Raed Salah, il leader estremista del movimento islamico israeliano

Ma non tutti i musulmani d’Israele sono disposti a seguire la sua retorica incendiaria

image_2628Raed Salah, l’impudente leader del Movimento Islamico israeliano-fazione nord, martedì scorso ha esortato tutti gli arabi d’Israele e di Gerusalemme est ad accorrere nella Città Vecchia per “difendere la moschea di al-Aqsa facendo scudo coi loro corpi”.
Salah, arrestato quella sera per istigazione alla violenza e al razzismo (e rilasciato il giorno dopo ma col divieto di entrare a Gerusalemme per trenta giorni), non è nuovo a controversie di questo genere, e questa suo attivismo da tempo scava una frattura, nella sua pluridecennale organizzazione, fra coloro che dichiarano di credere nell’impegno all’interno del sistema politico e coloro che invece propugnano metodi violenti al di fuori di esso.
Dopo che martedì mattina alcuni ministri israeliani avevano chiesto la sua incriminazione, con fare sprezzante Salah ha dichiarato che lui e i suoi sostenitori “avrebbero pagato qualunque prezzo pur di difendere al-Aqsa”. Rispondendo all’accusa Salah d’aver aizzato violenze musulmane a Gerusalemme nei giorni scorsi, Salah ha affermato che, se fosse costretto dal governo a scegliere tra imprigionamento e difesa della moschea e di “Gerusalemme occupata”, avrebbe scelto il primo senza esitazione.
Il professor Yitzhak Reiter, del dipartimento di studi islamici e mediorientali dell’Università di Gerusalemme, dice che il sostegno fra i musulmani israeliani al movimento di Salah è da tempo stabilmente attorno al 20-25%, ma che molti di più sono coloro che appoggiano Salah quando si tratta della questione della spianata delle Moschee (Monte del Tempio). “Le due fazioni del Movimento Islamico israeliano prese assieme – spiega Reiter – rappresentano approssimativamente il 20-25% della popolazione musulmana del paese, ma questo non significa che elettori musulmani di Hadash o anche del partito laburista non concordino con Salah quando questi parla di al-Aqsa. Gente che tende ad aderire alla sua visione delle cose perché non si fidano della linea delle istituzioni governative sull’argomento”.
Reiter sottolinea tuttavia che c’è un limite all’influenza di Salah anche riguardo al Monte del Tempio. “Nel 2007, quando Israele stava facendo lavori di rinnovo all’accesso alla spianata delle Moschee attraverso la Porta Mughrabi, anche allora Salah chiamò la sua gente a raccolta a difesa della moschea, ma ben poche furono le persone che risposero all’appello, persino sugli autobus da lui organizzati per portare la gente a Gerusalemme, perché i musulmani israeliani avevano che capito che quella volta Salah aveva fatto un passo falso”. In quel caso, ricorda Reiter, le autorità presero l’importante decisione di arginare la collera dilagante diffondendo sul web immagini in diretta ventiquattro ore su ventiquattro dei lavori in corso, il che contribuì a confutare le accuse di Salah.
“Salah opera costruendo sistematicamente dei castelli di teorie cospirative, ma quel provvedimento glieli distrusse” spiega Reiter, sostenendo che nel caso delle recenti violenze Israele avrebbe potuto adottare misure analoghe per spiegare ai suoi cittadini arabi che le fantasie complottiste di Salah sono per l’appunto solo questo e niente di più.
Salah, che Reiter descrive come la forza che sta dietro alla spaccatura del Movimento Islamico in due fazioni, è da decenni uno dei leader più affermati del movimento. Ma non è certo l’unico membro del movimento che abbia spinto al limite i confini fra pensiero politico millenarista, che propugna l’istituzione di un califfato islamico con base a Gerusalemme, e sostegno vero e proprio al terrorismo.
