Quella frattura che attraversa le società occidentali. Israele compreso

I pessimi toni dello scontro Clinton-Trump non devono mettere in ombra le serissime, irrisolte questioni di fondo: identità, solidarietà, ethos condiviso

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Non s’era mai visto nulla di simile: una campagna elettorale incentrata su temi quali le molestie sessuali, la corruzione, il razzismo e i segnali di antisemitismo. Israele, detto per inciso, non è comparso fra i temi-chiave, nemmeno di passaggio. Meglio così, date le circostanze. Perché in quella campagna non c’era posto per una vera discussione.

Quello che sta accadendo negli Stati Uniti è un sintomo di ciò che accade in Occidente. E’ stata una campagna elettorale che ha messo in risalto la profonda frattura in atto nelle democrazie occidentali. Presto assisteremo a uno spettacolo analogo in Francia. In Gran Bretagna è già avvenuto con il referendum sulla Brexit, culminato in un parricidio politico. In altri paesi europei i sondaggi prevedono un crollo dei vecchi partiti e l’ascesa di formazioni populiste ed estremiste. La battaglia in corso è tra un establishment vecchio, corrotto e marcio e una politica populista e demagogica. In altre parole: Clinton vs. Trump.

Le pessime espressioni usate nelle campagne elettorali, come in quella che si è svolta negli Stati Uniti, non devono mettere in ombra la vera frattura: le democrazie occidentali sono alle prese con serissime questioni come l’identità nazionale, la solidarietà, l’ethos condiviso (o ciò che ne resta), il posto della religione ecc. Non sono questioni semplici, anche se le risposte finora sono semplicistiche. Nel corso degli ultimi decenni la maggior parte dei paesi europei ha cercato di imitare il melting pot americano. Più stranieri, più immigrati, più rifugiati. Basta con gli stati nazione a favore di una società aperta, pluralista e multiculturale, sovranazionale. In effetti negli Stati Uniti aveva funzionato, soprattutto quando gli immigrati provenivano da Italia e Polonia, Inghilterra e Germania.

Donald Trump e Benjamin Netanyahu lo scorso settembre a New York

Donald Trump e Benjamin Netanyahu in un incontro, lo scorso settembre, a New York

Ma sembrava proibito dire una sola parola di critica che deviasse dal coro della correttezza politica. Il presidente Barack Obama ha toccato il culmine quando ha deciso di chiudere gli occhi e rifiutarsi di pronunciare le fatidiche parole “terrorismo islamico”: un fenomeno che, stando a lui, non esiste, giacché qualcuno potrebbe sentirsi offeso. Donald Trump ha afferrato la frustrazione determinata da questo genere di cecità, l’ha cavalcata ed è diventato presidente.

D’altra parte, c’è qualcosa di sintomatico nel fatto che uno dei principali sovvenzionatori di Hillary Clinton, George Soros, un miliardario anti-israeliano, sia un ardente sostenitore del concetto di “società aperta” e allo stesso tempo una persona il cui nome è legato a vicende di corruzione e che ha fatto fortuna speculando nel mercato dei capitali.

E’ stato anche uno dei temi sullo sfondo del referendum sulla Brexit: una controversia tra la scuola di pensiero che cancella i confini e quella che vuole ripristinare confini e identità nazionali. E’ la controversia con cui sono alle prese molti altri stati europei. Bruxelles, capitale dell’Unione Europea, è vista come l’equivalente europeo della corrotta Washington.

La rivolta è iniziata più di un anno fa con il primo ministro ungherese Viktor Orban che annunciava il suo rifiuto di accettare gli ordini di Bruxelles in materia di quote di immigrati. Ha cominciato mettendo barriere e costruendo recinzioni, e subito è diventato il razzista d’Europa. Curiosamente, nel giro di pochi mesi molto di ciò che Orban aveva detto è diventata la politica di parecchi paesi europei.

Ma la vera frattura, che richiede una seria riflessione, si è fatta strada nei quartier generali delle elezioni presidenziali americane. Invece di una discussione abbiamo visto urla e insulti, perché entrambi i candidati, Trump e Clinton, erano più che altro una caricatura delle posizioni che in essi si identificano in modo assai nebuloso. I sostenitori dell’approccio nazional-conservatore e i sostenitori di quello universalistico-liberale meriterebbero rappresentanti un po’ più seri di quelli in gara per la presidenza degli Stati Uniti, e presto della Francia.

E Israele? Naturalmente non è fuori dal mondo. Anzi, da tempo anche qui è in atto uno scontro di fondo tra i sostenitori della società aperta, fino agli estremi dello “stato dei cittadini” senza più identità né tradizione, e i sostenitori del nazionalismo, fino agli estremi dell’esclusivismo sciovinista.

E siamo solo all’inizio. Le elezioni americane non hanno offerto una seria discussione sulla controversia. L’hanno solo portata al parossismo. Il dibattito e la riflessione dovranno per forza continuare, si spera in un modo un po’ più serio e costruttivo.

(Da: YnetNews, 9.11.16)