Quel che può insegnare all’Ucraina il negoziato di pace israelo-palestinese

I confini non sono sacri: semmai lo solo le persone e il loro diritto all'autodeterminazione

Di Rafael Castro

Kiev, Ucraina, 2 marzo 2014

Gli storici discutono ancora animatamente sulle origini della prima guerra mondiale, ma per lo più concordano sul fatto che il sostegno incondizionato che Gran Bretagna, Francia e Russia diedero alla Serbia nell’estate del 1914 contribuì a trascinare il continente europeo nella più sanguinosa conflagrazione militare che avesse mai conosciuto.

Oggi, alla vigilia del centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, gli eventi in Ucraina stanno prendendo una piega inquietante. Il cupo svolgersi degli eventi non è causato soltanto della sconsideratezza del presidente russo Vladimir Putin, ma anche dall’incompetenza dei leader occidentali.

La questione che dovrebbe guidare le mosse diplomatiche occidentali non è stabilire se Putin sia o meno uno spregevole autocrate (lo è da ben prima di questa crisi), ma quali sono gli errori cruciali fatti un secolo fa che dovrebbero essere evitati oggi. Purtroppo, invece, tutto fa pensare che l’Occidente stia ancora giocando le sue carte a casaccio come fecero gli alleati cento anni fa.

(Fonte: Corriere dalla Sera)

(Fonte: Corriere dalla Sera)

Gli avvertimenti del segretario di stato Usa John Kerry sul “prezzo terribile” che la Russia pagherà per la sua “aggressione” si risolveranno in un boomerang per due motivi. Innanzitutto descrivere il sostegno russo alle minoranze etniche russe in Ucraina come un atto di pura aggressione permetterà alla macchina propagandistica di Putin di farlo passare per un coraggioso patriota russo. Inoltre, e più grave, una generalizzata censura occidentale della Russia favorirà un atteggiamento inflessibile nei leader ucraini convinti di godere del sostegno incondizionato degli Stati Uniti, consentendo loro reazioni eccessive secondo modalità che non servono gli interessi di nessuna delle parti coinvolte. In effetti i leader occidentali, se non vogliono una replica del 1914, dovrebbero fermarsi un momento ad analizzare più sobriamente a realtà ucraina.

Sin dalla sua indipendenza, nel 1991, l’Ucraina è in cima alla lista dei paesi in predicato di trasformarsi in “stati falliti”. Nonostante il grande potenziale agricolo e risorse naturali invidiabili, la storia contemporanea dell’Ucraina è segnata da performance economiche stentate e paralisi politica. Alla radice di questo triste stato di cose sta la frattura demografica tra gli ucraini occidentali, che guardano verso l’Unione Europea e il mondo occidentale, e quelli di etnia russa in Ucraina orientale (e in Crimea), che guardano alla Madre Russia. Questa scissione in Ucraina è altrettanto se non più profonda di quella tra cechi e slovacchi, che ottennero la loro reciproca indipendenza nei primi anni ‘90. Non vi è motivo perché i russi non dovrebbero essere incoraggiati a seguirne l’esempio, trasformando così l’Ucraina da un caso di paralisi politica e rivoluzioni in uno stato-nazione vitale.

“I confini non sono sacri”. Confini fra Israele e stato palestinese secondo la proposta 2008 dell’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert (lasciata cadere dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas-Abu Mazen

La soluzione che meglio risponderebbe agli interessi di tutte le parti in conflitto – Ucraina, Russia e Occidente – è che alla popolazione di etnia russa in Ucraina fosse data la possibilità di votare o per lo status quo, o per l’autonomia all’interno di un’Ucraina indipendente, o per l’annessione alla Russia. E per assicurarsi il sostegno a questo piano da parte della leadership ucraina, l’Occidente dovrebbe prometterle l’ammissione rapida all’Unione Europea e alla Nato. Ciò comporterebbe il vantaggio di unire dietro un obiettivo comune gli ucraini che vogliono essere ucraini, e di ridurre notevolmente il numero dei patrocinatori dell’annessione alla Russia. Sebbene possa sembrare immorale premiare l’aggressione russa con un referendum sull’autodeterminazione per i russi etnici, bisogna considerare il fatto che la recente incursione russa potrebbe offrire la grande occasione per tagliare il nodo gordiano che ha soffocato l’Ucraina sin dalla sua indipendenza.

In questo contesto appare molto preziosa l’esperienza dei negoziatori israeliani, palestinesi e americani per risolvere il conflitto arabo-israeliano. C’è un grande insegnamento nel fatto che in Cisgiordania devono essere prese in considerazione le realtà demografiche nel determinare quelli che saranno i confini definitivi fra Israele e Palestina: i confini non sono sacri; semmai lo solo le persone e il loro diritto all’autodeterminazione. E questo è vero tanto nella parte est di Gerusalemme e nei blocchi di insediamenti in Cisgiordania, quanto a Kiev e in Crimea.

Auguriamoci che il segretario di stato John Kerry applichi l’insegnamento che dovrebbe aver appreso a Gerusalemme e a Ramallah per evitare che il conflitto tra Ucraina e Russia degeneri in conflitto militare e in una catastrofe.

(Da: YnetNews, 4.3.14)

Si veda anche: Ma quanto vale la firma su un pezzo di carta?