Quel 3,25% che potrebbe determinare il risultato delle elezioni in Israele

La risposta alla domanda se il governo sarà formato dal campo “solo-Bibi” o dal campo “chiunque-eccetto-Bibi” dipende da tre fattori solo apparentemente secondari

Di Susan Hattis Rolef

Susan Hattis Rolef, autrice di questo articolo

Per la seconda volta nella storia elettorale dello stato d’Israele, le elezioni politiche del prossimo 23 marzo saranno decise non solo in base ai risultati delle liste che supereranno la soglia minima d’ingresso alla Knesset (attualmente fissata al 3,25%), ma in base ai risultati delle liste che non la supereranno e i cui voti andranno di conseguenza dispersi.

E’ stato detto che qualcosa del genere accadde anche nelle elezioni del 1992, quando una delle ragioni principali del successo di Yitzhak Rabin fu che 65.185 voti di destra andarono persi perché quattro piccole formazioni di destra non superarono il quorum, che allora era dell’1,5%. Questa analisi non è del tutto accurata perché, quand’anche i voti dispersi fossero stati conteggiati come parte del blocco di destra, il partito laburista di Rabin aveva ancora la maggioranza per il semplice motivo che il partito ultra-ortodosso Shas decise di entrare nella sua coalizione. Shas avrebbe deciso diversamente, se i 65.185 voti di destra non fossero andati dispersi? Può darsi, ma non lo sapremo mai.

Va anche notato che nelle elezioni del 1992 il partito Laburista ottenne 44 seggi, il Meretz 12 e il Likud 32. Nelle elezioni attuali si prevede che il partito Laburista ottenga fra sei a sette seggi, il Meretz potrebbe non superare la soglia d’ingresso e il Likud considererà una grande vittoria riuscire a superare i 30 seggi. I tempi sono cambiati, e i grandi partiti non sono più grandi come una volta. Ma i termini del gioco sono rimasti gli stessi: dato l’attuale sistema politico israeliano, quando la società politica è tagliata grossomodo a metà come lo era nel 1992, e lo è anche adesso sin dalle elezioni dell’aprile 2019, quelli che determineranno il risultato finale potrebbero essere i partiti che non supereranno la soglia minima.

La tipografia Palphot prepara le schede per le elezioni in Israele del 23 marzo

Stando ai sondaggi, nelle elezioni di martedì prossimo sono quatto le liste considerate sul limite (tralasciando il Partito Economico di Yaron Zelekha, che appare ben lontano dal quorum). Di queste, una – il Partito Sionista Religioso di Bezalel Smotrich – se supererà la soglia d’ingresso si alleerà sicuramente con Benjamin Netanyahu. Un’altra – il partito arabo-islamico Ra’am di Mansour Abbas – se supera la soglia potrebbe sostenere (dall’esterno?) un governo guidato da Netanyahu, sebbene Netanyahu abbia dichiarato che non farà parte della sua coalizione. Il terzo partito, Meretz di Nitzan Horowitz, e il quarto, Blu-Bianco di Benny Gantz, fanno sicuramente parte del blocco anti-Netanyahu, noto nel dibattito israeliano come il blocco “chiunque-eccetto-Bibi”.

La risposta alla domanda se Netanyahu riuscirà o no a formare un governo dipende da una combinazione di tre fattori: quanti seggi otterrà Yamina (il partito di destra di Neftali Bennett), se il Partito Sionista Religioso e/o Ra’am supereranno o meno la soglia elettorale, e se riusciranno o meno a farlo Meretz e/o Blu-Bianco. La risposta alla domanda se l’altro blocco, quello anti-Netanyahu, avrà o no la possibilità di formare un governo dipende dagli stessi tre fattori.

Più in dettaglio, se il Partito Sionista Religioso e Ra’am supereranno il quorum, Netanyahu avrà comunque bisogno di Yamina per poter formare un governo, ma potrebbe essere un partito Yamina più piccolo (e bisogna vedere se e a quali condizioni Bennett sarebbe disposto a entrare nella coalizione ndr). D’altro canto, per formare un governo, il blocco anti-Netanyahu avrà bisogno che sia il Meretz sia Blu-Bianco superino la soglia, oppure che si ritirino dalla competizione all’ultimo minuto se gli ultimissimi sondaggi li dovessero dare decisamente sotto il minimo. Questo blocco avrà anche bisogno di una situazione in cui Netanyahu non abbia la maggioranza nemmeno con Yamina, cosa che potrebbe accadere qualora i Sionisti religiosi e/o Ra’am non superassero il quorum.

I partiti israeliani si “succhiano” i voti a vicenda, nella vignetta di Amos Biderman su Ha’aretz. Da sinistra a destra, nella prima fila si riconoscono: Yair Lapid, Neftali Bennett, Benjamin Netanyahu, Gideon Sa’ar. Nella seconda fila, da sinistra: Benny Gantz, Mansour Abbas, Avigdor Lieberman, Ayman Odeh, Merav Michaeli, Nitzan Horowitz (clicca per ingrandire)

Durante la campagna elettorale, il Likud e Netanyahu hanno detto agli elettori di destra che votando Yamina o Nuova Speranza (dell’ex-Likud Gideon Sa’ar) voterebbero di fatto per la nascita di un governo guidato dalla sinistra, dal momento che il più grande partito del blocco “anti-Bibi” sarà Yesh Atid. Tuttavia, a parte il fatto che il leader di Yesh Atid, Yair Lapid, non è un politico di sinistra ma di centro, il fatto che Yesh Atid sia il più grande partito del blocco anti-Netanyahu non significa necessariamente che sarà Lapid a guidare il governo nel caso in cui il suo blocco ottenesse la maggioranza di seggi necessaria. Sia Bennett che Sa’ar hanno dichiarato che non siederanno in un governo sotto Lapid, ma entrambi hanno anche dichiarato di non avere problemi a sedere in un governo con Lapid. Lapid, da parte sua, ha dichiarato che se detronizzare Netanyahu significa rinunciare alla premiership è disposto a farlo, perché “ci sono cose più importanti del proprio ego”.

In effetti, la verità è che un voto per Sa’ar è un voto che rafforza l’ala destra del campo anti-Netanyahu”. Diversamente, un voto per Bennett potrebbe sia rafforzare Netanyahu, sia rafforzare il campo “anti-Bibi”, perlomeno se diamo credito a Bennett quando afferma che, comunque vada, farà tutto il possibile per evitare che si debba andare a una quinta tornata di elezioni anticipate. Naturalmente, si può credere o non credere a tutte le dichiarazioni fatte dai leader politici prima delle elezioni.

(Da: Jerusalem Post, 14.3.21)

Si veda anche: Molto probabile un nuovo stallo politico dopo le elezioni per la Knesset del 23 marzo