Risoluzioni Onu che incoraggiano l’intransigenza dei palestinesi e il loro rifiuto di negoziare

Anche Israele potrebbe fare di più per promuovere la pace, ma le Nazioni Unite (e Washington) devono capire che certe votazioni non aiutano affatto, e anzi peggiorano le cose

Editoriale del Jerusalem Post

L’intervento on-line del presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen all’Assemblea Generale dell’Onu lo scorso 25 settembre

Il popolo ebraico è davvero il popolo eletto, almeno per quanto riguarda le Nazioni Unite e il modo in cui trattano lo stato d’Israele. Lo si è visto di nuovo mercoledì scorso quando l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato cinque risoluzioni palestinesi anti-israeliane, parte di un pacchetto di quasi 20 documenti di questo genere che l’organismo approva automaticamente ogni anno. Nel caso ve lo stiate chiedendo, diciamo subito che no, nessun altro paese al mondo viene colpito da così tante risoluzioni di condanna.

Gli stati membri sono stati chiamati a votare questioni fumose come la conferma di un “Comitato Onu per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese” e un testo intitolato “Programma speciale di informazione sulla questione della Palestina”. Ma ciò che rimane veramente poco chiaro è cosa ottengano esattamente queste risoluzioni. Per un verso, dimostrano un’ossessione maniacale verso Israele, fatto oggetto di attenzioni negative da parte delle Nazioni Unite senza eguali per qualsiasi altro paese. Dall’altro, non fanno assolutamente nulla per promuovere la pace.

Come ha giustamente commentato l’ambasciatore d’Israele all’Onu Gilad Erdan, “i paesi che in questa votazione hanno sostenuto Israele hanno capito che questo pacchetto di risoluzioni non fa nulla per promuovere la pace: serve invece a rafforzare la posizione di rifiuto dei palestinesi e a esacerbare il conflitto”. La pace è forse più vicina, dopo queste votazioni alle Nazioni Unite? I palestinesi sono più incentivati a sedere al tavolo dei negoziati, ora che l’Assemblea Generale dell’Onu ha deciso di approvare una risoluzione che conferma il lavoro della “Divisione per i diritti dei palestinesi presso il Segretariato”? Ovviamente no. Questi voti e queste risoluzioni ottengono un solo risultato: protrarre l’intransigenza dei palestinesi, le loro illusioni e il loro rifiuto di sedere al tavolo e negoziare con Israele.

Vignetta postata da Fatah nell’aprile 2020. Il bambino con la bandiera palestinese scrive sulla mappa (che cancella Israele): “La Palestina va dal mare al fiume e la sua capitale è Gerusalemme”. I palestinesi devono rendersi conto che dovranno accettare compromessi se vogliono raggiungere l’indipendenza e la pace

È vero che Israele potrebbe fare di più per promuovere la pace. Da anni questo giornale mette in discussione l’impegno del primo ministro Benjamin Netanyahu per una soluzione a due stati. Ma le Nazioni Unite devono capire che così facendo non aiutano affatto. Al contrario, peggiorano le cose.

E’ importante che questo concetto sia ben presente all’amministrazione entrante del neo-eletto presidente americano Joe Biden, quando entrerà in carica il prossimo 20 gennaio. Da quel momento, sarà forte la tentazione di tornare ad adagiarsi sulle posizioni delle amministrazioni precedenti, riabbracciando la facile strada di attribuire a senso unico a Israele la colpa e la condanna per l’impasse nel processo di pace. Ma come si è visto negli ultimi trent’anni, è una strada che non porta da nessuna parte.

Non sapremo mai cosa sarebbe successo se il presidente Donald Trump avesse vinto un secondo mandato e avesse continuato a fare pressione sui palestinesi affinché accettassero il piano di pace lanciato dalla sua amministrazione lo scorso gennaio. Dopo aver trovato porte aperte a Washington per otto anni, improvvisamente sotto Trump i palestinesi non hanno più ottenuto tutto ciò che volevano e si sono ritrovati in aperto contrasto con lui, col Segretario di stato Mike Pompeo e con altri membri di spicco dell’amministrazione americana. È probabile che i palestinesi non sarebbero stati in grado di reggere per altri quattro anni e che alla fine sarebbero tornati al tavolo dei negoziati con Israele, questa volta con la chiara consapevolezza che avrebbero dovuto accettare compromessi.

Non è andata così, e ora la domanda è: cosa farà l’amministrazione Biden, ammesso che trovi il tempo per provare a rilanciare il processo di pace israelo-palestinese? Quello che è successo all’Onu la scorsa settimana dovrebbe servire a ricordare ciò che non è necessario: israeliani e palestinesi non hanno bisogno di piani, risoluzioni e proposte che suonano bene sulla carta e nelle conferenze accademiche, ma che non hanno nulla a che fare con la realtà. I paesi che all’Onu hanno votato a favore delle cinque risoluzioni anti-israeliane (tra cui persino una che lamenta la mancanza di prospettive di pace ignorando totalmente i progressi fatti con gli Accordi di Abramo fra Israele, Emirati e Bahren ndr) hanno dimostrato di essere completamente scollegati dalla realtà e da quanto accade realmente in Israele, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Peggio, le tonitruanti risoluzioni e dichiarazioni anti-israeliane in Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza non porteranno mai le parti a sedere e negoziare insieme.

Cosa occorre, invece? Occorre che la parte palestinese si renda conto che non potrà ottenere semplicemente ciò che vuole, e che dovrà accettare dei compromessi se vuole raggiungere l’indipendenza e la pace. E perché lo capisca, Biden dovrà mettere in chiaro che gli Stati Uniti non torneranno ai tempi del presidente Barack Obama e al suo rifiuto di porre il veto a risoluzioni anti-israeliane come la 2334, approvata alla fine della sua presidenza. Il momento di metterlo in chiaro e adesso.

(Da: Jerusalem Post, 6.12.20)