Re Abdullah come il mufti di Gerusalemme degli anni ‘20?

Inaccettabile che anche la Giordania alimenti una bufala anti-israeliana che causa danni e morti da quasi cento anni

Editoriale del Jerusalem Post

Una delle bombe molotov lanciate dall’interno della moschea al-Aqsa da estremisti palestinesi. Clicca l’immagine per il video su Twitter (alcuni social network palestinesi hanno postato parte di questo video all’indietro per dare l’impressione che la molotov venisse scagliata dall’esterno verso l’interno della moschea)

La Moschea di al-Aqsa non è in pericolo. Perlomeno, non corre alcun pericolo da parte di Israele. Ogni persona ragionevole – in Israele, nella regione e nel mondo – lo capisce perfettamente. Contrariamente alle voci che vengono regolarmente diffuse durante il periodo delle tre feste di pellegrinaggio ebraiche, quando gli ebrei si affollano al Muro Occidentale (“del pianto”), Israele non ha nessun piano segreto volto a minare la moschea. Gli scienziati israeliani – un’altra diceria che Yasser Arafat contribuì a far circolare nel 2000 – non stanno lavorando per creare un terremoto artificiale che la faccia crollare. Gli scavi archeologici nell’area non hanno lo scopo di provocare il crollo della moschea per poi erigere il Terzo Tempio sulle sue rovine. E non è vero che i “coloni” intendono prenderla d’assalto.

È tutta una bufala, e non è particolarmente originale dal momento che risale ad almeno un secolo fa, ai tempi del Gran Mufti Haj Amin al-Husseini: i sanguinosi pogrom del 1929 iniziarono a causa della diffusione di dicerie come queste. L’idea che i sionisti coltivino progetti maligni circa la moschea venne poi usata, 71 anni dopo, come combustibile per infiammare le masse nella seconda intifada. E da allora Raed Salah, capo del ramo settentrionale del movimento islamico israeliano, ha continuato a diffondere quella menzogna per fomentare la rabbia nella minoranza araba d’Israele.

Tuttavia, una cosa solo perché è assurda non vuol dire che non sia letale. La calunnia del sangue di epoca medievale era un’accusa risibile, ma portò comunque all’uccisione di innumerevoli ebrei. Allo stesso modo, anche la calunnia della “al-Aqsa in pericolo” ha causata centinaia di morti dal secolo scorso. Arafat definì “intifada di al-Aqsa” il parossismo di violenza e attentati suicidi da lui orchestrati nel 2000. Avrebbe potuto chiamarlo in qualsiasi altro modo. Perché proprio intifada di al-Aqsa? Perché sapeva quali echi avrebbe fatto risuonare presso la sua gente.

Estremisti palestinesi lanciano pietre contro un autobus di pellegrini ebrei diretti verso la Città Vecchia di Gerusalemme per pregare al Muro Occidentale (“del pianto”)

Ciò che occorre adesso è che leader e paesi responsabili smentiscano la menzogna, non che la alimentino. Ed è questo che rende così irritanti i recenti commenti del re di Giordania Abdullah e del primo ministro giordano Bisher al-Khasawneh. Parlando dalla Germania dove ha subito un intervento chirurgico alla schiena, re Abdullah ha affermato che le mosse “unilaterali” di Israele contro i fedeli musulmani hanno minato le prospettive di pace, e ha imputato l’attuale tensione agli “atti provocatori” di Israele nel complesso del Monte del Tempio. Dal canto suo, al-Khasawneh in un vergognoso discorso al parlamento giordano ha detto: “Rendo omaggio a ogni lavoratore palestinese e ogni dipendente del Wakf islamico giordano [custodia dei luoghi santi ndr] che si ergono come minareti e lanciano raffiche di pietre contro i filo-sionisti che profanano la moschea di al-Aksa sotto la protezione del governo di occupazione israeliano”.

Sul serio? A quali “atti provocatori” contro i musulmani si riferiva esattamente re Abdullah? Quello di cercare di impedire a giovani palestinesi istigati da Hamas di scagliare pietre contro i fedeli ebrei raccolti in preghiera al Muro del Pianto, 20 metri più in basso? Quanto al discorso di al-Khasawneh, è suonato decisamente iraniano il suo uso del termine “filo-sionisti” per riferirsi a quegli ebrei che erano bersaglio dei sassi lanciati dai palestinesi e dai dipendenti del Wakf islamico giordano da lui tanto elogiati. Questo è il genere di retorica che ci aspetta da Hamas e dall’Autorità Palestinese. Ma dalla Giordania? Un paese con cui Israele ha stipulato un trattato di pace che risale al 1994? Un paese con il quale Israele intrattiene una relazione strategica di grande beneficio per entrambe le parti? Un paese che riceve da Israele acqua e gas di cui ha un disperato bisogno? Un paese impegnato in una lunga lotta contro i suoi propri fanatici islamici (Isis e Fratelli Musulmani) che distorcono religione e simboli religiosi per commettere atti di sanguinosa violenza?

