Quello che le Olimpiadi ci dicono sul razzismo arabo

Il vero problema è l’odio del mondo arabo: non solo verso Israele, ma verso i singoli israeliani

Di David Rosenberg

Israele può consolarsi un po’ con i rimbrotti ricevuti dal judoka egiziano Islam El-Shehaby che si è rifiutato di stringere la mano o di fare l’inchino cerimoniale al suo avversario israeliano Or Sasson. Shehaby è stato infatti rimproverato dal Comitato Olimpico Internazionale per comportamento “in contrasto con le regole del fair play e lo spirito di amicizia incarnato nei valori olimpici”. Tutto qui. Per la maggior parte dei mass-media, l’incidente non rappresenterebbe altro che l’ennesimo caso di tensioni del Medio Oriente che tracimano dentro le Olimpiadi, come la squadra olimpica libanese che si è rifiutata di far salire atleti israeliani a bordo dello stesso autobus, e le notizie (non confermate) sulla judoka saudita Joud Fahmy che avrebbe dato forfeit pur di evitare di incontrare una israeliana al turno successivo.

Ci sono un sacco di tensioni in tutto il mondo e il Medio Oriente è sicuramente la madre di tutti i luoghi di tensione mondiale. Ma una semplice ricerca sui casi di atleti che hanno oltraggiato altri atleti ai giochi olimpici dà zero risultati, a parte i casi di arabi che hanno insolentito israeliani. Non ci sono casi di israeliani che abbiano snobbato arabi. Nessun atleta fra quelli yemeniti ha insultano i sauditi che bombardano il loro paese. Non si sono viste manifestazioni di sdegno verso i siriani che, con l’aiuto dei fratelli arabi, si stanno massacrando a vicenda. Né incidenti fra un qualunque atleta arabo e atleti dell’Iran o della Russia, due paesi impegnati a fondo nel bagno di sangue siriano.

Si sentono un sacco di rimostranze e proteste circa il (vero o presunto) razzismo israeliano verso gli arabi, ma ben pochi parlano del razzismo arabo anti-israeliano. Eppure, è esattamente questo ciò che vediamo: e non solo alle Olimpiadi, ma nell’atteggiamento del mondo arabo in generale nei confronti di Israele.

L’atteggiamento razzista degli arabi nei confronti di Israele si basa su un odio profondo che considera indistintamente tutti gli israeliani come un unico popolo mostruoso e violento che non merita di vivere nel proprio quartiere e dovrebbe andarsene per sempre. Il razzismo anti-israeliano va ben oltre qualunque legittima critica, o anche condanna, di questo o quel comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi. E’ un odio che scende fino a un livello molto personale, fino al rifiuto di avere un contatto diretto con gli israeliani o addirittura di trovarsi in loro presenza.

Se l’incidente con la squadra libanese che rifiuta di far salire sull’autobus quella israeliana ricorda i neri costretti a sedersi in una parte separata degli autobus nel sud degli Stati Uniti ante-diritti civili, ebbene è giusto che li ricordi.

Il razzismo arabo anti-israeliano ha implicazioni che vanno al di là, per Israele, di un occasionale affronto alle Olimpiadi. Riguarda il nostro posto in Medio Oriente. Possiamo firmare dei trattati di pace (come abbiamo fatto con il paese di Shehaby, nel caso non lo si ricordasse), e possiamo anche stringere alleanze strategiche come sembra stia accadendo con i sauditi. Ma questi legami non vanno al di là delle semplici questioni di realpolitik.

Come la famiglia nera che coraggiosamente si trasferisce per prima in un quartiere bianco, possiamo acquistare l’immobile e abitarci. Ma non saremo mai parte del quartiere finché non cambierà l’atteggiamento dei nostri vicini. Israele può fare sicuramente molto per migliorare il suo modo di trattare i palestinesi, ma il vero problema è l’odio e la repulsione del mondo arabo: e non solo verso Israele, ma verso i singoli israeliani.

(Da: Ha’aretz, 16.8.16)

 

Si veda anche:

“L’antisemitismo, malattia (infantile e senile) del mondo arabo, provoca danni non solo sul campo da gioco”, di Bret Stephen (Il Foglio)

“La droga antisemita”, di Francesco Lucrezi (Moked)