Quel cliché che disumanizza (e colpevolizza) le vittime innocenti

Quando terroristi armati muoiono in uno scontro a fuoco coi militari giunti ad arrestarli e fedeli ebrei vengono assassinati davanti a una sinagoga, non c’è nessuna “spirale” di violenza: ci sono vittime e carnefici

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

La strage di ebrei israeliani avvenuta venerdì sera ha suscitato la consueta ondata di condanne unita all’usuale tendenza a disumanizzare le vittime dipingendole come parte di una fantomatica “spirale di violenza” o genericamente vittime di un “conflitto” che dura da decenni.

Come sempre, infatti, le reazioni a questo genere di attentati rientrano in alcune tipologie ormai prevedibili. Alcuni condannano la strage terroristica individuando con chiarezza i responsabili e piangono le vittime. Molti altri, invece, condannano l’attentato aggiungendo immediatamente un riferimento alla “spirale di violenza”. Altri ancora cercano persino di giustificare o attenuare il crimine facendo vari riferimenti a “occupazione” e “apartheid” e censurando le vittime come “coloni”. Questi ultimi due tipi di reazione cercano di darsi un’aria da all lives matter (“tutte le vite contano”). In realtà, non riescono a condannare una strage di civili israeliani innocenti senza cercare di fare riferimento a qualcos’altro: un tipo di “condanna” assai discutibile, perché in pratica non tollera che degli ebrei israeliani possano essere semplicemente delle vittime, e cerca sempre di offuscare e annacquare il crimine e aggiungere un contesto che disumanizzi le vittime, trasformandole in oggetti di un conflitto più ampio. Una disumanizzazione inaccettabile, giacché nulla impedisce di condannare gli attentati contro civili israeliani, punto e basta.

Molte delle reazioni all’attentato di venerdì scorso sembravano preconfezionate, con i loro consueti riferimenti alla “spirale di violenze”, all'”occupazione” ecc., come si sono sentite alle Nazioni Unite e sui principali mass-media. Sembra un copione già scritto. Quando, giovedì, Israele ha effettuato un’operazione anti-terrorismo a Jenin per debellare un comando armato che, una volta scoperto, ha ingaggiato un violento scontro a fuoco in cui sono morti nove palestinesi tanti mass-media hanno parlato di escalation da parte di Israele (perlopiù tacendo che il commando terrorista si apprestava a colpire). Poi, venerdì sera, quando un palestinese ha assassinato a sangue freddo sette fedeli ebrei all’uscita da una sinagoga, tanti mass-media hanno parlato di “spirale” della violenza, mettendo i due eventi sullo stesso piano.

29.1.23, titoli sul web di Jerusalem Post e Famiglia Cristiana. “Il Papa si è detto grandemente addolorato per le notizie di morti sia palestinesi che israeliani della scorsa settimana”

Ma quale spirale? L’operazione a Jenin è stata condotta per impedire alla Jihad Islamica Palestinese di perpetrare un ennesimo attacco terroristico: si tratta di un gruppo implicato da anni in un crescente numero di scontri armati con Israele. Non è una spirale: è un conflitto a senso unico in cui la Jihad Islamica Palestinese, foraggiata dall’Iran, accumula armi illegali e sferra attacchi contro Israele da luoghi come Gaza e Jenin, mentre gli israeliani cercano di impedire al gruppo di espandersi e realizzare attentati. E come potrebbero non farlo? La spirale non c’entra nulla. Dall’altra parte, l’attentato a Gerusalemme è stato perpetrato da un “lupo solitario” esaltato e radicalizzato che si è accanito contro dei civili ebrei (come già accaduto tante volte in passato, ben prima dei morti a Jenin). Nessuna spirale. Sono due fatti distinti, uno a Jenin e uno a Gerusalemme.

Il cliché della “spirale di violenza” viene tirato fuori continuamente, senza nessuna reale considerazione dei fatti. E’ un cliché così banale da sembrare uno di quegli articoli a base di luoghi comuni scritti da un chatbot. Le vittime innocenti di attentati terroristici meritano qualcosa di meglio. Non sono parti nella sceneggiatura di una commedia, sono vite umane interrotte. L’”occupazione” o il “controllo israeliano” non sono una scusa né un’attenuante. I terroristi che prendono deliberatamente di mira i civili non sono combattenti contro una forza di “occupazione”, sono assassini che commettono crimini spietati.

Osservatori e commentatori potrebbero benissimo parlare degli scontri armati a Jenin e dell’attentato a fedeli ebrei a Gerusalemme considerando i due fatti per come sono, e ogni morte innocente come una tragedia, senza se e senza ma. Quando invece cercano di mettere tutto insieme e sullo stesso piano non solo disumanizzano le vittime di entrambe le parti, ma non fanno nulla di utile per la pace.

(Da: Jerusalem Post, 28.1.23)