Quella pessima idea di mettersi coi nemici della pace

Ora Gilad Shalit è nelle mani di Fatah-Hamas: se Abu Mazen è il vero presidente, lo faccia liberare subito.

Se ne discute in Israele: recenti commenti sulla stampa israeliana

image_3128Si legge nell’editoriale di YEDIOT AHARONOT: «Il capo di Hamas Khaled Mashaal ha iniziato il suo discorso dicendo che loro, in nome della riconciliazione, sono disposti a fare qualunque cosa. Per trenta secondi mi sono emozionato e commosso. Poi, però, ha detto che “ora l’unico nemico comune è Israele”. E allora ho capito: per riconciliazione, intendeva solo la riconciliazione con Fatah…»
(Da: Yediot Aharonot, 5.5.11)

Scrive YAAKOV KATZ: «All’inizio di quest’anno Hamas e Fatah stavano per firmare un accordo di riconciliazione mediato dall’Egitto, ma all’ultimo minuto Khaled Mashaal, capo dell’ala politica di Hamas che fa base a Damasco, quell’accordo. Poi, però, la terra ha iniziato a tremare, in Siria, e Mashaal ha rapidamente cambiato opinione. Con in bilico la sorte del suo protettore siriano, il presidente Bashar Assad, Mashaal ha fatto un rapido calcolo e ha preso una decisione tattica: cercare di garantirsi la sopravvivenza politica approvando la riconciliazione che pochi mesi prima aveva vistosamente rifiutato. […] I tentativi di dare vita a un governo di unità nazionale palestinese non sono una novità: vanno avanti sin dalla violenta presa del potere sulla striscia di Gaza da parte di Hamas nell’estate 2007. Azzam al-Ahmad, l’alto esponente di Fatah che ha trattato l’accordo odierno, era anche dietro ai falliti tentativi di riconciliazione noti come l’Accordo della Mecca del 2007 e l’Accordo dello Yemen del 2008. Molti in Israele si aspettano che l’Accordo del Cairo 2011 faccia la stessa fine. Ciò che è cambiato, tuttavia, e che ha reso possibile l’accordo di mercoledì scorso è lo sconvolgimento in corso nel Medio Oriente, e il timore di Hamas di perdere il suo sostegno politico e logistico qualora Assad dovesse cadere. Hamas è anche preoccupata per l’eventualità che i tumulti si allarghino alla striscia di Gaza dove la popolazione palestinese non protesterebbe contro Israele, ma contro il regime di Hamas. La riconciliazione con Fatah, invece, dà l’impressione che i palestinesi siano alla vigilia di un nuovo e migliore inizio: che è una buona ragione per fare l’accordo, ma non rappresenta un cambiamento significativo nella politica e nell’ideologia di Hamas. Nonostante l’intesa con Fatah, i capi di Hamas continuano a invocare la guerra contro Israele, che Mashaal mercoledì ha definito “il nemico comune” di tutti le fazioni palestinesi. Dopo le elezioni palestinesi del 2006 vinte da Hamas, il Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) aveva stabilito tre principi per godere della legittimità internazionale: riconoscere il diritto ad esistere di Israele, riconoscere gli accordi precedentemente firmati da Israele e Olp e abbandonare il terrorismo. Hamas rifiutò allora queste condizioni, e continua a rifiutarle oggi. Piuttosto, ha fatto una scelta tattica nella speranza che di garantirsi una parvenza di tranquillità e stabilità almeno fino alla fine dell’anno. Con Assad a rischio di crollo, Hamas potrebbe aver presto bisogno di trovare un nuovo santuario, forse in Giordania, o nel Qatar, o magari in Egitto. Quando Yousef al- Qaradawi, il padrino spirituale dei Fratelli Musulmani egiziani, ha annunciato che sostiene i sunniti siriani nella loro lotta contro il regime di Assad e degli alawiti, ha costretto Hamas, a sua volta emanazione sunnita della Fratellanza Musulmana, a decidere da che parte stare. Ma il mondo non è necessariamente molto interessato alle complicazioni che stanno dietro all’accordo Fatah-Hamas, per cui tutto ciò che Hamas e Fatah devono fare è mantenere una facciata di unità fino alla prevista dichiarazione unilaterale di indipendenza dello stato palestinese alle Nazioni Unite il prossimo settembre, e il governo di unità nazionale palestinese che adesso dovrebbe nascere tornerà utile al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per mostrare al mondo un popolo palestinese tutto unito.»
(Da: Jerusalem Post, 5.5.11)

