Razzo palestinese colpisce un’abitazione israeliana a Beersheba

Hamas e Jihad Islamica continuano la loro folle guerra, anche se Gaza non è più occupata, di fatto e di diritto, da più di 13 anni

Con un’analisi di Leonard Grunstein

17 ottobre: Beersheva colpita da razzi palestinesi

Nella notte fra martedì e mercoledì una casa israeliana nella città meridionale di Beersheba è stata centrata da un razzo lanciato da Gaza. Un secondo razzo sparato da Gaza si è abbattuto al largo della costa di Bat Yam, della regione metropolitana di Tel Aviv. Il razzo che ha raggiunto Beersheba, una città di 200mila abitanti che si trova a circa 40 km dalla striscia di Gaza, ha squarciato la facciata dell’edificio colpito causando ingenti danni alle stanze interne e al tetto. Salvi per un soffio una madre di 39 anni, Miri Tamano, e i suoi tre figli di 9, 10 e 12 anni che hanno fatto in tempo a precipitarsi nel rifugio appena hanno sentito le sirene d’allarme, alle 3.30 del mattino. Il fatto che la madre dormiva a un piano diverso e che i residenti di Beersheba hanno circa un minuto di tempo per mettersi al riparo dal momento in cui sentono le sirene, rende l’esito della vicenda ancora più notevole, ha sottolineato Israel HaYom.

Mercoledì è stata ordinata la chiusura delle scuole a Beersheba e in tutta la regione circostante la striscia di Gaza. I lavori agricoli sono permessi caso per caso. Il Ministro della difesa israeliano Avigdor Liberman ha inoltre ordinato la chiusura dei valichi di Erez e Kerem Shalom e la riduzione dello spazio di pesca di fronte alla striscia di Gaza finché perdura la situazione di allarme.

I razzi utilizzati nell’attacco non sono dei Grad standard, ma una versione potenziata con una testata esplosiva più grande. Secondo le Forze di Difesa israeliane, si tratta di un modello di fascia media, prodotto all’interno della striscia di Gaza. Le batterie di difesa anti-aerea “Cupola di ferro” non sono entrate in azione. Il portavoce militare Ronen Manelis si è limitato a spiegare che il sistema non è schierato ovunque, e non garantisce una protezione “ermetica”.

17 ottobre: abitazione civile israeliana a Beersheva colpita da razzi palestinesi

L’ultima volta che un razzo sparato da Gaza aveva raggiunto Beersheba era stato lo scorso 9 agosto quando i palestinesi lanciarono decine di ordigni sulle comunità israeliane attorno alla striscia e uno di questi si abbatté su un campo, poco a nord del capoluogo del Negev.

In una dichiarazione congiunta, Hamas e Jihad Islamica palestinese hanno preso le distanze dall’attacco di mercoledì mattina definendolo “un irresponsabile tentativo di far naufragare gli sforzi negoziali dell’Egitto”. Tuttavia, le Forze di Difesa israeliane affermano di ritenere responsabile dell’attacco il gruppo terroristico Hamas, che controlla la striscia di Gaza. “Ci sono solo due organizzazioni a Gaza che dispongono di razzi di questo calibro: Hamas e Jihad islamica palestinese – ha detto il portavoce militare Jonathan Conricus – Non è difficile restringere la cerchia dei possibili autori”.

In risposta all’attacco, le Forze di Difesa israeliane hanno bombardato mercoledì mattina circa 20 obiettivi militari in varie parti della striscia di Gaza, tra cui un tunnel per infiltrazioni terroristiche diretto dalla città di Khan Younis verso Israele. Distrutto anche l’ingresso di un tunnel marittimo destinato ad essere utilizzato da comando navali di Hamas. Sono state bombardate, inoltre, officine di armi, basi militari e altre strutture collegate alla costruzione dei tunnel di Hamas. Un velivolo israeliano ha colpito una cellula di terroristi palestinesi che si apprestava a lanciare un razzo dalla striscia di Gaza settentrionale contro Israele. Le Forze di Difesa hanno diffuso un drammatico video in cui si vedono i terroristi che caricano la rampa di lancio, ma vengono colpiti dal fuoco israeliano. Secondo il ministero della salute di Gaza gestito da Hamas, nell’esplosione è morto un attivista palestinese.

