Quella questione relativamente irrilevante

I palestinesi continueranno a seguire i loro leader di fallimento in fallimento.

Di Guy Bechor

image_3405In un tentativo quasi disperato di contrastare il nuovo trend della storia, soggetti anti-israeliani hanno cercato recentemente di imprimere una svolta e riportare la questione palestinese al centro della scena attraverso quella che viene definita la “Giornata della terra”. Ma hanno fallito.
Per decenni i regimi arabi si sono occupati artificialmente di Israele e palestinesi al solo scopo di nascondere ciò che avveniva nei loro stessi paesi, e sviare verso l’esterno l’attenzione delle masse arabe. Ma oggi di questo non c’è più bisogno dal momento che i veri problemi del mondo arabo sono emersi con grande forza. E così i palestinesi, da questione importante, forse la più importante, si sono ritrovati sospinti in fondo alla lista delle priorità, e la loro “Giornata della terra” non ha ricevuto praticamente nessuna vera attenzione né dal mondo arabo, né da quello occidentale. Oggi che il Medio Oriente islamico si va disintegrando fra religioni, gruppi etnici, minoranze e regioni separate, oggi che il massacro in Siria non fa che intensificarsi (col numero delle vittime che già si avvicina a diecimila), oggi che le milizie in Libia si ammazzano fra loro, lo Yemen si sta sgretolando e l’Egitto si dibatte in grossissimi guai, oggi si scopre che la questione palestinese, relativamente parlando, è la più stabile del Medio Oriente. A dire la verità, lo è sempre stata. Ma, per loro bassi interessi privati, vari soggetti distorcevano la situazione.
I palestinesi sono incappati in un’ulteriore grave calamità: l’opinione pubblica israeliana ha perso interesse nella questione. Per decenni la sinistra israeliana aveva fatto dei palestinesi la questione discriminante. Poi, tutto a un tratto, ha scoperto che Israele era andato avanti e che la questione palestinese non è più all’ordine del giorno. Quando anche la sinistra ha capito che i palestinesi, come la Siria di Assad, non erano interessati a veri negoziati e a una vera pace, ha sostituito la questione palestinese con il nuovo tema della questione sociale e con le tende di protesta contro il caro-vita.
Giacché per anni quelli dietro alle mosse palestinesi erano quasi sempre intellettuali israeliani o ebrei, una volta che questi si sono dedicati ad altri argomenti non c’era più nessuno che potesse fare il lavoro per i palestinesi. Poi il ricatto Shalit ha bruciato ogni residuo coinvolgimento nella questione palestinese. E i razzi dalla striscia di Gaza non hanno cambiato le cose, né lo possono fare le denunce del “blocco” di Gaza dal momento che il blocco non c’è: Gaza di fatto si sviluppa, essendo collegata all’Egitto anche se non a Ramallah.
In cima a tutto questo è sorto un dubbio internazionale: la questione palestinese giustificava tutta quella enorme attenzione per tutti questi anni? Quando un candidato alla presidenza degli Stati Uniti afferma senza mezzi termini che non è mai realmente esistita una cosa definibile “popolo palestinese”, molte cose che apparivano assodate e assolute non sembrano più tali.
Anziché blandire i politici occidentali, la bicefala dirigenza palestinese ha scelto di arroccarsi in passi unilaterali destinati al fallimento, come il tentativo di forzare una nuova realtà non attraverso negoziati, compromessi e accordi, ma attraverso le Nazioni Unite. Come risultato, l’Autorità Palestinese ha perso gran parte della sua credibilità in Occidente, mentre il suo imbarazzante corteggiamento di Hamas, riconosciuto gruppo terrorista, non le ha procurato molto nuovo credito.
Non basta. I palestinesi sono rimasti sbigottiti anche nello scoprire che, nonostante la cosiddetta “primavera araba”, i regimi arabi non sono granché cambiati dai precedenti, per quanto riguarda le questioni che li riguardano. La “Giornata della terra” ha dimostrato che i regimi di Libano, Siria, Giordania ed Egitto, così come Hezbollah, non sono propensi a mettersi nei guai con Israele per via dei palestinesi. E sopra a tutto questo ci sono le divisioni interne tra palestinesi, che non si riescono a sanare.
Ma è emerso anche un altro fatto, nella “Giornata della terra”: e cioè che anche i regimi dell’Autorità Palestinese e di Hamas non sono interessati a una ennesima, grande vampata, per timore che possa estendersi contro dirigenze impopolari e che alla fine possano farne loro le spese. E poi Israele è troppo forte e ha troppa esperienza in questo genere di crisi.
Tutti questi sviluppi richiederebbero che i palestinesi – sia i loro regimi che le loro società – si impegnassero in un’opera di riflessione e autoanalisi. Ma questa capacità di riflessione e auto-correzione sembra caratterizzare la società israeliana più che la società palestinese. Sicché, come avviene da decenni, il pubblico palestinese continuerà a seguire i suoi leader che lo conducono di fallimento in fallimento, una generazione dopo l’altra.

(Da: YnetNews, 6.4.12)

Nella foto in alto: Guy Bechor, autore di questo articolo

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