Quella domanda che resta senza risposta: cosa impedisce ai palestinesi di riconoscere Israele come stato ebraico?

Se l’occupazione si intende iniziata nel ’48, allora non c’è nessuna soluzione “a due stati”

Di Gershon Baskin

Gershon Baskin, co-presidente di IPCRI (Israel/Palestine Center for Research and Information), autore di questo articolo (una cui versione in arabo è stata pubblicata questa settimana sul quotidiano palestinese Al Quds)

Gershon Baskin, co-presidente di IPCRI (Israel/Palestine Center for Research and Information), autore di questo articolo

La popolazione israeliana ha votato nettamente a favore di Benjamin Netanyahu. La paura è il fattore che a mio parere spiega come mai ha votato prevalentemente per la destra. La maggior parte degli israeliani vive realmente con la paura: il Medio Oriente è un luogo molto pericoloso e terrorizzante. Le minacce che ci circondano sono reali, dallo “Stato Islamico” (ISIS), a Hezbollah, a Hamas, a Siria, Libano, Libia, Yemen, Sinai e, naturalmente, l’Iran.

Quasi tutti gli israeliani vogliono la pace, così come la vogliono quasi tutti i palestinesi. Ma la grande maggioranza da entrambe le parti semplicemente non crede che sia possibile: non è che non la vogliono, semplicemente non pensano sia realizzabile. Nelle elezioni israeliane, mentre la parola “pace” era quasi del tutto assente dalla campagna di tutti i partiti, le minacce e le paure erano ben presenti. Quando la situazione si presenta in questi termini, la preoccupazione principale dell’elettore israeliano è: “chi mi proteggerà meglio: Netanyahu o Isaac Herzog?”. La risposta è stata chiara e netta.

Personalmente viaggio per Israele in lungo e in largo per parlare di pace israelo-palestinese. Ho una serie di ottime risposte per quasi ogni domanda che mi viene posta. Ma c’è una domanda precisa di fronte alla quale non ho risposte abbastanza buone. Le domanda è: perché i palestinesi si rifiutano di riconoscere il diritto del popolo ebraico a uno proprio stato nazionale? Cosa impedisce ai palestinesi di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico?

Rispondo che i palestinesi hanno riconosciuto Israele e che questo dovrebbe bastare. Ma non basta. Mi ribattono che i palestinesi non hanno mai accettato il diritto del popolo ebraico ad avere un proprio stato nella loro antica patria e che hanno riconosciuto Israele solo perché Israele oggi è forte, ma se Israele non fosse così forte, i palestinesi gli negherebbero il diritto di esistere.

Dunque mi rivolgo direttamente ai palestinesi e chiedo: perché è così difficile riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico? Forse perché Israele non ha ancora riconosciuto nei fatti il diritto del popolo palestinese a un proprio stato? Non credo: se domani Israele annunciasse la sua disponibilità a riconoscere la Palestina, forse che i palestinesi riconoscerebbero il diritto del popolo ebraico a un suo stato? Oppure, come dice la maggior parte degli ebrei israeliani, la verità è che i palestinesi rifiutano il principio stesso di un diritto di Israele ad esistere come stato nazionale del popolo ebraico? Un principio che invece appare fondamentale per gli ebrei, in Israele e in tutto il mondo, tanto che non c’è modo di sfuggire alla questione, che anzi va affrontata di petto e subito.

La rivendicazione dello stato insegnata nelle scuole palestinesi esclude l'esistenza di Israele

La rivendicazione dello stato insegnata nelle scuole palestinesi esclude l’esistenza di Israele

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ripetutamente affermato che la sua prima condizione per avviare seri negoziati è che i palestinesi riconoscano Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Allora perché non farlo e sfidare Netanyahu ad avviare sul serio i negoziati? Molti israeliani sono convinti che i palestinesi in realtà non accettano la legittimità dell’esistenza di Israele e non sono davvero disposti a fare una vera e propria pace duratura. Molti israeliani parlano di un “soluzione a due stadi”, anziché una “soluzione a due stati”, intendendo che i palestinesi sono disposti a fare la pace con Israele, oggi, perché Israele è forte e i palestinesi sono deboli, ma si ripromettono un giorno non lontano, quando le cose cambieranno, di chiudere la partita cancellando Israele dalla carta geografica. (Per il testo del “Piano a fasi” dell’Olp del 1974 e un suo inquadramento, si veda: Il piano a fasi per la distruzione di Israele, in: Tutto Israele è “Palestina” per il movimento guidato da Abu Mazen). Questa percezione di molti israeliani trova conferma nel perdurare delle campagne di istigazione all’odio contro Israele ed ebrei che pervadono mass-media e libri di testo palestinesi. (Si veda la documentazione, in inglese, in Palestinian Media Watch e in Middle East Media Research Institute). Non sono invenzioni, è la realtà. E costituisce un motivo di profonda preoccupazione per il governo e il popolo israeliano, che deve essere affrontato dai leader e dal popolo palestinese. So bene che la realtà dell’occupazione è dura e che vi è grande sofferenza quotidiana fra i palestinesi. So delle migliaia di palestinesi nelle carceri israeliane. E’ perfettamente chiaro che ogni aspetto della vita dei palestinesi è sotto il controllo e dominio israeliano. E’ fuori discussione che il popolo palestinese ha diritto alla sua libertà e ad affrancarsi dall’occupazione israeliana. Ma restano molti interrogativi circa la reale volontà e disponibilità dei palestinesi a vivere in una pace duratura accanto a Israele.

