Quella irresistibile tentazione di cancellare l’identità e la storia ebraica

Chi cerca di farlo, dimostra di non essere realmente interessato al dialogo e alla pace

Editoriale del Jerusalem Post

I Rotoli del Mar Morto, testimonianza scritta della presenza della cultura ebraica in Terra d’Israele più di duemila anni fa

Mentre la sovranità statale continua a sfuggirgli – principalmente a causa dei loro stessi rifiuti e della loro intransigenza – i palestinesi insistono con il tentativo di dirottare la storia e prendere in ostaggio i tesori nazionali del popolo ebraico e israeliano, nello sforzo – sterile e controproducente – di promuovere in questo modo la loro causa. Secondo Shimon Samuels del Simon Wiesenthal Center, quest’estate i palestinesi utilizzeranno probabilmente una riunione dell’Unesco per sostenere che il sito archeologico di Qumran, e i famosi Rotoli del Mar Morto che lì vennero rinvenuti alcuni decenni fa, in realtà appartengono a loro.

A quanto risulta, i palestinesi hanno pronta una lista di 13 siti che vogliono registrare all’Unesco sotto la voce “Palestina”, e hanno già mietuto qualche successo. Nel 2012 il Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Umanità ha attribuito alla “Palestina” la Chiesa della Natività di Betlemme; nel 2014 le terrazze agricole di Battir, sito dell’antica fortezza ebraica di Betar (l’ultima roccaforte della rivolta di Bar Kokhba, distrutta dall’esercito romano dell’imperatore Adriano nell’anno 135); nel 2017 la Tomba dei Patriarchi di Hebron. E lo scorso anno c’è stata la famigerata risoluzione dell’Unesco che disconosceva ogni legame storico e culturale dell’ebraismo con il Monte del Tempio e il Muro occidentale (“del pianto”) a Gerusalemme.

Tutto ciò avviene mentre un’altra agenzia delle Nazioni Unite, il Consiglio per i diritti umani, vota una risoluzione per vietare la vendita di armi a Israele (cioè, per impedirgli di difendersi). Come previsto, la bozza di risoluzione è stata sponsorizzata da paesi che sono veri fari di pace e diritti umani: Bangladesh, Bolivia, Cile, Cuba, Ecuador, Giordania, Pakistan, Venezuela e Autorità Palestinese.

Già i Romani cercarono invano di cancellare ogni traccia degli ebrei, cambiando persino il nome della Terra d’Israele in Palaestina. Oggi nello stemma dello Stato d’Israele c’è la Menorà del Tempio di Gerusalemme trafugata dai Romani nel 70 e.v. come compare nei rilievi dell’Arco di Tito a Roma

Che le istituzioni delle Nazioni Unite siano prevenute contro Israele è un fatto triste ma risaputo, e non costituisce certo una novità. E’ una vergogna per le Nazioni Unite e per molti dei paesi membri, punto. Ma quello che stanno facendo ora i palestinesi – tentare di rubare la storia nazionale del popolo ebraico – è qualcosa di completamente diverso, che dovrebbe spingere ogni governo degno di questo nome a chiedersi se Abu Mazen sia davvero il sostenitore della pace che sostiene di essere.

La pace inizia dall’accettazione dell’altro e dal riconoscimento della sua identità nazionale, della sua narrativa e della sua storia. Se è così, perché gli arabi palestinesi vogliono reclamare come propri i Rotoli del Mar Morto? Intendono forse sostenere, ad esempio, che l’Apocrifo di Genesi (unica copia esistente di un testo ebraico di duemila anni fa che sviluppa il libro della Genesi) narra la loro storia? O forse che gli esseni, la setta ebraica che viveva nell’area di Qumran e scrisse i famosi Rotoli, erano in realtà musulmani palestinesi e non ebrei? Cose di questo genere non sono solo assurde, sono disperanti. Purtroppo, in un luogo come l’Unesco è del tutto probabile che venga approvata una risoluzione che affermi che i Rotoli del Mar Morto appartengono al “patrimonio degli arabi palestinesi”.

Più di ogni altra cosa, tuttavia, questa proposta rivela il vero volto dei nazionalisti palestinesi, che evidentemente non sono interessati ad alcun vero dialogo o negoziato con Israele. Perché ciò accada, la dirigenza dell’Autorità Palestinese a Ramallah dovrebbe essere pronta a fare serie concessioni su questioni come il cosiddetto “diritto al ritorno”, Gerusalemme, gli insediamenti. Ma perché mettersi in una posizione che ti costringe a prendere decisioni difficili quando puoi tentare semplicemente di cancellare dalla vista il popolo ebraico? Perché esercitare una leadership responsabile quando puoi ottenere che il mondo ti assista nel riscrivere la storia a tuo piacimento?

Abu Mazen, che la scorsa settimana ha definito l’ambasciatore americano in Israele David Friedman un “figlio di cane”, si è dato da fare tutto lo scorso anno per dimostrare di non essere realmente interessato alla pace. Se lo fosse, cercherebbe continuamente di mettere alla prova Israele e vedere fino a che punto il primo ministro Benjamin Netanyahu è disposto a spingersi per arrivare alla pace con i suoi vicini. Invece di insultare i diplomatici americani e invocare il crollo della casa del presidente Donald Trump, se desiderasse davvero la pace cercherebbe attivamente il modo per convincere Israele a fare i passi necessari, per costringere Netanyahu a venire al dunque e firmare accordi di pace fra i due popoli che fissino confini chiari e impegni netti: cose che probabilmente lui è il primo a non volere.

Ecco dunque in che ottica vanno considerati questi sforzi dei palestinesi. Possono provare finché vogliono a rubare l’identità e la storia degli ebrei, ma ciò non farà avanzare minimamente la loro causa per uno stato indipendente. E dovrebbero anche ricordare che loro non sono certo i primi che cercano di cancellare l’identità nazionale degli ebrei, per poi fallire, alla fine, completamente. Per capirlo, basterebbe che conoscessero un po’ di storia ebraica.

(Da: Jerusalem Post, 25.3.18)