Ritiro da Gaza e terrorismo: miti e realtà

Il terrorismo è la tattica araba contro gli ebrei in Terra dIsraele almeno a partire dagli anni 20

Da un articolo di Yitzhak Ben-Yisrael

image_1295Consideriamo un certo numero di presunte “evidenti verità” che invece dovrebbero essere respinte.

“Il ritiro ha incrementato il terrorismo nella striscia di Gaza”. Falso. Dal ritiro in poi, il numero di attacchi terroristici e di vittime è anzi diminuito. Restano, è vero, i lanci di missili Qassam, ma i Qassam venivano lanciati anche prima del ritiro, insieme ai colpi di mortaio (che raggiungevano gli insediamenti di Gush Katif, ma non la città israeliana Sderot). Finora, i morti provocati da Qassam sono avvenuti tutti prima del ritiro.

“Il ritiro dalla striscia di Gaza era basato sulla convinzione che il terrorismo sarebbe cessato”. Falso. Il ritiro mirava al alleggerire il peso della sicurezza (che è stato effettivamente alleggerito, perché non è più necessario proteggere gli insediamenti di Gush Katif), e permettere a Israele di reagire con determinazione ai continui attacchi terroristici (cosa che Israele sta facendo con l’Operazione Pioggia Estiva, senza incontrare eccessive proteste internazionali).

“Il ritiro non avrà condotto a un aumento degli attentati, ma i singoli attentati sono diventati più gravi come nel caso del sequestro del sodato Gilad Shalit”. Anche questo è falso. Gravi attacchi terroristici venivano lanciati contro postazioni delle Forze di Difesa israeliane anche prima del ritiro. In ogni caso, perlomeno statisticamente, non è vero che il ritiro abbia innescato maggior terrorismo.

“Sgomberare gli insediamenti da Gush Katif ha reso più facile la realizzazione di attacchi terroristici”. Falso. Gush Katif si trovava a ovest delle aree della striscia di Gaza più densamente abitate da popolazione araba e dunque non faceva da zona cuscinetto tra esse e Israele.

“Ciò che ha reso più facile la realizzazione di attentati è stato lo sgombero dei soldati israeliani dalla striscia di Gaza”. Anche questo è falso. In primo luogo, il numero di attacchi in realtà è diminuito. In secondo luogo, anche prima del ritiro le Forze di Difesa israeliane non erano schierate all’interno delle aree della striscia di Gaza più densamente abitate da popolazione araba, bensì attorno ad esse e al di fuori della barriera divisoria, come oggi. L’unica eccezione è rappresentata dallo sgombero dell’area Nissanit/Dugit, nella striscia di Gaza nord-occidentale (che ha accorciato di alcune centinaia di metri la gittata necessaria ai missili palestinesi per raggiungere Ashkelon): un errore che andrebbe rapidamente corretto.

Dunque, quali insegnamenti si devono trarre riguardo al piano di Olmert sulla Cisgiordania?
Contrariamente a quanto crede una parte della sinistra israeliana, il ritiro dai territori non pone fine al terrorismo, perlomeno nel breve-medio periodo. Contrariamente a quanto crede la destra, neanche il ricorso alla forza pone fine al terrorismo. Il terrorismo costituisce la principale tattica adottata dalla parte araba nella sua lotta contro la comunità ebraica in Terra d’Israele almeno a partire dagli anni ’20, e non ci dobbiamo illudere che possa cessare per suo conto. Per almeno cento anni abbiamo tentato di tutto, dall’uso della forza alle concessioni più lungimiranti, ma il terrorismo persiste.
L’unica cosa che influisce a breve termine sul livello del terrorismo (non tanto sui tentativi di realizzare attentati, quanto piuttosto sul loro risultato) sono le attività delle Forze di Difesa israeliane e dell’establishment della difesa. Un dispiegamento che facilita queste attività riduce gli attacchi riusciti del terrorismo, un ritiro che le ostacola conduce a un aumento del terrorismo.
Esiste un dispiegamento che possa, da un lato, alleggerire il peso della sicurezza e contemporaneamente, dall’altro, salvaguardare i successi della guerra al terrorismo? La risposta è sì: è la convergenza dei civili in grandi blocchi di insediamenti israeliani mantenendo una presenza militare nei territori sgomberati. Le Forze di Difesa israeliane lasceranno quei territori solo quando qualcuno, sul versante palestinese, si metterà a combattere seriamente le organizzazioni terroristiche. In questo modo le Forze di Difesa israeliane avranno maggiori risorse a disposizione per la sicurezza, senza dare la sensazione che il terrorismo “venga premiato”. A breve termine, una presenza militare nelle aree da cui sono stati sgomberati i cittadini israeliani ridurrebbe i successi (se non i tentativi) del terrorismo. A lungo termine, eserciterebbe sui palestinesi una pressione verso l’abbandono del metodo della violenza.

(Da: Ha’aretz, 10.07.06)

Nella foto in alto: 17 marzo 1954 – Attentato di terroristi palestinesi contro un autobus israeliano: undici passeggeri uccisi uno per uno a sangue freddo.