Quella “Nakba ebraica” del tutto dimenticata. Fino a poco fa

Piano di spartizione, rifiuto arabo e profughi ebrei: per ricordare il ‘48

Di Eli Hazan

Eli Hazan, autore di questo articolo

Eli Hazan, autore di questo articolo

Sessantasei anni fa, il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Risoluzione 181 in base al quale la Terra d’Israele (allora sotto Mandato britannico) doveva essere divisa in due stati: uno “stato ebraico” e uno “stato arabo”. Quel voto, ovviamente, ebbe un impatto assai rilevante sulla regione.

Le conseguenze di quella decisione andarono oltre la realtà politica che ne scaturì. La decisione ebbe un altro aspetto, umano, perché gli arabi si rifiutarono di accettarla. Molti capi arabi si adoperarono per silurare la creazione di uno stato ebraico e questo portò alle ostilità e alla guerra d’indipendenza, costata la vita a 6.000 ebrei (sui 600mila che risiedevano allora nel paese).

Quei capi arabi generarono anche una tragedia umana per gli arabi. Spinsero gli arabi che risiedevano nel paese a lasciare le loro case affinché gli eserciti degli stati arabi confinanti protessero massacrare la popolazione ebraica senza danni collaterali. Un piano che andò tragicamente storto, e di conseguenza molti residenti arabi, dopo aver lasciato Israele, divennero profughi.

In questo contesto, vi fu un altro gruppo umano che divenne una comunità di profughi: gli ebrei del Medio Oriente. Sulla scia del piano di spartizione, centinaia di migliaia di ebrei che vivevano nei paesi arabi da secoli, quando non da millenni, furono tormentati e fatti oggetto di varie forme di violenza. La portata di queste aggressioni li costrinse a fuggire, andando in gran parte a stabilirsi nello stato d’Israele appena nato.

Profughi ebrei in fuga da paesi arabi, nella celebre foto scattata intorno al 1949 da Robert Capa (della Magnum) nel campo di transito di Sha'ar Ha'aliya, presso Haifa.

Profughi ebrei in fuga da paesi arabi, nella celebre foto scattata intorno al 1949 da Robert Capa (della Magnum) nel campo di transito di Sha’ar Ha’aliya, presso Haifa.

Nel corso degli anni, le dirigenze arabe non hanno fatto che aggravare la sofferenza umana facendo in modo che i profughi arabi non si potessero mai integrare nei paesi arabi dove erano approdati. In quegli stessi anni, paesi come la Germania Ovest, l’India, il Pakistan, la Turchia, la Grecia e altri conobbero degli afflussi di profughi analoghi, talvolta addirittura identici, altre volte numericamente molto superiori. Ma in tutti quei casi, i governi si sono adoperati per riabilitare e assorbire i profughi, disinnescando una mina umana potenzialmente devastante. È quello che fece anche Israele, accogliendo ebrei da tutto il mondo, paesi arabi compresi. I profughi arabi di Palestina, invece, divennero uno strumento cinicamente sfruttato dalla macchina della propaganda anti-israeliana. Ecco come si è venuto gonfiando di anno in anno il mito della cosiddetta Nakba (catastrofe) palestinese.

Nel corso degli anni, gli stati arabi hanno deliberatamente ignorato la tragedia umana inflitta agli ebrei dei paesi musulmani: ebrei che erano stati perseguitati e cacciati, e tutte le loro proprietà espropriate. In termini odierni, venne confiscato dalle autorità arabe l’equivalente di 300 miliardi dollari. Oltre alla profonda sofferenza psicologica. Questa “Nakba ebraica” venne del tutto dimenticata dalle successive realtà geopolitiche.

La questione dei profughi palestinesi continua ad essere in primo piano nella politica e nella propaganda internazionale e nelle più svariate iniziative di pace. E fino a poco tempo fa anche l’establishment israeliano preferiva non sollevare la difficile situazione dei profughi ebrei dai paesi arabi. Ma ora le cose sono cambiate. Innanzitutto, la loro storia sta gradualmente diventando parte della consapevolezza comune e si sta facendo strada in varie opere pubblicate. Diverse persone si sono fatte avanti con la testimonianza della loro esperienza, al punto che il Ministero israeliano per gli anziani ha lanciato un progetto volto a tramandare la loro storia alle generazioni più giovani. Infine, alla Knesset è stato formato un apposito comitato parlamentare.

Quello che occorre è uno sforzo più vigoroso di diplomazia pubblica nei forum chiave ditutto il mondo. Alcune campagne sono già in corso, ma dovrebbero essere rafforzate perché il riconoscimento internazionale è essenziale se deve essere fatta giustizia. Una buona campagna può portare più persone a capire gli eventi che hanno condotto alla costituzione dello stato ebraico. Il mondo si renderebbe conto che coloro che vennero perseguitati dopo il 29 novembre 1947 hanno trovato un porto sicuro dove hanno potuto costruirsi una nuova casa anche se fra grandi difficoltà: ora vivono al sicuro, nella libertà e nella dignità, in Israele.

(Da: Israel HaYom, 28.11.13)