Scrive LARRY DERFNER: «Proprio perché sono uno che vorrebbe vedere il mondo fare pressione su Israele affinché ponga fine all’occupazione, uno che spera che le Nazioni Unite riconoscano la Palestina a settembre e che fa il tifo per i leader palestinesi Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e Salam Fayyad, dico che l’accordo che hanno firmato mercoledì per formare un governo di unità nazionale con Hamas è una grossa cantonata. E lo era già prima che i capi di Hamas a Gaza condannassero l’uccisione americana del “santo combattente e martire” Osama bin Laden. Hamas è un binario morto per la causa dell’indipendenza palestinese perché Hamas non può fare un accordo di pace con Israele, mentre arrivare alla pace con Israele è l’unico modo in cui può nascere uno stato palestinese. Gli ottimisti dicono che Hamas diventerà più moderata, ma tutti i segnali da quando è stato annunciato il patto con Fatah, la settimana scorsa, vanno nella direzione opposta. I capi di Hamas hanno già ribadito il loro rifiuto di negoziare con Israele, hanno chiesto all’Autorità Palestinese di ritirare il riconoscimento di Israele del 1993 e – ripeto – tutto questo avveniva prima che l’uccisione di bin Laden li spingesse ad esprimere indignazione per “la politica di distruzione americana”. Da un paio d’anni gli ottimisti raccolgono qua e là qualche dichiarazione fatta dai capi di Hamas a interlocutori occidentali come prova della loro volontà di negoziare e di accettare un “cessate il fuoco a lungo termine” con Israele entro i confini pre-‘67. Ma, quand’anche ignorassimo tutto il resto che sappiamo di Hamas e volessimo prendere sul serio queste dichiarazioni diplomatiche, quale esponente di Hamas ha mai mostrato la minima flessibilità sulla pretesa che a milioni di profughi palestinesi (e loro discendenti) venga permesso di stabilirsi all’interno di Israele pre-’67? E che il Monte del Tempio, il Muro (del pianto), il Monte degli Olivi e tutto il resto dell’area “santa” di Gerusalemme debba finire sotto piena sovranità (islamica) palestinese? E che debbano fare i bagagli e andarsene tutti i 500mila israeliani che vivono al di là dell’ex linea armistiziale del ’49, Gerusalemme compresa, e non soltanto i 100mila che vivono negli insediamenti lontani de quella linea all’interno della Cisgiordania? Persino parlando con Jimmy Carter, nessuno di Hamas ha mai concesso un millimetro sul “diritto al ritorno”, su Gerusalemme o sullo scambio alla pari di territori. Dunque, anche a voler isolare quelle poche osservazioni fatte quando vogliono presentarsi bene, prenderle per vere e dimenticare tutto il resto che dicono e fanno i capi di Hamas, come può pensare l’osservatore anche più ottimista che essi possano arrivare a un accordo di pace con un qualunque governo israeliano? E non ho nemmeno menzionato quella loro Carta fondamentale orrendamente antisemita. Lo so, io non sono palestinese: la scelta spetta a loro, non a me. E infatti non sto dicendo che i palestinesi non hanno il diritto di scegliersi come leader i capi di Hamas. Dico solo che questa scelta, effettivamente sostenuta da una richiesta popolare, è veramente stupida e controproducente. Fa arretrare la causa dell’indipendenza palestinese, rende ancora più difficile rimuovere l’occupazione, e i soli che ne trarranno beneficio sono gli intransigenti su entrambi i versanti.»
(Da: Jerusalem Post, 4.5.11)

Scrive OPHIR FALK: «Gilad Shalit è stato sequestrato da Hamas il 25 giugno 2006 (mentre era in servizio di pattuglia, come militare di leva, in territorio israeliano, ai confini con la striscia di Gaza completamente sgomberata da Israele un anno prima) e da allora viene illegalmente tenuto in ostaggio. Nel totale disprezzo di ogni decenza e di ogni norma umana e del diritto internazionale, in tutti questi cinque anni Hamas non ha mai permesso alla Croce Rossa di vedere il recluso, del quale ha fornito un unico segno di vita. Ora, con la nuova joint venture Hamas-Fatah, la sorte di Gilad Shalit è anche nelle mani di Fatah. Se Mahmoud Abbas (Abu Mazen), presidente dell’Autorità Palestinese e leader di Fatah, insistesse realmente sulla questione, Shalit potrebbe tornare a casa in pochi giorni. Se invece resterà in cattività, questo dimostrerà chiaramente chi è che comanda davvero nel nuovo conglomerato palestinese. Si tratta di un test di leadership basilare. Certo, vi sono altri passaggi fondamentali sulla via di uno stato indipendente, come la stabilità economica, una maggiore sicurezza, il riconoscimento dello stato ebraico, ed una efficace e coerente determinazione a contrastare il terrorismo e l’istigazione all’odio, oggi invece assai carente come dimostrano il recente massacro della famiglia Fogel a Itamar, i continui lanci di razzi da Gaza sui civili israeliani, l’attacco con missili anticarro contro uno scuolabus israeliano, e si potrebbe continuare. Ma un primo, semplice passo può indicare un cambiamento: liberate Gilad Shalit. In fondo, non è complicato. Tutto quello che occorre è un deciso appello da parte di quegli stessi leader di Fatah e Hamas che si sono messi in posa per la foto dell’unità nazionale. Abu Mazen e Ismail Haniyeh sono i due che oggi tengono in ostaggio Shalit. Sono loro che possono e che devono liberarlo. […] È molto semplice. Shalit deve essere liberato subito e senza condizioni. Se succederà, la nuova dirigenza palestinese può guadagnarsi la legittimità richiesta. Se no, dovrà essere semplicemente bandita da ogni società civile.»
(Da: YnetNews, 5.5.11)