“Richieste a Israele? Ma quali gesti di reciprocità ha mai fatto Abu Mazen?”

“Washington esagera, è scorretta, persino insultante. Ma può farlo: è l’America”

Commenti dalla stampa israeliana

image_2784Scrive Yitzhak Benhorin: «[…] Dopo aver ottenuto la riforma sanitaria, per l’amministrazione Usa è arrivato il momento della verità sui suoi legami con Israele. Un giorno prima dell’arrivo a Washington del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il segretario di stato Hillary Clinton è intervenuta alla convention dell’associazione pro-Israele AIPAC con un discorso nel quale ha spiegato con grande perizia che, andando avanti così, Israele non potrà garantire contemporaneamente la propria sicurezza, il proprio carattere ebraico e il proprio carattere democratico. La Clinton infatti ha ampiamente affrontato li problema demografico che risulta dall’“occupazione israeliana” la quale, ha detto, “minaccia il futuro a lungo termine di Israele come stato sicuro, ebraico e democratico”. Si è trattato di un discorso di alto livello, nel quale la Clinton non ha lasciato dubbi sulla sua simpatia per Israele e sull’impegno dell’amministrazione Obama per la sicurezza e la prosperità dello stato ebraico. Il che tuttavia non le ha impedito di sottolineare le richieste dell’America a Israele. Subito dopo aver detto che “gli Stati Uniti non possono imporre una soluzione”, ha parlato della visione che ha l’America della soluzione del conflitto. In realtà non ha detto nulla di nuovo. Chiunque segua da vicino il conflitto sa che la soluzione può arrivare solo sottoforma di un ritorno alle linee del 1967 più alcuni scambi territoriali, il rigetto del “diritto al ritorno dei palestinesi” (all’interno di Israele anche dopo la nascita di uno stato palestinese), la creazione di uno stato palestinese smilitarizzato, l’introduzione di un’amministrazione condivisa dei Luoghi Santi. Ma l’amministrazione Obama ha scelto di presentare la questione dei confini come la prima questione chiave. Infatti stabilire le frontiere dello status definitivo porrebbe fine all’incubo “congelamento sì/congelamento no” delle attività edilizie israeliane, giacché il governo israeliano potrebbe costruire quello che vuole nel territorio stabilito come appartenente definitivamente a Israele. Per questa ragione la Clinton non ha esitato ad affermare davanti ad AIPAC quale sia l’obiettivo americano, nel quadro delle trattative per lo status finale: risolvere la questione dei confini. Nel suo discorso ha infatti citato “l’obiettivo palestinese di uno stato indipendente e vitale basato sulle linee del ’67, con scambi concordati”: l’obiettivo è, appunto, di mantenere in territorio israeliano i grandi brocchi di insediamenti (che sorgono a ridosso della ex-Linea Verde e che ospitano il grosso dei coloni) trasferendo in cambio al controllo palestinese equivalenti estensioni di terra. […]»
(Da: YnetNews, 23.3.10)

The Jerusalem Post esprime preoccupazione per le sproporzionate critiche americane a Israele, soprattutto in assenza di un aumento sensibile delle pressioni sull’Autorità Palestinese e sul mondo arabo affinché avviino la normalizzazione con Israele. Il che, scrive l’editoriale, può solo incoraggiare la loro intransigenza e violenza. Il giornale esorta Stati Uniti e Israele a «risolvere la loro differenze in modo sobrio, calmo e rapido, per poi proseguire nel senso di esercitare pressione sui palestinesi e sul mondo arabo in generale, finora così inflessibili, affinché accedano a quei compromessi concretamente realizzabili rispetto ai quali Israele e Stati Uniti hanno manifestamente un interesse comune.»
(Da: Jerusalem Post, 23.3.10)

Scrive Yediot Aharonot: «Netanyahu deve fare qualche riflessione. Da quando è salito al potere grazie ad elezioni perfettamente democratiche, e da quando ha formato un governo insostenibile [privo del partito di maggioranza relativa Kadima], la posizione internazionale dello stato di Israele si è deteriorata al punto da diventare realmente pericolosa. Gli americani ci hanno avvertito, eccome se ci hanno avvertito. Ora Obama presenta il conto delle amministrazioni precedenti. Esagera, certo, e si comporta troppo severamente, in modo persino insultante. Ma anche noi non siamo angeli. E poi Obama può permetterselo: lui è l’America. Come nella storiella dell’elefante da otto tonnellate che può sedersi dove vuole: oggi Obama si è seduto su di noi.»
(Da: Yediot Aharonot, 25.3.10)

