Quella destra israeliana senza risposte

Netanyahu segua piuttosto le orme di Theodor Herzl, David Ben-Gurion e Menachem Begin

Di Dan Margalit

Dan Margalit, autore di questo articolo

Dan Margalit, autore di questo articolo

Il combattivo discorso fatto dal leader di Habayit Hayehudi, Naftali Bennett, all’inizio della scorsa settimana alla conferenza annuale dell’Istituto di studi sulla sicurezza nazionale tenuto a Tel Aviv, ha lasciato il pubblico piuttosto esterrefatto. Bennett ha annunciato al pubblico una buona notizia: possiamo tenere tutto il paese perché la minaccia demografica è superata. Bennett ha infatti scoperto che esiste un aumento del tasso di natalità delle donne ebree e un parallelo calo del tasso di natalità delle donne arabe. La sua teoria, però, ha retto solo fino a quando è uscito dalla sala conferenze ed è incappato nel professor Sergio Della Pergola, esperto demografo. Queste tendenze esistono effettivamente, ha detto Della Pergola a Bennett, ma lui le ha fraintese. La popolazione ebraica è più anziana di quella araba per cui, anche se vi è un cambiamento nella struttura globale del tasso di natalità, l’andamento reale è quello opposto. In percentuale, vi sono ogni anno sempre più arabi e sempre meno ebrei nella terra che si estende tra il mare Mediterraneo e il fiume Giordano. Della Pergola ha detto a Bennett che sarebbe stato lieto d’avere il tempo di spiegargli la cosa più dettagliatamente. Ora tutto quello che dobbiamo fare è aspettare e vedere se Bennett deciderà di incontrare lo stimato professore.

Sergio Della Pergola, demografo

Sergio Della Pergola, demografo

La demografia è il pomo della discordia nella società israeliana sin dal 1967, e la natura della questione si è prestata a innumerevoli dibattiti sul processo di pace israelo-palestinese, compreso il più recente sulla questione se l’Autorità Palestinese debba o meno accogliere una minoranza ebraica entro i confini del suo futuro stato. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato un ballon d’essai in questo senso, e sia Bennett che il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) hanno immediatamente respinto l’idea. Ma la parlamentare laburista Shelly Yachimovich ha rivelato che aveva già discusso di recente questa eventualità con Abu Mazen durante una sua ultima visita a Ramallah, e questi non l’aveva affatto rigettata con la precipitazione ostentata ora.

La questione degli insediamenti israeliani nella futura Palestina è certamente forzata. Il fatto è che nessun governo israeliano desidera espellere degli ebrei dalle loro case, e per questo è disposto a pagare con territori alternativi. Ma a dire la verità, il concetto in se stesso è positivo. Israele non può tollerare l’idea che vi sia un qualsiasi paese al mondo, per non parlare di un paese così vicino, che non permette agli ebrei in quanto tali di abitarvi: questo sì che rappresenterebbe la quintessenza del razzismo e l’apartheid. Le chance che il processo di pace israelo-palestinese diventi realtà aumenteranno solo se entrambe le nazioni riconosceranno i diritti delle rispettivi minoranze di vivere all’interno dei loro confini, e non come una coercizione.

Purtroppo Abu Mazen è un notorio ripudiatore della pace. Netanyahu è il terzo leader israeliano, dopo Ehud Barak ed Ehud Olmert, che il presidente dell’Autorità Palestinese evita accuratamente. Se invece avesse firmato la pace che gli è stata più volte proposta, basata su un compromesso tra le esigenze delle parti, oggi avrebbe il suo stato indipendente e contemporaneamente Israele avrebbe preservato la maggior parte degli importanti risultati ottenuti nella Guerra dei Sei Giorni del ‘67: il ritorno alla culla del patrimonio ebraico sul Monte del Tempio e nella Città Vecchia di Gerusalemme; i principali blocchi di insediamenti in Giudea e Samaria (Cisgiordania), misure di sicurezza nella valle del Giordano, il libero accesso privato a ogni parte di Giudea e Samaria. Cosa hanno invece da offrire Bennett e i suoi? Niente. Non fanno che ripetere un concetto: che ogni volta che gli ebrei hanno accettato una qualsiasi divisione della terra, il sionismo ha subito una debacle. Sciocchezze.

Circa 77 anni fa David Ben-Gurion costrinse il movimento sionista ad accettare la divisione della Terra d’Israele raccomandata dalla Commissione britannica Peel. Se fosse nato allora (ma non lo fu a causa della totale opposizione della parte araba), pochi anni dopo quel minuscolo stato ebraico avrebbe potuto accogliere molti degli ebrei che cercarono invano di violare le porte chiuse del Mandato Britannico, finendo stritolati nella Shoà.

Tappe del ritiro israeliano dal Sinai in seguito al Trattato di pace con l'Egitto

Tappe del ritiro israeliano dal Sinai in seguito al Trattato di pace con l’Egitto

Un decennio dopo, ancora una volta Ben-Gurion fu pronto ad accettare un piano di divisione, nonostante i Bennett del suo tempo sostenessero che gli arabi avrebbero respinto il piano. Credo che oggi persino arnesi della destra israeliana come gli ex membri dell’Irgun e del Lehi Geulah Cohen e Israel Eldad e il poeta nazionale Uri Zvi Grinberg avrebbero cambiato tono circa quella posizione di Ben-Gurion. Se non fosse stato per la sua testardaggine, oggi Israele semplicemente non esisterebbe, anche se il piano di divisione fu seguito da una guerra iniziata dagli arabi (che effettivamente lo rifiutarono).

Salto in avanti di 30 anni, ed ecco il primo ministro Menachem Begin che presenta al suo popolo la pace più importante nella storia di Israele: l’accordo di pace del 1979 con l’Egitto, che da allora ha retto per 35 anni e non ha portato altro che benefici a Israele. I Bennett di allora lo attaccarono ferocemente. Begin fu capace di ottenere il necessario voto di approvazione da parte della Knesset nonostante l’opposizione montata dai vari Danny Danon, Yariv Levin, Ofir Akunise, Zeev Elkin e Tzipi Hotovely dell’epoca, che si chiamavano Haim Landau, Moshe Arens, Yitzhak Shamir e Olmert. Hanno mai chiesto scusa per avergli dato tanto filo da torcere?

Se Netanyahu trova il modo di fare un qualsiasi accordo di pace, anche lasco, garantendosi quei risultati del ’67 di cui si è detto, allora non deve dare ascolto a coloro che cercano di scoraggiarlo. Netanyahu ha appreso in famiglia che Theodor Herzl cercava di imprimere un segno nel diritto delle nazioni, giacché capiva che il sionismo aveva bisogno di essere riconosciuto dalla comunità internazionale. I rivali di Netanyahu cianciano di quanto siano poco importanti la comunità internazionale e le minacce di boicottaggio, ma a lui si presenta invece l’occasione storica di ricollegarsi all’approccio che fu di Herzl, di Ben-Gurion e di Begin. Se Netanyahu seguirà le loro orme, i suoi ministri, i loro vice e i parlamentari assomiglieranno al Likud che nel 1978 tentò inutilmente di bocciare il trattato di pace con l’Egitto. E sarebbe anche una rara occasione per andare a vedere se la conflittualità araba è davvero finita o se è solo temporaneamente addormentata.

(Da: Israel HaYom, 31.1.14)

Si veda anche: Il riflesso pavloviano della sinistra israeliana