Scrive Ron Yishai su YnetNews: “Israele non può permettere che passi un attacco come questo senza una risposta che chiarisca a Hamas e Jihad Islamica, e anche all’Egitto, che non intendiamo negoziare  un accordo di cessate il fuoco mentre una parte usa come tattica negoziale quella di giocare d’azzardo con la vita dei cittadini israeliani”.

(Da: Times of Israel, Ha’aretz, Jerusalem Post, YnetNews, Israel HaYom, 17.10.18)

In questo video, diffuso mercoledì dalle Forze di Difesa israeliane, il momento in cui una cellula di terroristi che si appresta lanciare razzi contro Israele viene colpita dall’aviazione israeliana (attenzione: immagini esplicite)

 

Leonard Grunstein

Scrive Leonard Grunstein:
Gaza è occupata dagli abitanti di Gaza. Né l’Egitto né Israele, i suoi vicini territoriali, occupano Gaza, non de jure e non de facto. Eppure, i termini provocatori “occupazione” e “occupante” vengono usati con noncuranza da molti, nei mezzi di informazione e altrove, per descrivere la relazione tra Gaza e Israele. Queste parole gettano uno stigma devastante su Israele, il presunto occupante, che si presume opprima una striscia di Gaza altrimenti innocente e pacifica. Tale rappresentazione viene espressa con totale convinzione, come se l’occupazione fosse una verità ovvia: in realtà, non è altro che fake news. Gaza non è occupata da Israele, e i problemi in cui si dibatte Gaza sono prodotti da Gaza stessa.

La definizione fondamentale del concetto di occupazione secondo il diritto internazionale è contenuta nella Convenzione dell’Aia [Convention IV, Annex to the Convention Regulations Respecting the Laws and Customs of War on Land, Section III: Military Authority over the Territory of the Hostile State, Article 42]. Essa stabilisce che un territorio è considerato occupato solo quando è posto sotto l’effettiva autorità di un esercito nemico. Il concetto di occupazione si applica solo al territorio su cui tale autorità è stata stabilita e può essere esercitata. Vi è stato un certo numero di cause, nel corso degli anni, che hanno analizzato quando sussistessa un’occupazione secondo il diritto internazionale e la natura dei suoi elementi costitutivi essenziali, che sono: 1) una presenza militare nel territorio occupato; 2) un controllo effettivo del territorio.

Una delle sentenze principali in questo senso fu quella del Tribunale Militare degli Stati Uniti a Norimberga, nel 1948, all’indomani della seconda guerra mondiale [United States v. List, United Nations War Crimes Commission, Law Reports of Trials of War Criminals, Volume VIII, 1949, CASE No. 47, THE HOSTAGES TRIAL, TRIAL OF WILHELM LIST AND OTHERS, UNITED STATES MILITARY TRIBUNAL, NUREMBERG, Part I, beginning at page 38]. La Corte affermò che un’occupazione è qualcosa di più di un conflitto armato che abbia debellato ogni forma di resistenza organizzata. Essa richiede anche il mantenimento di una presenza militare e un esercizio dell’autorità di governo sull’area conquistata che escluda il governo civile preesistente.

Tentativi palestinesi di violare il confine fra Gaza e Israele

Nel 2003, un Tribunale internazionale che si occupava di accuse di violazione dei diritti umani all’indomani dello scioglimento della Jugoslavia [Judgment, by the International Tribunal for the Prosecution of Persons Responsible for Serious Violations of International Humanitarian Law Committed in the Territory of Former Yugoslavia, in Prosecutor v. Naletic and Martinovic (Case No. IT-98-34-T), dated March 31, 2003] raffinò ulteriormente i criteri per determinare quando esista un’occupazione in base al diritto internazionale. Esso si concentrò sul grado di controllo necessario per supportare tale definizione. La Corte ha affermato che per controllo si intende un controllo complessivo, attuale ed effettivo su un territorio, e ha elencato gli indici da prendere in considerazione per arrivare a tale determinazione, come si illustra qui di seguito.

