Riconciliazione palestinese

La prospettata intesa Fatah-Hamas allontanerebbe la soluzione “due popoli-due stati”

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2177Ci vorrà forse qualche mese, ma è assai probabile che alle fine il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) farà riconciliare il suo movimento Fatah con Hamas, verrà varato un governo ad interim di “tecnici” e si terranno nuove elezioni palestinesi.
Abu Mazen è stato a Damasco domenica e lunedì per discutere questa prospettiva di riconciliazione con il presidente siriano Bashar Assad, che preme per la riunificazione dei palestinesi. Leader arabi, pur in competizione fra loro per le rispettive influenze, vorrebbero vedere riunite le fazioni palestinesi in un fronte unico.
Abu Mazen si rifiuta ancora di incontrare Khaled Mashaal, il leader di Hamas che fa base a Damasco, almeno finché gli islamisti non ribalteranno quello che Abu Mazen chiama il “golpe” del giugno 2007 che ha espulso Fatah dalla striscia di Gaza. Dal canto suo, Hamas vuole che gli sforzi per la riconciliazione spingano Abu Mazen ad accettare i risultati delle elezioni per il Consiglio Legislativo palestinese del gennaio 2006, nelle quali il movimento jihadista aveva ottenuto 74 seggi su 132.
A Fatah brucia ancora quella sconfitta, che portò a mesi e mesi di vani tentativi di spartire il potere fra le due fazioni. Abu Mazen ha cercato di preservare l’influenza di Fatah, di perseguire colloqui con Israele e di mantenere i legami e il flusso di finanziamenti dall’occidente. Nel frattempo Ismail Haniyeh, il “pragmatico” di Hamas diventato primo ministro, respingeva la richiesta del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) che gli islamisti rinunciassero alla violenza, riconoscessero Israele e aderissero agli impegni precedentemente sottoscritti dall’Olp.
Ciò che divide le due parti è la lunga, spesso corrotta e autocratica gestione della causa palestinese da parte di Fatah e il suo controllo sull’Olp, l’organizzazione-ombrello dei palestinesi internazionalmente riconosciuta. Hamas e Fatah si dividono anche su come meglio si debbano articolare e perseguire gli obiettivi palestinesi e sul ruolo dell’islam nella lotta contro Israele. A tutto ciò si aggiungono gli odi viscerali personali fra esponenti chiave dei due campi.
Fatah non ha mai negato l’aspetto islamico dell’anti-sionismo, sebbene dal 1964, quando si lanciò nella “lotta armata”, abbia sottolineato soprattutto il nazionalismo palestinese. Ad ogni modo, quali che fossero le sue ragioni ultime, il leader di Fatah Yasser Arafat moderò la posizione pubblica del suo gruppo e firmò gli Accordi di Oslo del 1993 con Israele, che aprirono la strada all’istituzione, nel 1994, dell’Autorità Palestinese.
Hamas, fondata dallo sceicco Ahmed Yassin nel 1987 durante la prima intifada, è una gemmazione della famigerata Fratellanza Musulmana. Gli islamisti sono convinti che ogni singolo ettaro di terra fra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo sia consacrato per le future generazioni di musulmani, che il compromesso sia un peccato e che il nazionalismo sia un’eresia. La Carta di Hamas del 1988 preannuncia che un giorno i musulmani cancelleranno Israele.
Mentre in Cisgiordania la presenza di Israele tiene sotto controllo l’ala militare di Hamas, i capi di Hamas continuano a prepararsi per il giorno in cui riusciranno a prendere il controllo dell’Autorità Palestinese. Nonostante gli intensi e ben finanziati sforzi occidentali fatti arrivare attraverso i sostenitori di Abu Mazen per rafforzare la società civile palestinese, una vasta rete di organizzazioni di assistenza e di beneficenza affiliate a Hamas, sostenute da donazioni che provengono da un po’ tutto il mondo islamico, incrementa la popolarità di quest’organizzazione già molto ammirata (per la sua posizione intransigente e violenta contro Israele). Le Forze di Difesa israeliane aumentano gli sforzi volti a far chiudere le istituzioni in Cisgiordania affiliate a Hamas e a confiscarne i beni, un compito che spetterebbe agli organismi dell’Autorità Palestinese. È difficile credere che qualcuno – il segretario di stato Usa Condoleezza Rice, il capo della politica estera UE Javier Solana, men che meno il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni – si faccia la minima illusione su cosa ne sarebbe di Abu Mazen e di Fatah se le Forze di Difesa israeliane dovessero improvvisamente ritirarsi dalla Cisgiordania.
Mentre le prospettive di Abu Mazen si affievoliscono – un organismo giuridico a Ramallah ha appena “prolungato” unilateralmente il suo mandato oltre la naturale scadenza del gennaio 2009 – Fatah ha bisogno della legittimità che solo l’unità potrebbe conferire. Mentre per Hamas, l’unità è la strada per arrivare al controllo sulla Cisgiordania.
Potrebbe Abu Mazen aumentare la sua popolarità arrivando con Israele a un cosiddetto “shelf agreement” (accordo simbolico la cui attuazione può essere posticipata) entro la scadenza di dicembre 2008? Difficile capire come ciò possa realizzarsi, dato che la sua posizione “moderata” prevede il ritiro di Israele esattamente sulle linee d’armistizio del 1949 (ipotesi che non esiste in nessun piano di pace) nonché il cosiddetto “diritto al ritorno” dei profughi (e dei loro discendenti) all’interno di Israele: cosa che segnerebbe la distruzione demografica di Israele e dunque inaccettabile anche per il più flessibile dei governi israeliani.
Se i negoziatori palestinesi stanno silenziosamente facendo concessioni impegnative sulle questioni dei confini e dei profughi per aprire la strada a un “shelf agreement”, ma senza minimamente preparare la loro gente all’idea del compromesso, allora la popolarità di Abu Mazen non farà che precipitare. Viceversa, se nessun accordo verrà raggiunto perché non si vorrà scendere a questi compromessi, la leadership di Abu Mazen ne risulterà comunque compromessa e Hamas emergerà come la forza predominante.
Dunque, mentre una riconciliazione Fatah-Hamas appare pressoché inevitabile, la possibilità che essa contribuisca ad avvicinare la soluzione “due stati” – uno ebraico e uno arabo-palestinese che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza – appare sempre più remota. Ma esiste un piano B?

(Da: Jerusalem Post, 8.07.08)

Nella foto in alto: il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), a sinistra, incontra lunedì a Damasco il capo della jihad Islamica palestinese Ramadan Shallah