Ritorno in Africa

Il presidente del Togo, Faure Gnassingbé: “L'Africa è afflitta da gravi difficoltà e Israele ha le chiavi per risolverle"

Editoriale del Jerusalem Post

Maggio 1966: abitanti della Costa d’Avorio leggono la notizia della visita del primo ministro israeliano Levi Eshkol

Maggio 1966: abitanti della Costa d’Avorio leggono la notizia della visita del primo ministro israeliano Levi Eshkol

Durante la recente visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti, la maggior parte dei mass-media si è concentrata sull’incontro con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, sul discorso tenuto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e sugli incontri con i due candidati alla Casa Bianca, Hillary Clinton e Donald Trump.

Ma un altro evento, che ha ricevuto molta meno attenzione pur non essendo per questo meno importante, è stato l’incontro che ha avuto luogo tra Netanyahu e diversi leader africani: tre capi di stato e dodici tra primi ministri e ministri degli esteri.

Negli ultimi tempi si assiste infatti a una vera e propria rinascita dei rapporti tra Israele e Africa. Indicativa del cambiamento di sentimenti è la dichiarazione fatta dal presidente del Togo, Faure Gnassingbé, secondo cui i paesi africani titubanti sul rafforzamento dei legami con Israele devono smettere di cercare scuse e cominciare a collaborare con Gerusalemme. “L’Africa è afflitta da gravi difficoltà e Israele ha le chiavi per risolverle” ha detto Gnassingbe, che sta progettando di ospitare un vertice Israele-Africa nella primavera del 2017.

E’ un fatto: Israele sta finalmente tornando in Africa. Nei decenni dopo la nascita dello stato, Israele aveva un ottimo rapporto con molti paesi africani. Come Israele, gli stati africani si erano da poco sottratti alla servitù del colonialismo: del colonialismo britannico nel caso di Israele; di quello di varie nazioni europee come Belgio, Francia, Gran Bretagna e Germania nel caso dei paesi africani. Gli africani si avvantaggiavano del know-how israeliano, mentre l’interesse di Israele era quello di rompere l’isolamento diplomatico imposto dai suoi vicini arabi. Le relazioni si guastarono dopo la guerra dei sei giorni del 1967 e la guerra di Yom Kippur del 1973. Istigate dalla propaganda araba e sovietica e da sentimenti anti-americani, le nazioni africane credettero alla menzogna che dipingeva Israele come un colonialista dei nostri giorni che occupa terre arabe.

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Giugno 1987: il primo ministro israeliano Yitzhak Shamir in visita ufficiale in Togo

Prima della storica visita di Netanyahu in Africa orientale dello scorso luglio, l’ultimo primo ministro israeliano in visita ufficiale in Africa era stato Yitzhak Shamir nel 1987. Oggi comunque c’è tutta una serie di fattori che concorrono a migliorare le relazioni tra africani e israeliani. Israele ha sviluppato tecnologie che sono particolarmente adatte per gestire i rischi e le sfide che quei paesi devono affrontare. Inoltre paesi come Uganda, Kenya ed Etiopia si trovano a fronteggiare il terrorismo dell’estremismo islamista, e il Ruanda è seriamente preoccupato per le sue possibili ricadute sul suo territorio. Una delle ragioni dell’accresciuta preoccupazione è la disgregazione della Libia e le forze distruttive che si sono scatenate contro i suoi vicini, il Mali e il Ciad. Questi e altri paesi dell’Africa sub-sahariana sono assai più preoccupati per le questioni di sicurezza nazionale di quanto non fossero una ventina di anni fa, e vedono in Israele un paese dotato in questo campo di una grande esperienza e della necessaria tecnologia. Israele si trova nella posizione migliore per aiutare questi paesi ad affrontare le minacce del terrorismo.

Certo, non tutto fila liscio. La Nigeria, un paese afflitto dal terrorismo islamista di Boko Haram,affiliato all’ISIS, si oppone alla partecipazione di Netanyahu al vertice progettato da Gnassingbe per via della presenza in Nigeria di elementi musulmani riluttanti a cooperare con lo stato ebraico.

Oltre a incrementare la minaccia terroristica islamista nel continente africano, la disgregazione della Libia ha avuto anche un altro effetto. Con l’uscita di scena del dittatore libico Muammar Gheddafi, è stato rimosso uno dei maggiori ostacoli alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e Africa. Gheddafi era quello che premeva per ottenere la rimozione di Israele dallo status di osservatore presso l’Unione Africana, ed era quello che faceva pressione per impedire ad altre nazioni africane di aprirsi a Israele. La sua caduta ha avuto un impatto positivo sulle relazioni tra Israele e Africa.

L’incontro fra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i leader di 15 stati africani, lo scorso 22 settembre a New York

L’incontro fra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i leader di 15 stati africani, lo scorso 22 settembre a New York

Un altro fattore che ha contribuito al rilancio della cooperazione israelo-africana è la dinamica creata dallo scontro fra l’Iran e i principali paesi arabi sunniti. L’opposizione alla belligeranza iraniana nella regione ha avvicinato ad Israele un certo numero di paesi arabi. Legami discreti con l’Arabia Saudita e altri paesi del Golfo Persico e una maggiore cooperazione alla luce del sole con la Giordania e l’Egitto hanno permesso alle nazioni africane di trattare con Israele senza mettere a rischio i loro rapporti con le nazioni arabe (e petrolifere).

Per tutte queste ragioni “Israele sta tornando in Africa e l’Africa sta tornando in Israele”, per dirla con le parole usate di recente da Netanyahu. Il bello di questo crescente rapporto è che si tratta di una situazione win-win dove tutti hanno da guadagnare. Israele potrà godere di benefici economici nonché dell’appoggio diplomatico da parte di un maggior numero di nazioni africane nelle sedi internazionali come l’Onu. I paesi africani, dal canto loro, potranno beneficiare del know-how e delle tecnologie d’Israele. Può darsi che questo cambiamento storico non faccia notizia sui mass-media, ma è comunque estremamente importante.

(Da: Jerusalem Post, 26.9.16)