Quella inspiegabile passione per un vano pezzo di carta

E se la ricerca di un accordo formale fosse di intralcio alla pace?

Di Elyakim Haetzni

image_3691Signor Presidente degli Stati Uniti,
si dice che gli americani sono impegnati a risolvere la nostra crisi coi palestinesi. Ma non potrebbe essere che gli americani siano un ostacolo e non la soluzione, giacché l’aspettativa araba che essi esercitino pressioni su Israele non fa che rendere le loro posizioni più estremiste? In questo momento c’è una bambina israeliana di due anni che lotta tra la vita e la morte, e la madre e due sue sorelle sono ferite. Sono state aggredite a colpi di pietre in Cisgiordania alla vigilia della sua visita in questa ragione.
Anche lei si è reso conto che la sua richiesta di congelare tutte le attività edilizie ebraiche in Cisgiordania come pre-condizione per la ripresa di negoziati non ha fatto che contribuire a impedire che i colloqui si riavviassero. Il capo palestinese che governa a Ramallah non può essere meno “realista” del “re americano”.
“La primavera araba è una finestra di opportunità – ci dicono i suoi assistenti – Ora potete parlare direttamente con la piazza araba”. E se fosse vero che solo i dittatori possono firmare i vani accordi con noi, mentre l’autentica volontà delle masse arabe esclude qualunque accordo o negoziato?
Che diritto hanno gli americani di pretendere che noi cediamo sempre altro territorio, portando il coltello arabo sempre più vicino alla nostra gola? L’America, con tutte le migliori intenzioni, si è ritirata dall’Iraq lasciandolo nel caos e facendolo cadere come un frutto maturo nelle mani dell’Iran. L’America non ha saputo trovare una soluzione in Afghanistan a fronte dei talebani, non ha saputo prevedere gli sviluppi in Libia e ha fatto un enorme errore in Egitto. Comprensibilmente lei, Presidente, non ha voglia di scottarsi le dita in Siria, e se noi avessimo dato ascolto ai consigli dei suoi predecessori (di ritirarsi dal Golan), oggi vedremmo i “ribelli” di al-Qaeda aggirarsi sulla riva del lago di Tiberiade. In questa “primavera araba” Libia, Iraq, Siria, Libano e forse la Giordania si sono rivelati per quello che sono: delle costruzioni fittizie. È proprio questo il momento per crearne un’altra, questa volta palestinese?
L’obiettivo ufficiale, si dice, è un accordo con i palestinesi. È se proprio la firma di quel pezzo di carta fosse l’intralcio? Come mai metà dei palestinesi che vivono a Gaza e la maggioranza di quelli in Cisgiordania, così come i cittadini d’Israele arabo-palestinesi e milioni di altri palestinesi in tutto il mondo si rifiutano di firmare? Perché firmare significherebbe riconoscere che Israele entro le linee del ’67 appartiene al popolo ebraico, e significherebbe anche rinunciare al “diritto al ritorno” dentro Israele di milioni di discendenti di profughi palestinesi. Israeliani e occidentali fanno fatica a capire che questa questione è molto più importante, per loro, che non creare un staterello alla occidentale simile a Iraq e Siria, che stanno crollando davanti ai loro occhi.
Mentre i palestinesi sono contrari a un accordo formale, una coesistenza di fatto esiste già, per cui l’insistenza dell’occidente sul fatto che gli arabi firmino il documento – un atto di tradimento, dal loro punto di vista – è inspiegabile. Un tale documento non avrebbe comunque alcun valore giacché nessuno lo rispetterebbe. Come mai, dunque, l’occidente si rifiuta di accettare la sostanza senza l’involucro: vivere fianco a fianco senza l’insegna né l’etichetta dell’accordo formale? Tanto più che accettare lo stato di Israele del ’67 costerebbe la vita agli arabi che firmassero un tale documento.
Signor Presidente, se volesse visitare un qualunque ospedale di Gerusalemme vedrebbe ebrei e arabi che vengono curati da medici e paramedici arabi ed ebrei, in perfetta armonia. Vedrebbe la coesistenza nelle università e nei centri commerciali, in Israele e presso gli insediamenti. Se venisse imposto un accordo alle due parti, quei centri commerciali chiuderebbero, i pazienti non verrebbero più negli ospedali, i lavoratori non avrebbero più lavoro, la rabbia e l’odio crescerebbero. Questo, oltre a migliaia di vittime fra ebrei e arabi, è quanto è accaduto dopo gli accordi di Oslo.

(Da: YnetNews, 21.3.13)

Nella foto in alto: Elyakim Haetzni, autore di questo articolo