Quelle ong progressiste che vogliono sdoganare l’antisemitismo

Diceva Amos Oz: chi sostiene che tutti i popoli hanno diritto all'autodeterminazione tranne il popolo ebraico è un antisemita

Di Gadi Taub

Gadi Taub, autore di questo articolo

Il New Israel Fund, insieme a una serie di altre organizzazioni “progressiste” degli Stati Uniti (tra cui J Street, Americans for Peace Now, Habonim Dror North America e Hashomer Hatzair World Movement) che compongono il Progressive Israel Network, ha messo insieme una petizione in vista dell’ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca. La petizione chiede al governo degli Stati Uniti di non adottare la definizione operativa di antisemitismo formulata dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) e già adottata da più di dieci paesi (compresi paesi a maggioranza musulmana come Bahrein e Albania). I firmatari affermano che la definizione IHRA è troppo ampia e che consentirebbe di approfittare della lotta contro l’antisemitismo per “sopprimere la legittima libertà di parola, le critiche alle azioni del governo israeliano e la difesa dei diritti dei palestinesi”.

Cos’è che infastidisce così tanto gli autori della petizione? Ciò a cui si oppongono in modo particolare è la casistica annessa alla definizione IHRA che cita come un esempio di antisemitismo l’affermazione che “l’esistenza di uno stato d’Israele rappresenta un’impresa razzista”. Attenzione: l’esistenza stessa dello stato d’Israele, non questa o quella politica del governo israeliano. In altre parole, gli autori della petizione vogliono legittimare il concetto che stava alla base della vergognosa risoluzione Onu del 1975 che proclamava “il sionismo è razzismo”. Così vergognosa che l’Onu stessa, non esattamente il consesso più amichevole verso Israele, decise di annullarla nel 1991.

Manifestazione BDS. Sul cartello bianco: “La Palestina sarà libera dal fiume al mare” (cioè, Israele verrà cancellato dalla carta geografica)

Amos Oz diceva che chi sostiene che tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione tranne il popolo ebraico è un antisemita. In base a questa definizione – non dell’IHRA, ma dell’intellettuale più importante che la sinistra israeliana abbia mai avuto – il New Israel Fund e i suoi soci non stanno affatto cercando di distinguere tra critiche legittime e razzismo anti-ebraico: cercano piuttosto di avallare la legittimazione e la normalizzazione dell’antisemitismo. L’estrema sinistra tende spesso ad appannare il confine tra coloro che si oppongono all’occupazione, e sostengono la soluzione due stati per due popoli, e coloro che non riconoscono il diritto di esistere dello stato nazionale del popolo ebraico e sono convinti che il sionismo sia una deprecabile aberrazione storica, un’impresa colonialista illegittima che deve essere cancellata.

Il movimento BDS per il boicottaggio di Israele spiana la strada a coloro che vogliono confondere queste due posizioni, perché descrive sempre se stesso come un movimento che si batte contro “l’occupazione”: un termine che induce facilmente l’ascoltatore innocente a pensare – sbagliando – che si tratti di un movimento pacifico che sostiene il concetto due stati per due popoli. Ma è vero il contrario. Si tratta in realtà di un movimento che milita contro ogni possibilità di spartire la terra giacché si oppone a qualsiasi soluzione che preveda anche uno stato che non sia arabo-palestinese. Nel gergo BDS, la parola “occupazione” non si riferisce all’amministrazione militare israeliana in Cisgiordania, bensì all’intera Terra d’Israele. Quindi, eliminare l’occupazione significa in realtà eliminare lo stato d’Israele. Cercano di promuovere questo programma mirando a insediare la diaspora palestinese all’interno della Linea Verde, un stratagemma politico a cui normalmente i palestinesi e i loro alleati fanno riferimento con la ingannevole espressione “diritto al ritorno”.

Il movimento BDS non mira a un accordo di pace né a una soluzione a due stati, ma alla cancellazione di Israele dalla carta geografica, come mostrano le mappe utilizzate dalla sua propaganda

Qui non stiamo parlando di critici, per quanto severi, delle politiche israeliane. Stiamo parlando di nemici giurati che si oppongono all’esistenza stessa di Israele. Pertanto, la definizione di questo movimento come antisemita dovrebbe essere lampante: non è un capriccio di Mike Pompeo, Segretario di stato dell’amministrazione Trump: è una valutazione di puro buon senso condivisa, fra gli altri, da Germania, Francia e Canada.

Guardando alla petizione contro la definizione IHRA sullo sfondo delle altre attività del New Israel Fund – il suo sostegno alle organizzazioni che cercano di abolire il carattere nazionale dello stato ebraico e di minare la Legge del Ritorno – è evidente che non si può continuare a trattarlo come un’organizzazione puramente filantropica dedita esclusivamente, come afferma di essere, alla promozione della democrazia, dell’uguaglianza, della solidarietà sociale e dei diritti umani. E’ invece una fondazione che si adopera con straordinaria coerenza a demolire i pilastri dell’impresa sionista. Il suo esplicito sostegno al tentativo di alterare la definizione IHRA di antisemitismo per fare in modo che i nemici d’Israele votati alla sua distruzione possano essere assolti da quest’onta, è una chiara prova del senso nascosto che sta dietro a tante delle sue attività. Se un giorno vi sarà mai la pace tra noi e i nostri vicini, se un giorno fiorirà maggiore solidarietà tra i diversi segmenti della società israeliana, se la nostra democrazia sarà migliore, tutto questo avverrà nonostante quelli come il New Israel Fund, non certo grazie a loro.

(Da: Ha’aretz, 30.1.21)