Quei paesi arabi che si ostinano a insabbiare il terrorismo

Vi sono almeno tre paesi arabi che stanno subendo una sistematica campagna terroristica.

Da un articolo di Barry Rubin

image_645Vi sono almeno tre paesi arabi che stanno subendo una sistematica campagna terroristica. Eppure ancora oggi, a quasi quattro anni dagli attentati dell’11 settembre, questi e altri paesi arabi non capiscono che senza una visione unitaria di tutto il fenomeno terroristico, il problema non sarà mai sradicato.
Terrorismo è il deliberato sforzo di uccidere civili. È un atto politico volto a terrorizzare la vittime fino alla resa, e a mobilitare sostegno per la propria causa. Il terrorismo tenta di creare e fa affidamento su una base popolare di appoggio al terrorismo stesso. Il terrorismo presuppone la demonizzazione totale di un altro gruppo umano.
Naturalmente, la principale campagna terroristica è quella che è stata condotta contro Israele. Ma Iraq, Libano e Arabia Saudita sono oggi vittime dello stesso trattamento da parte dello stesso genere di persone, e talvolta esattamente dalle stesse persone.
In Iraq i responsabili sono musulmani sunniti seguaci di Saddam Husssein o di Osama bin Laden, che vogliono impadronirsi del paese. Anche i terroristi in Arabia Saudita sono seguaci di bin Laden, e hanno lo stesso obiettivo. Il caso libanese vede implicati sostenitori o agenti della Siria che cercano di dimostrare che il paese non può essere stabile se non è sotto il controllo di Damasco. All’interno di ciascuno di questi tre paesi il terrorismo “interno” viene condannato con veemenza. Contemporaneamente però la vasta maggioranza sostiene il terrorismo contro Israele come legittimo.
Alla base di questa posizione sta una rappresentazione totalmente distorta sia della natura di Israele che della natura del conflitto. Gli sforzi di Israele per fare la pace, porre termine all’occupazione e accettare uno stato palestinese nel quadro di un accordo di pace piena sono per lo più ignorati, e intanto si continua a diffondere una serie di false accuse di atrocità. Sono ancora estremamente rari i discorsi di leader arabi o le spiegazioni nei media arabi che diano conto di queste realtà di fatto, in un rapporto di uno a cinquanta o più rispetto alle menzogne e alle istigazioni all’odio.
Lo stesso vale per la società palestinese, anche dopo l’avvento della nuova dirigenza post-Arafat. Anche qui, tuttavia, si raccolgono gli amari frutti del terrorismo. La costante glorificazione dei terroristi come “martiri” ha creato una situazione in cui è estremamente difficile, se non impossibile, per la leadership palestinese approdare a una soluzione di compromesso. Teppisti armati, fregiati dell’aureola degli eroi, possono pretendere soldi dai palestinesi onesti e persino sparare contro la residenza del capo di Fatah e dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) senza temere conseguenze.
Interi paesi arabi stanno oggi subendo un trattamento simile, e scoprono dolorosamente i costi di questo sistema. I sauditi continuano a raccogliere enormi somme di denaro che premettono ai terroristi palestinesi di compiere lo stesso tipo di attentati che sconvolgono la società saudita. I libanesi subiscono pressioni perché lascino che gli Hezbollah, che appoggiano la continuazione dell’occupazione siriana, controllino gran parte del paese e attacchino Israele ogni volta che vogliono farlo. Come può il Libano ricostruirsi e attrarre investimenti stranieri mentre si permette a una milizia armata terroristica di agire come uno stato dentro lo stato? Di più, la Siria continua a non farsi il minimo scrupolo a utilizzare il terrorismo contro il suo vicino convinta com’è, e con buone ragioni, che farlo non comporti comunque alcun vero prezzo da pagare sul piano internazionale.
L’Iraq è il caso più estremo. Lo scorso febbraio un attentatore suicida ha fatto esplodere la sua autobomba davanti a un ufficio della sanità nella città di Hilla, la cui popolazione è per lo più musulmana sciita, uccidendo 132 persone e ferendone altre 120. È poi emerso che il terrorista era un giordano di nome Mansour al-Banna. Dopo il fatto, la sua famiglia in Giordania ha organizzato una celebrazione in onore della suo ingresso in paradiso dove si unirà alle 72 vergini. Come giustifica, questa famiglia, il proprio comportamento e quello del loro congiunto? Prima di tutto hanno falsamente sostenuto che si è trattato di un gesto eroico perché tutti quelli uccisi non erano musulmani bensì americani. Poi, ad ogni buon conto, il fratello ha aggiunto che, quand’amche quelli uccisi fossero musulmani sciiti, andava bene lo stesso perché gli sciiti sono tutti agenti degli americani e degli israeliani e meritano d’essere uccisi. La Shia islamica, ha sostenuto, è stata creata dagli ebrei nel settimo secolo. Sebbene si tratti di fantasie assai bizzarre, idee di questo genere, totalmente slegate dalla realtà, hanno larga circolazione in quelle società e vengono promosse in varie forme sia dai media che dagli intellettuali.
Gli sciiti iracheni si sono comprensibilmente indignati. Hanno accusato il governo giordano d’aver consentito sul proprio suolo una tale istigazione all’assassinio di iracheni e il reclutamento di terroristi a questo scopo. In particolare, hanno denunciato gli esponenti religiosi musulmani giordani per non aver condannato questi comportamenti e queste calunnie.
Il governo giordano in effetti ha fatto qualcosa in seguito a questa crisi: ha fatto arrestare il giornalista giordano che aveva inizialmente dato notizia della cerimonia in onore del terrorista suicida. E ha negato che il terrorista fosse un giordano, così come avevano fatto i sauditi circa gli attentatori dell’11 settembre.
In altre parole, la reazione non è stata cercare di modificare qualcosa, ma semplicemente cercare di occultare le notizie su quanto stava accadendo. E la Giordania, va ricordato, è forse il paese più moderato del mondo arabo.
Siamo quasi a metà dell’anno 2005, il ventunesimo secolo è iniziato da un bel po’. Se i governi e i giornalisti arabi non hanno ancora imparato a distinguere tra vero e falso, a vedere i pericoli che comporta scherzare col terrorismo e i principi etici fondamentali connessi a questi temi, c’è da chiedersi quando inizieranno a farlo.

(Da: Jerusalem Post, 5.04.05)

Nella foto in alto: l’autore dell’articolo Barry Rubin, direttore Middle East Review of International Affairs.