Quella autolesionistica stupidità sudafricana

Il Sudafrica ha ostinatamente boicottato l’aiuto d’Israele in campo idrico per un malriposto senso di solidarietà con i palestinesi e per i suoi legami con Hamas

Editoriale del Jerusalem Post

Manifestazione anti-israeliana a Città del Capo

Nel febbraio 2016 il movimento BDS-Sud Africa celebrò come una vittoria la decisione di annullare una conferenza sulla crisi idrica che doveva svolgersi a Johannesburg. BDS-Sudafrica disse all’epoca che si rallegrava perché era stato “tolto il tappeto da sotto i piedi all’ambasciatore israeliano, che così non potrà sfruttare la nostra grave crisi idrica per la sua propaganda a buon mercato”. E aggiungeva: “La tecnologia idrica israeliana non è né unica né speciale, è tecnologia ampiamente disponibile da altri paesi più amichevoli”.

Due anni dopo il Sudafrica sta attraversando una gravissima crisi idrica. A meno che non si trovi una soluzione dell’ultimo minuto, Città del Capo avrà presto il dubbio onore di diventare una delle poche, forse la prima città sviluppata al mondo a rimanere senza acqua. Il 12 aprile, noto come Giorno Zero, si prevede che le riserve d’acqua in tutta la città toccheranno quota 13,5% della capacità: a quel punto, secondo il sindaco Patricia de Lille, i rubinetti saranno chiusi e inizieranno severi razionamenti.

Una volta raggiunto il Giorno Zero, i 3,7 milioni di abitanti di Città del Capo dovranno recarsi in uno dei 200 punti di raccolta per ricevere la loro razione d’acqua quotidiana: 25 litri a testa.

Un tecnico di Città del Capo collauda uno dei punti di distribuzione dell’acqua a cui dovranno rivolgersi i residenti dopo il Giorno Zero.

Se due anni fa, o anche prima, il Sudafrica avesse messo da parte il suo autolesionistico boicottaggio d’Israele avrebbe potuto risparmiarsi il Giorno Zero? Può darsi. Ciò che è innegabile è che il Sudafrica non può permettersi di rifiutare l’aiuto di Israele, paese leader a livello mondiale in fatto di desalinizzazione, conservazione, irrigazione e riciclaggio delle acque reflue.

L’esperienza israeliana sulla siccità insegna che è assolutamente essenziale la pianificazione a lungo termine. Gli impianti di desalinizzazione e di riciclaggio delle acque reflue richiedono tempo per essere progettati e costruiti. All’inizio, gli agricoltori sono riluttanti a utilizzare acque reflue riciclate per la preoccupazione che possano danneggiare i loro raccolti. E ci vuole tempo per insegnare alla gente che l’acqua è un bene prezioso, non una risorsa naturale illimitata. Anche l’introduzione di altre tecnologie, come i metodi di irrigazione avanzati e il trattamento delle acque reflue, richiede tempo. Così come la manutenzione ad opera delle municipalità delle condotte che perdono. Ma tutte queste misure sommate fra loro danno i loro frutti. In Israele, sebbene stiamo affrontando il quinto anno consecutivo di siccità, non abbiamo bisogno di ricorrere al razionamento né all’aumento delle tariffe idriche.

Israele ha condiviso il suo know-how in campo idrico con diversi paesi in via di sviluppo in Asia e in Africa. Ma anche paesi tecnologicamente più avanzati hanno imparato da Israele. La California, ad esempio, ha collaborato con Israele per meglio fronteggiare la siccità in corso. Israele ha aiutato nella costruzione di un impianto di desalinizzazione a Carlsbad, una città circa 50 chilometri a nord di San Diego.

Poster di Mekorot, l’azienda idrica nazionale israeliana: «Israele ricicla il 75% dell’acqua, più di 6 volte quanto faccia ogni altro paese». Nella foto: l’impianto di depurazione di Eskhol, presso Ashdod

Il Sudafrica, al contrario, ha ostinatamente boicottato Israele per un malriposto senso di solidarietà con la causa palestinese. I legami tra Hamas e l’African National Congress, il partito al governo in Africa, sono ottimi. Hamas ha partecipato alla 54esima Conferenza nazionale dell’ANC, che si è svolta a Johannesburg lo scorso dicembre. Durante quella conferenza, l’ANC ha deciso di declassare lo status dell’ambasciata del Sudafrica in Israele. Il Sudafrica abbraccia un’organizzazione terroristica che controlla una striscia di terra popolata da quasi 2 milioni di persone sull’orlo di una crisi umanitaria a causa di politiche fallimentari e scellerate. E boicotta Israele, un paese con tecnologie innovative, un’economia fiorente e un governo democratico. Intanto i sudafricani si trovano ad affrontare una crisi idrica che avrebbe potuto essere evitata se l’ANC avesse preso decisioni basate non su atteggiamenti predicatori e aberranti paragoni tra apartheid e conflitto israelo-palestinese, bensì su pragmatismo, senso di giustizia e sugli interessi del popolo sudafricano.

La leadership politica del Sudafrica sarà chiamata a rispondere per aver sabotato gli interessi della sua stessa gente? Lo speriamo. Un gruppo di cittadini sudafricani ha lanciato una petizione on-line per chiedere all’ANC di accettare l’assistenza d’Israele. “Il governo israeliano si è rivolto anni fa al partito di governo ANC per offrire soluzioni, ma l’ANC ha rifiutato adottando una posizione filo-palestinese” si legge nella petizione, che prosegue chiedendo che l’ANC smetta di “importare i problemi politici del Medio Oriente” e “avvii immediatamente colloqui con Israele per chiedere aiuto per risolvere la nostra crisi idrica”.

Prima di cercare di risolvere il conflitto israelo-palestinese associandosi alle forze terroriste, Pretoria farebbe bene a occuparsi delle esigenze più basilari della sua stessa popolazione.

(Da: Jerusalem Post, 4.2.18)