Scrive Ma’ariv: «L’imboscata di Obama è stata meticolosamente preparata ed attuata con letale precisione. Hillary Clinton ha preparato il terreno. Biden, nella cena con Netanyahu, ha amplificato i segnali. E poi è arrivato il presidente e le ha cantate chiare. Non si capisce ancora come finirà questa crisi, ma certamente all’ambasciata israeliana di Washington stanno sudando freddo. Gli Stati Uniti vogliono sapere chi è Bibi e, soprattutto, vogliono capire cosa vuole veramente. Ora, chi gli va a spiegare che non lo sa nemmeno lui?».
(Da: Ma’ariv, 25.3.10)

Scrive Charles Krauthammer: «[…] Il portavoce del dipartimento di stato americano ha pubblicamente annunciato che a Israele viene ora richiesto di dimostrare con le parole e coi fatti che ha intenzioni serie circa la pace. A Israele? Ma se è dal 1947 che gli israeliani inseguono la pace, e che letteralmente muoiono per la pace: sin da quando accettarono il piano delle Nazioni Unione di spartire l’allora Palestina Mandataria in uno “stato ebraico” e uno “stato arabo” (gli arabi rifiutarono, dichiararono guerra e persero). Israele ha avanzato concrete offerte di pace nel 1967, nel 1978 e con gli accordi di pace del 1993 che Yasser Arafat stracciò sette anni più tardi per lanciare una guerra terroristica (l’intifada delle stragi) che uccise un migliaio di israeliani (in massima parte civili). Ma come! il marito della stessa Clinton è testimone dell’offerta di pace straordinariamente coraggiosa e visionaria avanzata in sua presenza da Ehud Barak (oggi ministro della difesa di Netanyahu) al summit di Camp David del luglio 2000. Arafat la respinse. Nel 2008 il primo ministro Ehud Olmert offrì una pace in termini altrettanto generosi al leader palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Di nuovo un rifiuto. In questi lunghi e sanguini sessantatre anni i palestinesi non hanno mai accettato un’offerta israeliana di pace permanente, né hanno mai risposto con nulla che non fossero le condizioni per poter distruggere Israele. Hanno insistito piuttosto su un “processo di pace” – ora al suo diciassettesimo anno post-Oslo, senza che abbia ancora prodotto un impegno credibile da parte palestinese per una definitiva coesistenza di pace con uno stato ebraico; un “processo di pace” il cui senso è quello di strappare a Israele continue concessioni anticipate, come il bando sulle attività edilizie ebraiche nelle parti di Gerusalemme occupate dalla Giordania fra il 1948 e il 1967, ancor prima che inizino i negoziati per una vera pace. Da quando c’è Obama, Netanyahu ha accettato di impegnare la sua coalizione di centro-destra ad accettare uno stato palestinese, ha tolto decine di posti di blocco e di sbarramenti anti-terrorismo per facilitare la vita ai palestinesi, ha aiutato lo sviluppo economico della Cisgiordania al punto che il Pil palestinese è cresciuto di uno stupefacente 7% in un anno, e ha accettato di varare una moratoria delle costruzioni ebraiche in Cisgiordania: una concessione che la stesa Clinton ha definito “senza precedenti”. Quali gesti di reciprocità, per non dire concessioni, ha fatto Abu Mazen da quando Obama è presidente? Neanche uno. Anzi, già molto prima che si verificasse l’incidente diplomatico durante la visita di Biden, Abu Mazen già si rifiutava anche solo di riprendere negoziati diretti con Israele. Ecco perché l’amministrazione Obama ha dovuto fare ricorso ai cosiddetti “colloqui di prossimità”, una procedura che ci riporta indietro di 35 anni: a prima della svolta impressa dalla visita di Anwar Sadat a Gerusalemme. E la Casa Bianca chiede che sia Israele a dimostrare la sua serietà verso la pace? Questo sì che è un insulto. […]»
(Da: Jerusalem Post, 21.3.10)

Scrive Yisrael Hayom: «Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sa che gli Stati Uniti non solo ci aiutano a mantenere il vitale vantaggio tecnologico-militare rispetto ai nostri nemici giurati, ma sono anche l’unica potenza capace di contrastare gli attacchi diplomatici contro di noi. Pertanto, da quando è stato eletto, Netanyahu ha fatto concessioni unilaterali allo scopo di condiscendere Obama, ma senza risultato. Nonostante tutta la retorica sull’alleanza incrollabile, gli Stati Uniti non ci trattano in modo equo. Hanno cancellato accordi e intese conclusi con i governi precedenti, continuano ad ignorare le provocazioni palestinesi. La preoccupazione è che, in caso di stallo, gli Stati Uniti cerchino di imporre una soluzione e che Israele finisca col trovarsi a negoziare con gli americani, mentre Abu Mazen se ne starà a guadare alla finestra».
(Da: Yisrael Hayom, 25.3.10)