Il Movimento Islamico venne creato in Israele nel 1971 e già nei suoi primi anni incappò nell’accusa di muoversi sullo stretto limite fra attivismo politico e terrorismo. Venne fondato da Abdullah Nimar Darwish con l’obiettivo di istituire un sistema di servizi assistenziali privati islamici in alternativa a quelli offerti dallo stato ebraico. Ma allo stesso tempo Darwish e diversi altri leader del movimento diedero vita a un’organizzazione parallela chiamata “Famiglie della Jihad”, con il dichiarato obiettivo di istituire “uno stato arabo islamico in Palestina”. Otto anni più tardi i capi dell’organizzazione vennero arresti dopo un tentativo di compiere un attentato terroristico, e da allora in poi il movimento ha ufficialmente ricusato il terrorismo.
Dopo un’impennata di consensi nei primi anni ’80, il movimento iniziò a candidare suoi uomini alle elezioni municipali e Salah ottenne il primo successo elettorale nella città arabo-israeliana di Umm el-Fahm (nello Wadi Ara), che sarebbe successivamente diventata un centro ideologico del movimento.
Fu nei primi anni ’90 che nel movimento iniziarono ad emergere lacerazioni, con la fazione settentrionale che si opponeva agli Accordi di Oslo e quella meridionale che invece li accettava. La divisione fu ulteriormente approfondita, e la spaccatura divenne ufficiale, quando nel 1996 la fazione sud decise di fare squadra con il Partito Arabo Democratico del parlamentare Ahmed Tibi, dando vita alla Lista Araba Unita-Ta’al. Salah, invece, sosteneva il boicottaggio delle elezioni politiche, mantenendo il totale boicottaggio delle istituzioni israeliane da parte della fazione nord.
Per due volte, nel corso degli anni ’90, la branca per la beneficienza del movimento venne chiusa quando i servizi di sicurezza israeliani scoprivano che passava fondi alle famiglie dei membri di Hamas.
Salah, insieme all’allora parlamentare arabo israeliano Malik Dahamshe, venne poi accusato d’aver aizzato i sanguinosi tumulti nello Wadi Ara dell’ottobre 2000: allora come oggi, Salah aveva istigato alla violenza i suoi seguaci per “proteggere la spianata delle Moschee” dopo che l’allora leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon aveva fatto una visita al sito (senza peraltro neanche entrare nelle moschee).
Dopo di allora Salah non cessò di incitare alla violenza i suoi seguaci usando spesso quello della moschea di al-Aqsa come il tema centrale e viscerale dei suoi appelli alla mobilitazione. Nel 2002 il ministro degli interni Eli Yishai ordinò la temporanea chiusura del quotidiano della fazione nord che aveva accusato Israele di permettere a “scarafaggi rabbini di danneggiare la moschea di al-Aqsa”.
Salah stesso venne arrestato nel 2003 con l’accusa d’aver aiutato Hamas, ma venne scarcerato nel 2005 grazie a un patteggiamento. Rischiò di nuovo l’arresto nel 2007 quando esortò i musulmani a difendere la spianata della Moschee durante i lavori alla Porta Mughrabi, ma nei due anni seguenti mantenne un profilo relativamente basso.
L’anno scorso, invece, dopo tutta una serie di incidenti a base di lanci di pietre sulle strade del nord di Israele, il movimento è tornato sulle prime pagine quando due giovani arabi israeliani hanno confidato a un giornalista del quotidiano Yisrael Hayom d’essere stati pagati da attivisti della fazione nord per attaccare a sassate le auto di passaggio. Anziché smentire le accuse, un anonimo esponente del movimento confermò il resoconto aggiungendo la sua spiegazione: “Noi vogliamo renderci autonomi come i catalani e i baschi in Spagna, e tutti i mezzi sono validi per conseguire tale obiettivo”.

(Da: Jerusalem Post, 7.10.09)

Nella foto in alto: Raed Salah

Vedi anche:

Rampe d’accesso, palloncini e altri pretesti

https://www.israele.net/sections.php?id_article=1587&ion_cat=18

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https://www.israele.net/articolo,2624.htm

“Mai esistito un tempio ebraico a Gerusalemme”

https://www.israele.net/articolo,2036.htm