Quei “pacifisti” che corrono in soccorso dei terroristi Hamas

Non fanno gli interessi né dei palestinesi, né della pace.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2838Non è del tutto chiaro se la flottiglia sedicente “umanitaria” che, all’insegna dello slogan “Free Gaza” punta a forzare tra domenica e lunedì’ il blocco anti-regime di Hamas sulla striscia di Gaza, sia genuinamente votata alla libertà di Gaza. Il suo principale obiettivo sembra essere piuttosto quello di delegittimare il diritto di Israele a tutelarsi da “Hamas-stan”: lo stato fondamentalista islamico creato a Gaza da quando Israele nel 2005, come gesto di pace, ritirò da quel territorio tutti i suoi militari e tutti i suoi 8.000 civili, smantellando le diciassette comunità ebraiche che vi erano sorte, e Hamas, due anni più tardi, vi ha preso il potere con un sanguinoso colpo di stato.
Se questi “pacifisti” fossero veramente preoccupati per la situazione concretamente difficile del popolo palestinese nella striscia di Gaza, avrebbero accettato volentieri la proposta di Israele di agevolare via terra il trasferimento a Gaza del loro carico di aiuti umanitari, dopo le debite ispezioni per assicurarsi che non vi siano armi.
La loro prima risposta negativa alla richiesta della famiglia Shalit di portare a Gaza pochi oggetti indirizzati a Gilad Shalit, il giovane israeliano trattenuto in ostaggio da Hamas a Gaza da quasi quattro anni senza nessun accesso nemmeno alla Croce Rossa in aperta violazione di ogni norma umanitaria e del diritto internazionale, non è che un’ulteriore indicazione di quanto sia scarsa la “passione umanitaria” di questi paladini dei diritti umani.
Le sanzioni israeliane, che limitano le forniture di carburante e gas e impediscono l’ingresso di numerosi materiali da costruzione, colpiscono duramente la popolazione della striscia di Gaza. Ma vengono applicate in conformità al diritto internazionale e sono attentamente monitorate dalla Corte Suprema. Hanno lo scopo di impedire a Hamas di importare materiali che possano essere usati per costruire armi e fortificazioni, o di usare carburante e gas per far funzionare la produzione di armi. Anche se la cosa ha pesanti ricadute su molti, Israele è attento a garantire che i beni di basilare necessità vengano forniti, e che coloro che necessitano di cure mediche fuori da Gaza le possano ricevere anche se in passato è accaduto in più occasioni che qualcuno abbia approfittato di questa tolleranza umanitaria per cercare di realizzare attentati terroristici.
Per inciso, vi sono prove che almeno per una parte della popolazione di Gaza il livello di vita non sia poi così basso. Proprio la scorsa settimana il club As-Sadaka ha inaugurato una nuova piscina di dimensioni olimpioniche, la prima a Gaza, mentre un manager del Roots Club della città di Gaza ha confermato con orgoglio al giornalista Tom Gross che gli affari vanno a gonfie vele e che numerosi clienti palestinesi e stranieri pranzano scegliendo i piatti da un nutrito menu. E un portavoce del ministero degli interni di Hamas ha detto che il suo ufficio ha messo a punto un piano per garantire quest’estate sicurezza e protezione dai terroristi ispirati ad al-Qaeda nelle varie aree di svago e di vacanza come ristoranti e spiagge.
Israele ed Egitto hanno applicato il regime di sanzioni dopo che Hamas strappò a Fatah il controllo sulla striscia di Gaza con un golpe di estrema violenza, nel giugno 2007, con sanguinosi combattimenti che provocarono la morte di almeno 161 palestinesi, compresi sette bambini. Le sanzioni mirano a costringere Hamas ad abbandonare la sua “lotta armata” contro Israele e a riconoscere il diritto di Israele ad esistere: il che rientra in una più ampia strategia internazionale volta a isolare Hamas, che è considerata un’organizzazione terrorista da Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Gran Bretagna, Australia e Canada.
Grazie al sostegno dell’Iran, finora Hamas è riuscita a sfidare sanzioni e isolamento. Ma se la pressione potrà continuare, Hamas si troverà costretta a scegliere tra abbandonare il terrorismo riconoscendo Israele, oppure rischiare una graduale disintegrazione del suo consenso quando gli abitanti di Gaza metteranno a confronto le loro condizioni sotto il regime oscurantista degli islamisti con le condizioni sempre più fiorenti di chi vive in Cisgiordania. In questo senso, la “flottiglia della libertà” opera attivamente contro i veri interessi dei palestinesi di Gaza.
Non basta. La striscia di Gaza sotto il controllo di Hamas costituisce uno dei maggiori ostacoli a qualsiasi futuro accordo di pace fra Israele e palestinesi. Anche se Israele riuscisse a progredire nei negoziati con l’Autorità Palestinese guidata da Fatah, qualunque accordo di pace risulterebbe inapplicabile finché i fanatici dell’intransigenza di Hamas hanno il controllo di Gaza. Se i “pacifisti” dietro alla flottiglia fossero sinceramente interessati a far avanzare la pace fra Israele e palestinesi, se la prenderebbero innanzitutto con Hamas per il suo intransigente rifiuto, e la solleciterebbero ad abbandonare il potere o a spostarsi su posizioni che permettano una praticabile soluzione a due stati.
Ciò che invece quei “pacifisti” si sforzano di fare è spostare tutta l’attenzione dalla realtà da incubo che Hamas ha creato per gli abitanti di Gaza, a una rappresentazione distorta del tentativo di Israele di difendersi dallo stato terrorista che è sorto sulla sua porta di casa.

(Da: Jerusalem Post, 28.5.10)

Nelle foto in alto: immagini recenti dei mercati di Gaza

Si veda anche:

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https://www.israele.net/articolo,2836.htm