Riflessioni post-elettorali di un elettore di centro

Quando né destra né sinistra sono in grado di offrire un piano di pace concreto e fattibile, fra gli ebrei israeliani prevalgono cautela e diffidenza. Urgono idee innovative per una soluzione del conflitto

Di Zev Farber

Zev Farber, autore di questo articolo

Dato che sono un elettore di centro, sostenitore di Yesh Atid sin dall’inizio, e ho intenzione di rimanere tale per il prossimo futuro, voglio cogliere l’occasione dell’analisi del voto per guardare dove abbiamo fallito. Non mi riferisco qui a fallimenti tattici. Domandarsi se ci fosse un modo per garantire che il Meretz superasse il quorum o per ottenere un maggiore sostegno da parte di Gantz sono questioni minori, e ossessionarsi con esse è solo un modo per illudersi di riprendere il controllo di una situazione andata a rotoli. Quello su cui penso che dobbiamo concentrarci è perché il nostro messaggio non è risultato allettante come pensavamo.

Qual è il messaggio del centro? A quanto ho capito, il centro ha basato la propria politica di governo sul seguente concetto: mentre il mondo è ossessionato dal conflitto arabo-israeliano, noi qui ci rendiamo conto che al momento non possiamo farci nulla. Quindi, lasciamolo in secondo piano e concentriamoci sui successi che possono fare la differenza: adoperiamoci per abbassare i prezzi, per migliorare le condizioni di vita degli arabi israeliani con finanziamenti per opere pubbliche, per la costruzione di nuovi ospedali e di un nuovo aeroporto, promuoviamo questioni sociali come il miglioramento della posizione delle donne sui luoghi di lavoro e le questioni ambientali come la battaglia contro l’inquinamento e il riscaldamento globale. Questi temi, secondo noi, dovrebbero esercitare ampio appeal anche fra gli elettori della destra.

E i palestinesi? Qui l’idea era che si possa diversificare. Mantenere lo status quo, che include il mantenimento di una qualche forma di controllo sull’intera Cisgiordania (diverso a seconda delle aree A, B e C) che noi preferiamo chiamare con il suo vero nome di Giudea e Samaria, il termine favorito anche dalla destra. Allo stesso tempo, affermare che l’obiettivo finale è una soluzione a due stati, pur sapendo che al momento non abbiamo idea di come si potrebbe mai attuare una cosa del genere dato che i palestinesi non hanno mai accettato le offerte di compromesso e la maggior parte degli ebrei israeliani ha perso ogni fiducia nei negoziati per una soluzione a due stati dopo lo scoppio della seconda intifada (l’intifada delle stragi suicide degli anni 2000–2005).

“Con le stragi della seconda intifada la maggior parte degli ebrei israeliani perse ogni fiducia nei negoziati per una soluzione a due stati”

Questa strategia – andare avanti con le questioni economiche e sociali rinviando la questione palestinese ad un futuro ignoto – non ha funzionato. A quando pare, non è solo il resto del mondo che vuole una soluzione alla crisi, ma anche gli israeliani, che non ne possono più di una eterna situazione di conflittualità e pericolo.

E qui arriviamo al nocciolo del problema. Circa trent’anni fa al partito laburista venne conferito il potere di negoziare un accordo con i palestinesi. Gli ebrei israeliani speravano che fosse all’orizzonte una vera soluzione del problema e pensavano che fosse giunto il momento di dare una possibilità ai laburisti visto che il Likud non offriva alcuna soluzione. Il processo così avviato si prolungò attraverso gli accordi Oslo Uno (1993, Rabin), Olso Due (1995, Rabin), l’accordo di Hebron (1997, Netanyahu) e l’accordo di Wye Plantation (1998, Netanyahu), creando l’Autorità Palestinese e istituendo lo status quo delle aree A, B e C. Quando si giunse al dunque dei negoziati per la sistemazione definitiva, le trattative tra Ehud Barak e Yasser Arafat naufragarono. Barak, che aveva accettato una soluzione a due stati senza precedenti, tornò in patria sconfitto. Arafat, che l’aveva rifiutata, tornò trionfante e lanciò la seconda intifada, con una serie allucinante di attacchi terroristici in tutto Israele: cosa che sostanzialmente pose fine a qualsiasi reale fiducia della maggioranza degli ebrei israeliani in una soluzione di compromesso a due stati.

Da quel momento siamo entrati in una zona in cui né la destra né la sinistra hanno una soluzione da proporre. La destra parla di annessione, ma non spiega come potremmo inglobare una popolazione di due milioni di arabi senza diritto di voto e in guerra civile perpetua, né spiega come gli israeliani potrebbero accettare e giustificare una tale situazione davanti a se stessi e al mondo in generale.

La sinistra continua a parlare della Soluzione a Due Stati, ma è diventata una frase molto simile alla frase “quando verrà il Messia” degli ambienti religiosi. A parte l’estrema sinistra post- o anti-sionista, in realtà qui nessuno vede come si possa realizzare la soluzione a due stati senza mettere in grave pericolo lo stato ebraico dato che non sono mai cambiate le rivendicazioni dei palestinesi, a cominciare dal cosiddetto diritto al ritorno dentro Israele (e non nello stato palestinese che verrebbe formato) e la capitale a Gerusalemme est (compresi i luoghi santi ebraici). Per la sinistra la Soluzione a Due Stati è diventata un atto di fede, non un progetto politico.

Se nessuna delle due parti dispone di un vero piano, perché ha vinto la destra? Un messaggio chiave che traggo dai risultati elettorali è che, quando nessuno dispone di un piano fattibile, gli ebrei israeliani preferiscono sbagliare esagerando in cautela e diffidenza e quindi votano a destra, mentre quegli arabi israeliani che ritengono che destra e sinistra si equivalgano non votano affatto.

Se il centro moderato vuole catturare di nuovo l’immaginazione della maggioranza israeliana, occorre un nuovo piano. Sappiamo che governare milioni di persone è immorale e impraticabile. Ma sappiamo che una pace negoziata con i palestinesi in stile Oslo che sia sicura per Israele e accettabile per l’Autorità Palestinese è una pia illusione irrealizzabile. E sappiamo anche che un ritiro unilaterale, come quello che fatto a Gaza, finisce con una Palestina sotto il controllo dei terroristi di Hamas e razzi lanciati contro le nostre case.

Se il centro moderato vuole guidare il paese nel futuro – e personalmente mi auguro che accada – non basta offrire importazioni a prezzi più bassi, fornire una migliore assistenza sanitaria e rilasciare permessi edilizi più spediti per il settore arabo. Occorrono pensieri innovativi per la soluzione del conflitto di fondo. Bisogna trovare il modo di offrire una soluzione pratica che sia equa per i palestinesi e sicura per gli ebrei israeliani, consentendo a tutti noi, ebrei e arabi allo stesso modo, di progredire verso un nuovo futuro.

(Da: Times of Israel, 6.11.22)