Resto qui per parlare al mondo

Uno studente di Beersheva spiega perché posta messaggi video ogni volta che suonano le sirene.

Di Assaf Farhadian

image_3593La mia vita quotidiana a Beersheva è regolata sul fatto che trascorro il tempo, qui, come studente: studiando, lavorando, andando a qualche festa e al pub con gli amici, e insomma facendo tutte le cose che potete immaginare. Mercoledì scorso, quando è iniziata l’operazione “Colonna di nube difensiva”, i corsi sono stati improvvisamente sospesi e ci è stato detto di fermare tutto e sgomberare l’università, secondo le disposizioni della Protezione Civile. Poche ore dopo Beersheva era deserta, vuota e silenziosa – ad eccezione della sirena dell’allarme anti-aereo che suonava a tutto volume un paio di volte ogni ora.
Non intendo giudicare quelli che hanno scelto di andarsene da qui all’inizio di quest’ennesimo round di attacchi sul sud di Israele. Rispetto e capisco la loro scelta, quale che sia. Io, per quanto mi riguarda, ho deciso di restare, come tanti altri, per mostrare a noi stessi, agli altri cittadini d’Israele, ai nostri alleati e ai nostri nemici in tutto il mondo, che il nostro fronte interno è forte e saldo. Anche nei momenti in cui le sirene suonano nel sud di Israele, la mia casa è qui, a Beersheva, e non intendo andare da nessun altra parte.
Non è un sentimento di missione speciale, ma la semplice basilare consapevolezza che questa è la mia casa: non nel centro di Israele dove vivono i miei genitori, non su al nord dove stanno molti miei amici, ma qui nel sud. E come tanti altri israeliani che non hanno voluto lasciarsi tutto alle spalle quando le loro città sono state in pericolo, anche gli abitanti del sud di Israele non se ne andranno.
Non sto negando che c’è pericolo. In effetti non c’è un motivo logico perché io resti qui: non è che aiuto a combattere i terroristi, né sto rischiando la vita nella difesa del paese. Suppongo che in questo caso l’aspetto emotivo sovrasta quello razionale. In effetti, per me è importante il morale della nazione e detta il mio comportamento.
Non chiedo a nessuno di rischiare la vita, Dio non voglia. Ma possiamo restare in luoghi protetti, come i rifugi antiaerei, e diffondere il messaggio che i cittadini di Israele presi di mira dai razzi di Gaza sono forti e saldi. Abbiamo passato di peggio, sopravvivremo anche a questo. E non andremo da nessun altra parte.
Ripensiamo per un momento alla prima volta che il fronte interno si trovò in pericolo. Per tutti questi 64 anni da quando è nato lo Stato d’Israele, il fronte civile interno – non le basi militari – è stato preso di mira. I cittadini e le loro case sono stati il fronte di guerra, a difesa di Israele. L’ethos nazionale è sempre stato e sarà fermo, risulto e forte. “Tutto il paese è in prima linea e tutti i cittadini sono soldati al fronte”.
Questa volta le cose non stanno in modo diverso, e bisogna capire che il nostro atteggiamento caparbio e la nostra forza interiore sono necessari non solo per noi stessi, ma per i nostri nemici e per coloro nel resto del mondo che devono capire quanto è complessa quaggiù la realtà. La mia esperienza di lavoro e di volontariato mi ha insegnato come la realtà assuma maschere diverse. Ho visto come la nostra realtà in Israele appaia completamente differente vista dall’esterno, attraverso i mass-media, sul web e nei campus universitari in giro per il mondo. La mia scelta di restare qui non è solo per rafforzare il fronte interno e mostrare determinazione. È un dovere rispetto a come Israele viene visto dal resto del mondo: non credete a tutto quello che leggete o vedete nei telegiornali.
Ecco perché registro brevi video ogni volta che suonano le sirene: per chiunque sia interessato e voglia sentire in prima persona cosa si prova a vivere a Beersheva nel novembre 2012. Sappiamo tutti che un’immagine vale più di mille parole. Credo che sia nostro dovere far circolare la verità, dare alla gente il quadro autentico e la reale sensazione della realtà israeliana attraverso ogni mezzo possibile.
Non faccio finta d’aver capito che cosa hanno passato i cittadini del sud di Israele nell’ultima dozzina d’anni, da quando i razzi hanno iniziato ad abbattersi direttamente sulle loro città. Questo è il mio quarto anno a Beersheva, dove onestamente le cose non andavano poi tanto male, e dunque non posso nemmeno immaginare come abbiano vissuto le famiglie e i bambini di Sderot e delle altre cittadine prossime alla striscia di Gaza. La loro vita quotidiana non è cambiata granché, in tutti questi anni. Per anni e anni sono stati bersagliati con i razzi lanciati verso le loro case, le scuole, gli ospedali, i giardini d’infanzia. Personalmente non credo che nessuno, da nessuna parte, meriti di vivere in una situazione di questo tipo.
Tuttavia, in questo round, nel momento in cui i terroristi lanciano razzi praticamente ad ogni ora sui civili innocenti di Beersheva, io – un semplice studente dell’Università Ben Gurion del Negev, semplice cittadino d’Israele abitante a Beersheva – resto qui, con la schiena dritta, per mandare un messaggio al resto del mondo.
(Da: YnetNews, 18.11.12)

Video registrato durante un allarme alle 14.00 del 16 novembre:

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=xrplwuhFLoI

Video registrato durante un allarme alle 13.00 del 16 novembre:

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=zrFFi8WgR7U

Video registrato durante un allarme alle 10.00 del 17 novembre:

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