Quegli osservatori europei tra Gaza ed Egitto, totalmente fallimentari e convenientemente dimenticati

Visto che se la diedero a gambe alle prime difficoltà (rifugiandosi in Israele), ci si aspetterebbe un po’ di umiltà da parte dell’UE quando dà lezioni agli israeliani su come fare la pace

Di Gerald M. Steinberg

Gerald M. Steinberg, autore di questo articolo

Il quindicesimo anniversario del ritiro di Israele dalla striscia di Gaza è stato accompagnato da un’ondata di dolorose memorie personali e politiche, nel mezzo di un complicato dibattito sulla assennatezza dell’improvviso cambiamento di politica operato allora da Ariel Sharon. La recente ripresa dei lanci di palloni terroristici da Gaza, che appiccano il fuoco a campi e boschi del sud di Israele, e i periodici attacchi di razzi che costringono migliaia di israeliani a correre nei rifugi nel cuore della notte, ricordano quanto l’agognata quiete in quella regione fosse un’illusione. Invece di approfittare del ritiro israeliano come di un’opportunità per promuovere lo sviluppo economico a vantaggio della popolazione di Gaza, i capi palestinesi hanno dirottato gli aiuti internazionali verso la realizzazione di brigate missilistiche e di tunnel transfrontalieri per infiltrazioni terroristiche.

In questo bilancio storico è rimasto quasi completamente dimenticato il ruolo svolto dall’Unione Europea in tutto il processo e, soprattutto, la sua totale incapacità di assicurare le garanzie che si era impegnata a soddisfare nel 2005. Dopo il ritiro d’Israele, al valico di Rafah tra Gaza ed Egitto venne dispiegata la European Union Border Assistance Mission (EUBAM, Missione di assistenza UE alla frontiera). La missione consisteva in una sessantina di agenti di polizia e doganali incaricati di “contribuire a portare la pace nella zona”, innanzitutto monitorando i passaggi per evitare traffici illegali di armi verso la striscia di Gaza. In base all’accordo firmato tra Israele e Autorità Palestinese, l’EUBAM avrebbe monitorato la performance dell’Autorità Palestinese nel gestire il valico di frontiera con l’Egitto e avrebbe avuto l’autorità di ordinare il ri-controllo di persone e merci che passavano attraverso il valico se le ispezioni dell’Autorità Palestinese si fossero rivelate insoddisfacenti.

Il “corridoio Philadelphia” fra striscia di Gaza ed Egitto e il valico di Rafah

Fin dall’inizio, questa presenza di monitoraggio dell’UE è stata un totale fallimento: lungi dal dimostrare il potenziale contributo dell’Europa alla pace, ha dimostrato la distanza che esiste tra i bei discorsi e la vera realtà del conflitto e del terrorismo sul terreno. Il traffico di armi è continuato e il 30 dicembre 2005, poche settimane dopo il loro iniziale dispiegamento, gli osservatori dell’EUBAM sono fuggiti da Rafah, mettendosi in salvo presso una base militare israeliana, quando agenti di polizia palestinesi presero d’assalto il valico in quella che ad uso mediatico e diplomatico venne eufemisticamente descritta come una “manifestazione di protesta”. Tre mesi dopo, gli osservatori europei fuggirono di nuovo a seguito di un’ondata di sequestri di cittadini stranieri in corso a Gaza.

Successivamente il team EUBAM tornò al suo posto, ma senza effettuare nessun monitoraggio effettivo. E di fronte all’escalation di attacchi da Gaza che fece seguito al ritiro israeliano, i funzionari dell’UE rimasero semplici spettatori. Nel giugno 2006 un attacco condotto da Gaza in Israele attraverso un tunnel terroristico non lontano dalla postazione di EUBAM provocò la morte di due soldati israeliani e il sequestro di Gilad Schalit (poi trattenuto come ostaggio per più di cinque anni ndr). Quando Israele reagì, l’Unione Europea non esitò a condannare in automatico “l’uso sproporzionato della forza” e “la crisi umanitaria da questo aggravata”.

21 agosto 2020: il sistema difensivo israeliano Cupola di ferro intercetta razzi palestinesi lanciati da Gaza sopra la città di Ashkelon

Un anno dopo Hamas si impadroniva della striscia di Gaza con la violenza, trucidando più di cento palestinesi fedeli all’organizzazione rivale Fatah. A quel punto, nel giugno 2007, i controllori EUBAM abbandonarono definitivamente il valico di frontiera di Rafah. In teoria, la loro partenza avrebbe dovuto comportare la chiusura del valico fra Gaza ed Egitto, secondo quanto previsto dall’accordo sul ritiro firmato da Israele e Autorità Palestinese (Movement and Access Agreement, 15.11.05 ndr), ribadito dal portavoce dell’Unione Europea. Ma quando Hamas prese il controllo non cambiò nulla e anche la scarsa deterrenza che avrebbe potuto sussistere scomparve immediatamente.

Nel folclore politico europeo, il fallimento di EUBAM, come ogni altra cosa collegata ai palestinesi, è attribuito a Israele. Benedetta Voltolini, un’accademica considerata un’esperta di politica dell’Unione Europea, ha scritto che la missione “ha sofferto dei limiti imposti da Israele, che impediva alla UE di svolgere il proprio lavoro”, tacendo l’evidenza e citando invece due ong politicizzate senza credenziali in questioni di sicurezza e finanziate dalla stessa Europa (Gisha e Physicians for Human Rights Israel). La realtà e che l’Unione Europea voleva attribuirsi il merito di un ruolo attivo senza assumersi le responsabilità connesse. Gli osservatori si sono trasferiti in un hotel di Ashkelon (in Israele ndr) e poi in un ufficio a Ramat Gan (sempre in Israele, ma più vicino a Tel Aviv che a Gaza ndr), dove in teoria rimangono in stand-by, 13 anni dopo, “mantenendosi pronti a ri-schierarsi con breve preavviso al valico di Rafah quando la situazione politica e di sicurezza lo consentirà”.

Rimangono il logo e il sito web, mentre EUBAM tiene seminari su argomenti tipo “Come affrontare le necessità dei passeggeri disabili”: una causa senz’altro degnissima, ma ben lontana dal minimo contributo alla sicurezza e alla deterrenza del terrorismo che erano stati affidati all’Unione Europea nel 2005. Nel frattempo, i contribuenti europei pagano due milioni di euro all’anno per l’eventualità puramente teorica che i servizi EUBAM tornino a essere di qualche utilità.

Questa vicenda è parte integrante del retaggio dell’Unione Europea e dovrebbe essere ricordata ogni volta che esponenti come Josep Borrell, il vicepresidente responsabile della politica estera che ha preso il posto di Federica Mogherini, fanno la lezione agli israeliani su come arrivare alla pace, come aiutare la popolazione di Gaza e su come debbano fidarsi ciecamente delle garanzie di sicurezza promesse da soggetti internazionali. Visto che gli osservatori europei hanno totalmente fallito e si sono precipitosamente sottratti al compito minimo che si erano assegnati, ci si aspetterebbe da parte dell’Europa una certa dose di umiltà e un po’ di autocritica.

(Da: Jerusalem Post, 20.8.20)