Quella calunnia che fomenta il terrorismo

Come le calunnie anti-ebraiche medievali, il falso slogan “al-Aqsa è in pericolo” genera violenze e spargimenti di sangue

Di Nadav Shragai

Nadav Shragai, autore di questo articolo

Nadav Shragai, autore di questo articolo

Quanto sangue ebraico deve ancora scorrere perché si dichiari reato la calunnia secondo cui “la moschea di Al-Aqsa è in pericolo”? A quanti terroristi verrà permesso di andarsene in giro a uccidere ebrei brandendo questa moderna versione delle calunnie anti-ebraiche medievali, prima che si giudichi oltrepassata la soglia legale dell’”istigazione” all’omicidio?

L’accusa secondo cui lo stato di Israele starebbe tramando per distruggere la moschea di Al-Aqsa o cospirando per alterare lo status quo nel luogo sacro venerato da ebrei e musulmani è una spudorata menzogna. Israele non ha alcuna intenzione di danneggiare la al-Aqsa, e per quanto riguarda lo status quo, se è cambiato negli ultimi tempi è stato a tutto detrimento degli ebrei e dei loro diritti sulla spianata del Monte del Tempio.

Fino a pochi anni fa lo slogan la “al-Aqsa è in pericolo” suonava come una minaccia abbastanza astratta, agitata solo sporadicamente. Ma gli ultimi due anni l’hanno visto diventare una forza trainante che si è tradotta fin troppo spesso in violenza e spargimento di sangue. Decine di terroristi della recente ondata di terrorismo sono scesi per le strade in nome di questa leggenda. Hanno sparato, accoltellato, investito, lanciato pietre e bombe molotov contro gli ebrei perché erano stati indotti a credere, come moltissimi palestinesi, che Israele – che in realtà vieta agli ebrei qualunque minima forma di preghiera sul Monte del Tempio e limita severamente le loro visite al luogo sacro – minacci in qualche modo la moschea di al-Aqsa. L’attentato di domenica nella capitale è stato una diretta conseguenza di questo incitamento all’assassinio, ed è stato preceduto da decine di truci attacchi nella città di Gerusalemme e altrove.

Yossi Kirma, 29 anni, e Levana Malihi, 60 anni, uccisi nell’attentato terrorista palestinese di domenica scorsa

Israele si trova ad affrontare una doppia sfida. In primo luogo, la popolazione palestinese crede davvero a questa calunnia. In secondo luogo, la calunnia va ben al di là dell’istigazione sui social network: dilaga nelle moschee, nelle scuole, nei centri giovanili e domina nei mass-media palestinesi e nelle dichiarazioni dei politici palestinesi, compreso il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che esorta il suo popolo a “difendere” Gerusalemme e la al-Aqsa dagli ebrei che vogliono “profanarla” e “contaminarla”.

Monitorare l’istigazione on-line è importante, ma non basta. Israele dovrebbe affrontare di petto la questione con una campagna di diplomazia pubblica volta a spiegare la realtà sul Monte del Tempio, e la natura e gli effetti della calunnia palestinese. E dovrebbe aggiornare il diritto penale per generare una vera deterrenza. L’azione dovrebbe essere portata su più fronti: Cisgiordania e paesi arabi, ma soprattutto nella zona est di Gerusalemme dove, contrariamente a quanto credono in molti, la maggior parte degli abitanti vuole solo vivere la propria vita in pace sotto il governo israeliano.

La calunnia circa la al-Aqsa rappresenta un’autentica minaccia terroristica, simile a quella posta da razzi e ordigni esplosivi, e dovrebbe essere trattata come tale.

(Da: Israel HaYom, 10.10.16)

Una vignetta diffusa da Fatah per celebrare l’attentato a Gerusalemme: una mano impugna un mitra per “difendere” le moschee mentre in basso una pozza di sangue sgorga da due elmetti con la Stella di David che simboleggiano i due israeliani uccisi. Da notare che una delle due vittime rappresentate dall’elmetto militare era una pensionata 60enne