Come dato iniziale, le forze militari del territorio conquistato devono essersi arrese, essere state sconfitte o essersi ritirate. L’ipotizzato occupante deve aver stabilito una propria amministrazione governativa temporanea sul territorio, in sostituzione del governo originario soppiantato che l’occupante ha reso incapace di funzionare pubblicamente. L’occupante deve essere in grado di emanare e imporre disposizioni alla popolazione civile del territorio conquistato. Inoltre, deve mantenere una presenza militare sul terreno, dentro il territorio in questione. La forza militare presente deve essere sufficiente per far sentire di per sé la propria forza occupante, oppure deve sussistere la concreta capacità di far arrivare truppe aggiuntive entro un ragionevole lasso di tempo, per ottenere lo stesso risultato. Se non sono soddisfatti tutti questi criteri, non vi è occupazione dal punto di vista giuridico. La Corte ha aggiunto che le leggi d’occupazione si applicano solo alle aree effettivamente controllate dalla potenza occupante. L’occupazione cessa quando la potenza occupante non esercita più con la forza questo grado di controllo attuale ed effettivo.

Nel 2005, un Tribunale internazionale che si occupava del conflitto tra Uganda e Congo [Armed Activities on the Territory of the Congo (Democratic Republic of the Congo v. Uganda), I.C.J. Reports 2005, beginning at page 168] si è concentrato sul requisito di una presenza militare continua come condizione necessaria per affermare che c’è un’occupazione. La sua analisi è assai rilevante. La Corte sostiene che disporre della mera capacità potenziale di invadere e mettere sotto controllo un territorio, non accompagnata da una presenza effettiva e a un controllo efficace, è di per sé insufficiente per parlare di occupazione.

Le forze di Hamas che controllano da 13 anni la striscia di Gaza

La necessità che tutti questi criteri siano soddisfatti per poter affermare l’esistenza di un’occupazione è perfettamente sensata. Altrimenti si potrebbe sostenere che gli Stati Uniti occupano il Canada e il Messico: non perché lo facciano davvero, ma perché potrebbero farlo. Gli Stati Uniti hanno inoltre accordi di sicurezza e basi militari in posti assai remoti come la Germania, la Corea del Sud, le Filippine e altrove. Ma sarebbe assurdo sostenere che sono, per questo, una potenza che occupa quei paesi. Infatti essi non vi esercitano un controllo complessivo, efficace ed effettivo, e non sono subentrati al governo locale. Inoltre, una presenza militare basata su un accordo con il paese ospitante, come quelli sopra indicati, non è né ostile né imposta con la forza.

Quando Israele dichiarò l’indipendenza, nel maggio del 1948, l’Egitto e altri quattro paesi arabi ne invasero il territorio. La striscia di Gaza venne conquistata dall’Egitto e la comunità ebraica di Kfar Darom, che vi si trovava, venne distrutta. L’Egitto continuò a controllare Gaza anche dopo l’accordo armistiziale del 1949 con Israele. L’Egitto perse il controllo di Gaza solo in seguito alla guerra dei sei giorni, scatenata dall’escalation militare araba del maggio-giugno 1967. Nel marzo 1979 venne firmato un Trattato di pace fra Egitto e Israele. L’Egitto chiese e ottenne la restituzione di tutto il Sinai, ma non chiese di riavere il controllo su Gaza. Israele continuò ad amministrare Gaza fino a quando ne trasferì l’autorità governativa all’Autorità Palestinese, nel 1994, in base all’accordo specifico Gaza-Gerico, successivo alla Dichiarazione di Principi firmata con l’Olp nel 1993. Poi, nell’estate 2005, Israele si è completamente ritirato dalla striscia di Gaza. In base agli Accordi di Oslo con l’Autorità Palestinese, Israele ha negoziato e ottenuto alcuni diritti di pattugliamento delle acque costiere e dello spazio aereo di Gaza per evitare forniture illegali di armi, espressamente vietate dagli Accordi stessi. Questi diritti concordati non costituiscono un controllo governativo effettivo su Gaza. Nel giugno 2007 Hamas ha strappato con la violenza all’Autorità Palestinese il controllo effettivo sulla striscia di Gaza, e da allora lo ha mantenuto senza interruzione.

Alla luce di queste circostanze, nel 2008 la Corte Suprema d’Israele [Jaber Al-Bassiouni Ahmed and others v Prime Minister and Minister of Defense (HCJ 9132/07), Judgment dated January 27, 2008] ha affermato che, ai sensi del diritto internazionale, non vi è occupazione da parte di Israele su Gaza giacché Israele non ha un controllo effettivo su Gaza, e nessun soldato israeliano è più di stanza a Gaza. Il dominio militare è terminato e Israele si è completamente ritirato. Non è quindi in condizione di imporre l’ordine né di governare la vita civile a Gaza.