Israele, come ha affermato il primo ministro Naftali Bennett senza citare per nome il Regno hascemita, si aspetta di meglio dalla Giordania. Come dovrebbe essere. Ci si aspetterebbe che il partner per la pace ai nostri confini orientali si adoperasse per spegnere le fiamme, non per gettare benzina sul fuoco. Come ha detto Bennett: “La verità è che Israele sta facendo di tutto affinché tutti possano sempre celebrare le proprie festività in sicurezza: ebrei, musulmani e cristiani. Ci aspettiamo che nessuno aderisca alle menzogne e di certo che nessuno incoraggi la violenza contro gli ebrei”.

Sempre diplomatico, Bennett non ha espressamente chiamato in causa la Giordania perché non voleva creare ulteriori tensioni con un partner così importante. Noi possiamo permetterci di essere meno diplomatici. Se la Giordania vuole essere trattata come un paese amico deve agire e – sì – anche parlare come un paese amico. Le dichiarazioni dei suoi rappresentati negli ultimi giorni sono state tutt’altro che amichevoli. Israele fa bene a mettere in chiaro che questo è assolutamente inaccettabile.

(Da: Jerusalem Post, 20.4.22)

Mercoledì alcuni piccoli incendi sono scoppiati all’ingresso della moschea al-Aqsa di Gerusalemme quando estremisti palestinesi hanno lanciato pietre e bombe molotov dall’interno della moschea verso visitatori ebrei nella spianata antistante. L’incendio è stato subito spento e la polizia si è schierata sul posto per garantire che la visita dei pellegrini ebrei al Monte del Tempio terminasse senza altri inciderti.

Sempre mercoledì, la polizia israeliana ha fermato tre visitatori ebrei che hanno tentato di pregare in violazione delle norme dello status quo che permettono ai non musulmani di visitare il Monte del Tempio, ma vietano loro di compiere il minimo atto visibile di preghiera o devozione.

Anche quest’anno le autorità israeliane hanno deciso di vietare l’accesso al Monte del Tempio/complesso della moschea al-Aqsa a tutti i pellegrini e turisti non musulmani dal 22 aprile fino al 2 maggio che segna la fine del mese di Ramadan. La politica di impedire l’accesso ai non musulmani durante gli ultimi dieci giorni di Ramadan è in vigore da diversi anni. L’anno scorso, il governo dell’allora primo ministro Benjamin Netanyahu ordinò la chiusura del sito ai non musulmani per 19 giorni durante il Ramadan (compresa la Giornata di Gerusalemme che celebra la riunificazione della città nel 1967 dopo un ventennio di occupazione giordana della parte orientale). Ma questo non bastò per prevenire l’escalation che portò alla guerra di 11 giorni con i terroristi di Gaza.

Nel tardo pomeriggio di mercoledì la polizia israeliana ha bloccato il parlamentare di Otzma Yehudit Itamar Ben-Gvir e diverse centinaia di attivisti di estrema destra che intendevano raggiungere la Porta di Damasco della Città Vecchia di Gerusalemme per tenere una “marcia delle bandiere” attraverso le vie del quartiere musulmano. Il primo ministro Naftali Bennett aveva disposto il divieto di entrare dalla Porta di Damasco, tradizionale luogo di ritrovo di giovani palestinesi durante il Ramadan. La polizia ha bloccato la strada e, dopo un breve tafferuglio, ha obbligato i partecipanti ad entrare nella Città Vecchia attraverso la Porta di Giaffa. “Non ho intenzione di permettere che meschini calcoli politici mettano in pericolo vite umane – ha dichiarato Bennett – Non permetterò che la provocazione politica di Ben-Gvir metta a rischio i soldati e gli agenti di polizia israeliani, e aggravi il loro compito già oneroso. Polizia e soldati continueranno a concentrarsi sulla tutela della sicurezza dei cittadini israeliani, a Gerusalemme e in tutto il paese, e a combattere il terrorismo palestinese con determinazione. L’annuale marcia delle bandiere – ha concluso Bennett – si svolgerà nella sua data regolare, la Giornata di Gerusalemme”.

Il ministro della pubblica sicurezza Omar Barlev ha detto che la polizia permetterà che le preghiere del Ramadan proseguano a Gerusalemme “impedendo a qualunque agitatore di raggiungere la zona e incendiare l’atmosfera”. E ha aggiunto: “Assistiamo alla diffusione di notizie false contro Israele che hanno lo scopo di fomentare le violenze, quando la realtà è completamente diversa”. In serata la polizia è nuovamente intervenuta per impedire a piccoli gruppi di estremisti israeliani di scontrasi con gli arabi nel quartiere musulmano della Città Vecchia.

(Da: YnetNews, Times of Israel, Jerusalem Post, 20.4.22)