Quanto è autentica la crisi economica palestinese?

Lattuale crisi finanziaria dellAutorità Palestinese potrebbe essere di natura prevalentemente politica

Da un articolo di Arlene Kushner

image_1211A quanto pare, l’Autorità Palestinese sta affrontando una grave crisi umanitaria a causa dei donatori che hanno congelato i fondi dopo l’avvento del governo controllato da Hamas. Ad un esame più attento, tuttavia, non sorprende scoprire che la realtà è un po’ più complicata.
Secondo una tesi assi diffusa, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che detiene il controllo del Fondo d’Investimenti Palestinese, dal quale si porrebbero trarre 200-300 milioni di dollari, vieta di sbloccare questi fondi per indebolire Hamas.
Il Fondo d’Investimenti Palestinese venne istituito nel 2002 quando l’allora ministro delle finanze palestinese Salam Fayyad riuscì a mettere le mani su una parte dei beni di cui si era indebitamente appropriato Yasser Arafat. Dopo la vittoria di Hamas, l’ufficio di Abu Mazen annunciò che avrebbe assunto il diretto controllo del Fondo d’Investimenti Palestinese. Oggi il Fondo, che dovrebbe valere circa un miliardo di dollari, certamente non è controllato dal governo Hamas. Tuttavia non è chiaro se e fino a che punto sia effettivamente sotto il controllo di Abu Mazen. Il CEO Muhammad Mustafa afferma che il Fondo ha già trasferito quasi 300 milioni di dollari alle casse dell’Autorità Palestinese, lasciando intendere che non ne sono in arrivo altri.
Secondo persone ben informate, ma che preferiscono mantenere l’anonimato, l’attuale crisi finanziaria dell’Autorità Palestinese sarebbe di natura prevalentemente politica, e cioè “artificiale”. Mustafa sembra condividere questa opinione. Esistono altre holdings dell’Olp, di dimensioni considerevoli, da cui Abu Mazen potrebbe attingere.
Fino a tempi molto recenti i finanziamenti internazionali pro capite che riceveva l’Autorità Palestinese erano i più alti di qualunque altra entità politica al mondo. Purtroppo somme enormi sono state impiegate per scopi illeciti. Lo scorso febbraio l’Attorney General dell’Autorità Palestinese Ahmed al-Meghami riferiva d’aver documentato ruberie e malversazioni all’interno dell’Autorità Palestinese per 700 milioni di dollari, ma di sospettare che le cifre realmente implicate fossero nell’ordine di miliardi di dollari.
Durante gli anni in cui queste irregolarità erano abituali, i fondi internazionali – in particolare quelli dall’Unione Europea – continuavano ad affluire all’Autorità Palestinese: trasparenza e responsabilità fiscale semplicemente non erano richieste. Nel marzo 2005 l’Ufficio anti-frodi della Commissione Europea (OLAF) pubblicò un rapporto secondo il quale non v’erano “prove conclusive” che il denaro europeo avesse coperto le spese per attacchi armati o altre attività illegali. D’altra parte non veniva nemmeno esclusa la possibilità di un abuso di quei fondi giacché, diceva il rapporto, “la capacità di audit [verifica], interna ed esterna, nell’Autorità Palestinese è ancora sottosviluppata”. In altre parole, l’OLAF ammetteva di non essere in grado di ricostruire dove fossero finiti i soldi mandati all’Autorità Palestinese. Il che comunque non sembrò sufficiente alla UE per sospendere i finanziamenti. Anzi, gli europei sembrarono rassicurati dal fatto che non fossero emerse prove certe che i loro denari avessero finanziato il terrorismo. Le donazioni UE – nell’ordine di centinaia di milioni di dollari – continuarono ad affluire nelle casse dell’Autorità Palestinese attraverso uno specifico fondo della Banca Mondiale.
L’Autorità Palestinese capì l’antifona: i soldi europei erano garantiti. Cioè, lo erano fino a poco tempo fa.
Nel novembre 2005 Nigel Roberts, direttore della Banca Mondiale per Cisgiordania e striscia di Gaza, scrisse in un rapporto: “L’Autorità Palestinese si è procurata da sé una grave crisi finanziaria a causa della spesa per stipendi sostanzialmente fuori controllo”. Stando al Fondo Monetario Internazionale, nel 2004 i vertici dell’Autorità Palestinese avevano concordato un piano per rimediare al deficit stabilendo regole che contemplavano limiti all’assunzione di personale e agli aumenti salariali per il biennio 2004-2006. Il fatto grave è che questo accordo è stato poi cancellato. Nel luglio 2005 gli stipendi dei dipendenti pubblici palestinesi vennero aumentati del 15-20%. Un mese dopo, una riparametrazione delle paghe del personale per la sicurezza si tradusse in aumenti del 30-40% per il personale in servizio attivo.
Nel settembre 2005 il ministro palestinese per i detenuti spiegò in un’intervista che ogni mese venivano stanziati quattro milioni di dollari in remunerazioni destinate ai palestinesi detenuti in Israele. Inoltre, alcune fazioni terroristiche sono state cooptate all’interno delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese, e così circa quattromila “militanti” sono andati ad aggiungersi al libro-paga dell’Autorità Palestinese, mentre tra gli otto e i diecimila uomini delle forze di sicurezza si possono oggi definire come “non in funzione”.
Tutto questo non andava certo bene alla Banca Mondiale, che era alla ricerca di interlocutori finanziariamente responsabili. Già poco prima delle elezioni palestinesi, essa incominciò a trattenere alcuni fondi. Poi, dopo le elezioni e l’ascesa di Hamas, i finanziamenti vennero sospesi del tutto.
Se ora Abu Mazen attingesse alle considerevoli risorse che risultano a sua disposizione, potrebbe dimostrare autosufficienza. Siccome però vuole garantirsi che siano i finanziamenti europei a coprire gli stipendi dell’Autorità Palestinese, preferisce sostenere la scena di una crisi finanziaria,
Vi sono ragionevoli probabilità che Abu Mazen ottenga ciò che vuole. Si moltiplicano i segnali a livello internazionale della volontà di movimentare un fondo che copra gli stipendi palestinesi direttamente, aggirando il governo dell’Autorità Palestinese.
Dal 1993 ad oggi sono stati elargiti all’Autorità Palestinese grossomodo dieci miliardi di dollari in aiuti. Nell’agosto 2004 Muhammad Dahlan diceva al Guardian di Londra che un totale di cinque miliardi di dollari in donazioni internazionali “sono volati via e non sappiamo dove siano finiti”. Il patrimonio personale di Arafat è stato stimato pari a 3,1 miliardi di dollari. Al suo capezzale, la moglie e massimi notabili di Fatah si diedero pubblicamente battaglia per assicurarsi quella fortuna. Dove sia finito ciò che è rimasto di quei soldi e quanto ne possa disporre Abu Mazen resta un segreto.

(Da: YnetNews, 12.05.06)