Respingendo a priori il piano Trump, i palestinesi si fanno del male da soli

Il rifiuto palestinese è stata la prevedibile reazione pavloviana di una dirigenza incapace di fare i conti con la realtà

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

Non è la prima volta che gli Stati Uniti presentano un piano di pace nel tentativo di porre fine al conflitto israelo-palestinese. Ma questa volta è diverso. Innanzitutto perché, a differenza dei piani precedenti, la proposta dell’amministrazione Usa è pratica e riflette la realtà sul terreno anziché sogni irrealizzabili. Secondo, perché l’amministrazione Trump gode a livello regionale di uno status che Washongton non conosceva da parecchi anni. Terzo, perché il piano è probabilmente coordinato con Israele.

È assai probabile che il piano, e le successive mosse israeliane, si guadagneranno una immediata condanna internazionale, ma ciò non conta molto se Washington è in sincronia con Israele e diversi stati arabi chiave che potrebbero, più o meno tacitamente, sostenere la proposta. Forse per la prima volta nella sua storia Israele avrà la possibilità di definire dei confini che rispondano alle sue più vitali esigenze di sicurezza.

Tuttavia, bisogna chiedersi: e i palestinesi? La dirigenza palestinese si è precipitata a respingere e condannare il piano in termini durissimi ancor prima che fosse ufficialmente presentato. Anzi, ancor prima che fosse del tutto sviluppato, quando avrebbero potuto incidere sulla sua elaborazione. Il netto rifiuto è stata la prevedibile reazione, quasi pavloviana, che è anche il motivo per cui è stata così sconfortante.

Proteste a Gaza contro il piano Trump. La mappa sul logo stesso dell’agenzia Palestine Play mostra qual è l’unica “spartizione” che l’irredentismo palestinese considera accettabile (clicca per ingrandire)

E’ ovvio che, quand’anche gli americani avessero promesso ai palestinesi tutto ciò che ufficialmente dicono di volere, essi avrebbero comunque respinto il piano. E’ lo schema fisso della storia palestinese, radicato per generazioni nella debolezza e nell’incapacità della dirigenza palestinese di prendere decisioni cruciali, di affrontare l’opinione pubblica palestinese e convincerla che sono necessari compromessi e concessioni se si vuole raggiungere l’obiettivo più importante. Invece di prendere in mano il proprio destino, i palestinesi hanno sempre cercato di fare affidamento sul fatto che altri gli risolvessero il problema. In passato, aspettavano che lo facessero gli eserciti dei paesi arabi sul campo di battaglia. Oggi, aspettano che lo faccia la comunità internazionale nell’arena diplomatica.

Una dirigenza al contempo debole ed estremista, incapace di affrontare e accettare la realtà per quello che è, ha sempre bloccato i palestinesi. Anche ora stanno rifiutando a priori una proposta che difficilmente si riproporrà loro in futuro. I palestinesi possono, come al solito, rifiutare il piano e attendere le prossime elezioni in Israele e negli Stati Uniti. Possono anche optare per la violenza e la conflittualità all’infinito, e anche questa non sarebbe una novità. In ogni caso, la decisione palestinese di respingere il piano di pace di Trump è semplicemente l’ennesimo chiodo piantato nella bara del concetto di stato palestinese, e questo è un fatto a cui Israele deve prepararsi.

(Da: Israel HaYom, 28.1.20)