Riconciliazione: la grande sconfitta

Una tragedia del conflitto è che gli estremisti arabi finiscono sempre per avere la meglio.

Da un articolo di Herb Keinon

image_1067Valutare chi ha vinto e chi ha perso è sempre lo sport preferito dopo le elezioni, e quelle di mercoledì per il Consiglio Legislativo Palestinese non fanno eccezione. L’ironia è che hanno perso sia israeliani che palestinesi, e per lo stesso motivo. La netta affermazione di Hamas significa che gli estremisti hanno ora conquistato una forte base d’appoggio ufficiale nella proverbiale piazza palestinese.
Una delle tragedie durature dell’ormai centenario conflitto arabo-israeliano è che gli arabi estremisti, quelli che rifiutano qualunque forma di riconciliazione, finiscono sempre per avere la meglio.
Finora si poteva sostenere la tesi che il palestinese medio desidera soltanto condurre la sua vita come tutti noi. La convinzione era che la maggior parte dei palestinesi volesse semplicemente vivere in pace, mandare i figli a scuola senza paura, ma che la società palestinese fosse sempre tragicamente “sequestrata” dagli estremisti.
Ma ora a quanto pare la piazza palestinese, o per lo meno una grossa parte di essa, si è volonterosamente e democraticamente “consegnata” nelle mani degli estremisti. Il che non è un bene per i palestinesi, perché la cosa garantirà che il conflitto continui ad infuriare. E non è un bene per gli israeliani, perché garantirà che il conflitto continui ad infuriare.
Dunque, chi ha vinto? Per adesso, gli americani. Nonostante il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) segnalasse di voler rinviare le elezioni quando appariva chiaro che Hamas avrebbe prevalso e che la sua carica era in pericolo, gli americani hanno premuto perché le elezioni si tenessero alla data fissata. Perché stavano promuovendo la democrazia in Medio Oriente. Allo stesso modo, quando Israele segnalò di essere ben poco entusiasta che i palestinesi votassero a Gerusalemme per un partito che invoca la distruzione di Israele, lasciando intendere che avrebbe potuto impedire quel voto, gli americani hanno respinto l’idea. Perché stavano promuovendo la democrazia in Medio Oriente. E in effetti il punto di vista degli americani è prevalso su entrambi i fronti: un buon esempio di quanta influenza siano in grado di esercitare in questa regione.
Gli americani hanno avuto ciò che volevano: elezioni democratiche nel Medio Oriente arabo, un’altra agognata “tacca” su quella lista dei successi della democrazia in Medio Oriente che deve essere appesa in qualche ufficio a Washington. Gli americani volevano delle elezioni democratiche nell’Autorità Palestinese che fossero corrette, libere e alla data fissata. E le hanno avute. Ma potrebbe risultare una vittoria di Pirro, una vittoria che non farebbe che sottolineare quanto enorme sia la sfida che si trova di fronte l’impulso degli americani per la democratizzazione della regione.
Cosa accade quando, come in Germania negli anni ’30, il popolo sovrano va a votare e vota i cattivi? Che si fa? Una delle ragioni per cui l’America ha spinto così fortemente per le elezioni era la speranza che si innescasse un effetto valanga, che elezioni nei territori influenzassero positivamente i passi verso la democrazia nei vicini stati arabi. Cosa che potrebbe effettivamente accadere. Vedendo queste elezioni nell’Autorità Palestinese, la gente in Egitto, in Arabia Saudita, in Siria potrebbe dire: “Ehi, se possono votare a Ramallah e a Kalkilya, allora possiamo farlo anche noi”. Il che è una buona cosa. La brutta notizia, per la quale gli americani non sembrano avere una risposta, è: cosa accade quando la popolazione, o una parte significativa di essa, non vuole la democrazia jeffersoniana, preferendole l’estremismo fondamentalista islamico?

(Da: Jerusalem Post, 26.01.06)