzione di Israele come suo principio fondamentale, noterà le somiglianze – sebbene un poco messe in ombra, per timore delle autorità britanniche – con elementi contenuti nella newsletter diffusa a Londra dall’organizzazione Al-Awda (“Il Ritorno”). Il fondatore di Hamas, Ahmad Yassin, vi compare da protagonista insieme a parole di elogio per la via della jihad e della “resistenza”, che in arabo colloquiale  sta per “terrorismo”.

L’inesorabilità araba nei confronti degli ebrei e di Israele esiste da anni. I movimenti per il boicottaggio, le sanzioni (BDS) e la delegittimazione ogni tanto cambiano volto. Non bisogna prenderli alla leggera, ma non bisogna nemmeno perdere la testa. Le antiche radici degli ebrei in questa terra sono incommensurabilmente più profonde di qualsiasi propaganda mendace di questi gruppi. Bisogna operare con saggezza, con pazienza e con determinazione: come sono stati sconfitti sul campo di battaglia, saranno sconfitti anche nella battaglia per i cuori e le menti.

(Da: Israel HaYom, 2.6.15)