Una piccola parte dei razzi palestinesi sparati sulla città israeliana di Sderot dopo il ritiro israeliano da Gaza

Nel 2015, anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo [Sargsyan v Azerbaijan (Application no. 40167/06), Judgment dated June 16, 2015 and Chiragove and others v Armenia (Application no. 13216/05), Judgment dated June 16, 2015] ha stabilito che il controllo dello spazio aereo al di sopra di un territorio e del mare adiacente non è sufficiente per costituire un’occupazione in base al diritto internazionale. La Corte ha dichiarato che non esiste occupazione se il presunto occupante non ha le sue truppe sul terreno nel territorio soggetto e non è in grado di esercitare un controllo effettivo senza il consenso della sovranità occupata. La Corte ha rilevato che la presenza di truppe straniere è un requisito sine qua non per l’occupazione. Per usare le parole della Corte, non è concepibile un’occupazione “senza gli scarponi sul terreno”, per cui forze militari che esercitano il controllo navale o aereo non sono sufficienti.

Gaza confina sia con Israele che con l’Egitto. Sia Israele che l’Egitto, come ogni altro paese, hanno una presenza di forze sicurezza sul loro versante del confine, ma non dentro la striscia di Gaza. E hanno il diritto di controllare i propri confini. Anche Gaza ha una presenza di sicurezza sul suo versante del confine con Egitto e Israele, e controlla chi e cosa entra ed esce. In particolare, il confine fra Egitto e Gaza non è controllato da Israele: è controllato da Egitto e Gaza.

Purtroppo Gaza e la sua popolazione sono sotto il controllo di Hamas, un’organizzazione terroristica il cui obiettivo dichiarato, sancito nella sua Carta, è la distruzione di Israele , e che sostiene dottrine antisemite e genocide contro gli ebrei in generale. Hamas ha ripetutamente attaccato entrambi i suoi vicini, Egitto e Israele. Ciò ha costretto entrambi a chiudere spesso il confine. Tuttavia, nonostante le continue attività ostili di Hamas, Israele ha sempre riaperto i valichi di frontiera al passaggio di forniture e aiuti umanitari per la popolazione di Gaza. Evidentemente Israele è più preoccupato per la salute e il benessere della popolazione di Gaza di quanto non lo siano Hamas e l’Autorità Palestinese.

Come è dunque possibile che i termini “occupazione” e “occupante” vengano applicati in modo così insolente, sebbene totalmente improprio, all’attuale rapporto fra Israele e striscia di Gaza? Com’è possibile che così tanti prendano per buona questa impostura?

In realtà, la pace fra i due si sarebbe dovuta raggiungere quando Israele, nel 2005, ritirò completamente da Gaza tutti suoi civili e tutti i suoi militari. Come scrisse una dozzina di anni fa il compianto Charles Krauthammer [Why They Fight, by Charles Krauthammer, Washington Post, July 14, 2006]:, “Israele ha sgomberato completamente da Gaza, ha dichiarato frontiera internazionale il confine tra Israele e Gaza e Gaza è diventata il primo territorio palestinese indipendente nella storia. Eppure gli abitanti di Gaza hanno continuato a fare la guerra. Come mai? Perché l’occupazione era una semplice scusa per persuadere gli occidentali, sprovveduti e ignoranti di storia, a sostenere la causa araba contro Israele. Il problema è, ed è sempre stato, l’esistenza di Israele. E’ questo ciò che è veramente in gioco”.

In tutti questi anni non è cambiato granché. La pace sarebbe ancora raggiungibile se solo Gaza cessasse i suoi attacchi contro Israele ed Egitto, e semplicemente optasse per vivere rapporti di pace. La cornice per questa pace c’è, e c’è ormai da molti anni. Tutto ciò che resta da fare è che Gaza la rispetti. Tutto ciò che Gaza deve fare per avere la pace è smettere di attaccare i suoi vicini. Come avvertiva Krauthammer, non possiamo continuare a fare gli sprovveduti e gli ignoranti: il problema è da sempre l’esistenza stessa di Israele.

(Da: Times of Israel, 13.7.18)