Tutta la pubblicistica palestinese descrive Israele come uno stato che va cancellato dalla carta geografica

Tutta la pubblicistica palestinese descrive Israele come uno stato che va cancellato dalla carta geografica

E allora, perché è così difficile riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico? E’ per la percezione di una ingiustizia “storica” di fondo che deriva ai palestinesi dalla convinzione che la terra gli sia stata sottratta dagli ebrei per creare Israele e che solo l’eliminazione di Israele darebbe giustizia ai palestinesi? Insomma, quando è iniziata l’occupazione: nel 1948 o nel 1967? Se la risposta è “nel 1948”, allora non esiste nessuna “soluzione a due stati” e la proposta di creare un unico stato è in realtà solo una dichiarazione di intenti per l’eliminazione dello stato di Israele.

So che il concetto di “ebreo” è complesso. La maggior parte dei palestinesi, e molti altri non ebrei, confondono il giudaismo come religione con l’ebraismo come nazione, come popolo. Dicono: perché mai dovrebbe esserci uno stato ebraico? e parlano di Israele come di una teocrazia, come dello stato di una religione. Ma l’ebraicità di Israele è molto altro e di più: in effetti Israele è uno stato laico, non uno stato religioso o una teocrazia. Sebbene le leggi sullo status personale (ereditate dagli Ottomani anche nei territori palestinesi) sono appannaggio del clero e delle varie comunità religiose, le leggi dello stato d’Israele sono leggi civili promulgate dal parlamento, non editti decretati da qualche autorità religiosa. Personalmente sono ebreo. Non sono religioso, eppure sono molto ebreo e sento molto l’appartenenza al popolo ebraico, in Israele e in tutto il mondo. Per me, Israele è la mia casa nazionale non per via della religione, ma perché sento di far parte del popolo ebraico. Capisco che è complicato, ma è proprio così che stanno le cose.

So che i palestinesi sono preoccupati per il futuro del milione e 200mila cittadini arabo-palestinesi dello stato d’Israele. Se Israele viene riconosciuto come stato nazionale del popolo ebraico, dicono, che ne sarà di loro? Beh, tutti i paesi del mondo riconosciuti come stati nazionali di un popolo hanno minoranze al loro interno. Se questi paesi sono democratici, hanno precise garanzie per la tutela dei diritti delle loro minoranze. La Germania è lo stato nazionale del popolo tedesco, ma vi vivono milioni di turchi. Nessuno mette in discussione il diritto dei tedeschi di definire il loro paese come lo stato nazionale del popolo tedesco nel momento in cui garantiscono i diritti dei cittadini turchi che vi vivono. Lo stesso vale per ogni altro stato nazionale (Italia compresa). I diritti della minoranza arabo-palestinese in Israele devono essere tutelati in quanto cittadini a pieno titolo di questo paese.

Propaganda e indottrinamento palestinesi descrivono il "diritto al ritorno" (rappresentato dal simbolo della chiave) come l'invasione ed eliminazione di Israele

Propaganda e indottrinamento palestinesi descrivono il “diritto al ritorno” (rappresentato dal simbolo della chiave) come l’invasione ed eliminazione di Israele

La stragrande maggioranza degli israeliani arabo-palestinesi vive in comunità che sono esclusivamente palestinesi. Studiano in scuole di lingua araba e hanno proprie istituzioni culturali, sostenute dallo stato, che coltivano la cultura araba in Israele. Sì, vi sono discriminazioni a danno dei cittadini arabo-palestinesi in Israele e nei fatti la piena parità di diritti non è ancora completa, ma la situazione è in costante miglioramento. Il primo ministro di Israele e la stragrande maggioranza degli ebrei israeliani non prendono nemmeno in considerazione l’idea che il riconoscimento di Israele come stato nazionale del popolo ebraico apra la strada alla cancellazione dei diritti di cittadinanza degli arabo-palestinesi d’Israele. E nessuno si sogna in Israele di parlare sul serio di espellere i cittadini arabo-palestinesi dalle loro case.

So anche che i palestinesi sono preoccupati che il riconoscimento di Israele come stato nazionale del popolo ebraico possa compromettere le loro rivendicazioni circa i diritti dei profughi di “tornare a casa”. Il problema dei profughi è sul tappeto: le parti ne hanno discusso e ne discuteranno nei negoziati. Ma è innegabile che vi è una fondamentale contraddizione tra l’idea dei “due stati per due popoli” e il “diritto al ritorno” di un rilevante numero di palestinesi dentro Israele. Capisco che è una realtà difficile da digerire. Ma è il principio fondamentale che sta alla base della decisione strategica di avere uno stato palestinese indipendente nei territori occupati da Israele nel 1967, rinunciando ad ogni pretesa sulle terre dentro Israele.

(Da: Jerusalem Post, 25.3.15)