Rispetto per la Corte

Israele deve preservare le sue istituzioni democratiche e garantire che lo stato di diritto perduri a prescindere da chi è alla guida del paese

Editoriale del Jerusalem Post

La Corte Suprema riunita domenica a Gerusalemme

Domenica la Corte Suprema d’Israele si è riunita in sessione allargata a undici giudici, guidati dalla presidente Esther Hayut, per esaminare una petizione circa la legalità o meno del fatto che venga incaricato di formare la coalizione di governo il primo ministro ad interim Benjamin Netanyahu, incriminato in tre presunti casi di corruzione, frode e abuso d’ufficio.

Ad un primo sguardo la sentenza sembrerebbe scontata. Nei casi Deri-Pinchasi del 1993 la Corte Suprema stabilì che i ministri incriminati e in attesa di processo non possono continuare a servire come ministri: devono essere licenziati dal primo ministro o obbligati a dimettersi. Per quanto riguarda invece un primo ministro in carica, la Legge Fondamentale “Il governo” ha sancito che non si applica il precedente giudiziario stabilito per i ministri. Quindi, un primo ministro in carica può rimanere in carica fino a quando sul suo caso non venga emesso un verdetto definitivo, in appello.

Il problema è che Netanyahu non è, oggi, un primo ministro in carica. È il primo ministro ad interim di un governo dimissionario. La logica che sta dietro alla legge che consente a un primo ministro di rimanere in carica fino alla fine del procedimento a suo carico sta nel fatto che le dimissioni di un primo ministro portano alla caduta dell’intero governo, e significano in pratica elezioni anticipate. Il che non accade quando deve lasciare un semplice ministro. Ma in questo momento non c’è un governo (salvo quello per l’ordinaria amministrazione) e dunque non vi è la preoccupazione che il governo possa cadere. D’altra parte, date l’attuale costellazione politica, è chiaro che impedire a Netanyahu di formare la coalizione potrebbe rigettare il sistema politico nella paralisi in cui è rimato bloccato per 17 mesi (fino all’accordo firmato tra Likud e Blu-Bianco due settimane fa).

Un israeliano assiste la trasmissione in diretta della sessione della Corte Suprema, domenica a Gerusalemme

Difficile immaginare cosa deciderà alla fine la Corte Suprema. Da un lato, il criterio che si applica a un ministro potrebbe applicarsi anche a un primo ministro in pectore. Al momento non esiste un governo destinato a cadere se Netanyahu non viene autorizzato a formare la nuova coalizione, nel senso che il suo governo è già formalmente caduto (tanto che si è andati tre volte a elezioni anticipate). D’altra parte, la Corte sa bene che se decreterà che Netanyahu non può formare la coalizione, è improbabile che questi, indicato da una maggioranza dei parlamentari, accetti di buon grado la sentenza. Il che potrebbe aprire una crisi costituzionale senza precedenti che non solo minerebbe lo stato di diritto, ma potrebbe portare a una pericolosa spaccatura nel paese dagli esiti imponderabili.

In qualunque modo decida, la Corte Suprema si troverà in una posizione complicata. Se consentirà a Netanyahu di formare la coalizione, sembrerà chiudere un occhio su presunti casi di corruzione politica (peraltro ancora in attesa di processo), quasi che vi possano essere in Israele persone al di sopra della legge. Viceversa, impedire a Netanyahu di formare il governo minerebbe ulteriormente la posizione della Corte Suprema agli occhi di una consistente parte dell’opinione pubblica, in particolare di destra, che è già diffidente nei confronti di quelle che le appaiono come pesanti interferenze del massimo organo giudiziario in questioni che non gli competerebbero.

In passato anche su questo giornale abbiamo stigmatizzato certi sconfinamenti da parte della Corte Suprema. Ma ciò non deve mai arrivare a prese di posizione come quella del ministro della giustizia Amir Ohana che l’anno scorso, appena entrato in carica, si spinse ad affermare che avrebbe agito senza necessariamente attenersi a tutte le sentenze della Corte. La recente decisione dell’allora presidente della Knesset Yuli Edelstein di ignorare una sentenza della Corte, e di non convocare il plenum della Knesset per un voto sulla sua sostituzione, ha dimostrato che nel partito attualmente al potere non esiste più il rispetto che un tempo lo caratterizzava per lo stato di diritto, la separazione dei poteri e la necessità di tutelare le istituzioni della democrazia israeliana.

Questi sono tempi di grande precarietà politica in Israele. Ma in ogni caso, che si sostenga o meno Netanyahu, Israele deve preservare le proprie istituzioni democratiche e garantire che lo stato di diritto perduri, a prescindere da chi è alla guida del paese.

(Da: Jerusalem Post, 3.5.20)