Salve, Shalom

Benvenuto al papa, nello spirito della “riconciliazione” e del “reciproco rispetto”

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2491La temporalesca mattina del 5 gennaio 1964 l’allora presidente d’Israele Zalman Shazare e il primo ministro Levi Eshkol aspettavano di dare il benvenuto “non ufficiale” al primo capo della Chiesa Cattolica in arrivo nello stato ebraico.
Papa Paolo VI aveva fatto ingresso nel nord di Israele attraverso la “porta di Ta’anech”, presso Megiddo, provenendo dalla Cisgiordania allora controllata dalla Giordania. Tale era l’emozione che i cinema del paese annunciarono la proiezione di cinegiornali dedicati alla visita entro 24 ore dalla partenza del pontefice.
Un giorno prima, in un servizio datato da “Gerusalemme, Giordania”, la UPI aveva riferito che il papa era stato quasi calpestato durante la sua visita alla Via Dolorosa “quando folle in preda a eccitazione isterica avevano gli si erano strette attorno” e che era uscito illeso quasi per miracolo “quando dei cavi elettrici nella chiesa del Santo Sepolcro avevano preso fuoco mentre si rivolgeva alla folla. Molti pellegrini e fedeli erano rimasti feriti nella calca urlante la cui indisciplina a tratti aveva rischiato di sopraffare il 66enne pontefice”.
Sul versante israeliano delle linee d’armistizio del 1949, il papa era deciso a non pronunciare neanche una volta il nome di “Israele” e a non avere nessun incontro formale con gli israeliani, neanche con il rabbino capo Yitzhak Nissim. All’epoca il Vaticano non riconosceva lo stato ebraico.
Papa Paolo VI aveva officiato la messa a Nazareth e aveva immerso le mani nel Lago di Tiberiade. Poi si era mosso alla volta di Gerusalemme occidentale con migliaia di israeliani a fargli ala lungo la strada. All’entrata della città lo aspettavano in 25.000.
Esattamente undici ore e mezza dopo essere arrivato, il papa era davanti alla Mandelbaum Gate che collegava le due parti della Gerusalemme divisa, pronto ad andarsene. La zona era illuminata a giorno e 5.000 persone erano convenute per il saluto di congedo. Tra loro il presidente e il primo ministro, insieme al ministro per gli affari religiosi Zerah Warhaftig e al sindaco di Gerusalemme Mordechai Ish-Shalom.
In un breve discorso di saluto pronunciato in francese, il papa (succeduto sei mesi prima a Giovanni XIII) scelse di soffermarsi sulla controversa figura che era stato pontefice durante la Shoà: “Il nostro grande predecessore Pio XII… tutti sanno che cosa ha fatto per la difesa e il soccorso di tutti colori che erano presi nelle tribolazioni, senza distinzioni; eppure sapete che sospetti e persino accuse sono state mosse contro la memoria di quel grande pontefice… un’offesa alla storia”.
Tornato a Roma, Paolo VI inviò un telegramma di ringraziamento al presidente di Israele “a Tel Aviv”, ringraziando non meglio definite “autorità” per l’assistenza logistica durante la sua visita.
Nel momento in cui gli israeliani accolgono papa Benedetto XVI, non possiamo non ricordare con affetto la visita nel 2000 di papa Giovanni Paolo II: di come, in piedi al Muro Occidentale, il capo della Chiesa Cattolica pose in una fenditura fra le antiche pietre un biglietto con cui implorava il perdono di Dio per coloro che avevano causato tante sofferenze agli ebrei nel corso dei secoli.
Manifestamente qualunque valutazione dei rapporti fra la Chiesa e l’impresa sionista deve partire da lontano, dall’incontro del 25 gennaio 1904 fra Theodor Herzl e Pio X durante il quale il pontefice rifiutò qualunque appoggio al sionismo e riconoscimento del popolo ebraico; al 30 dicembre 1993, quando la Santa Sede stabilì rapporti diplomatici con Israele; all’arrivo questa mattina di Benedetto XVI all’aeroporto Ben Gurion.
La conclusione? Ci sono stati più progressi nelle relazioni fra Chiesa ed ebrei negli ultimi 105 anni che nei duemila anni precedenti.
Ma non c’è nemmeno da nascondere il dato di fatto che i rapporti sotto questo papa non sono stati senza problemi. Eletto nell’aprile 2005, Benedetto XVI si è impegnato a proseguire sulla strada di Giovanni Paolo II verso il riconoscimento da parte della Chiesa di Pio XII come santo. Benedetto XVI ha anche tacitamente incoraggiato la preghiera in latino del Venerdì Santo “per la conversione degli ebrei”, usata dagli ultra-tradizionalisti. E ha tolto la scomunica a quattro vescovi appartenenti alla reazionaria Società di San Pio X che respinge la riconciliazione con gli ebrei. Uno dei quattro, il britannico Richard Williamson, è un caparbio negatore della Shoà.
Dopo questi contrattempi, Benedetto XVI ha tuttavia ribadito il suo impegno verso la linea più liberale del Vaticano Secondo, ha ripudiato con forza l’antisemitismo, ha chiamato la Shoà “un crimine contro Dio” definendo “intollerabile” la sua negazione.
Da oggi a quando, venerdì, lascerà il paese, ogni parola del papa verrà scandagliata. Sul Monte Nebo, dove secondo la tradizione Dio mostrò a Mosè la Terra Promessa, Benedetto XVI ha iniziato in modo promettente citando “l’inseparabile legame” fra la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico e parlando di “riconciliazione” e di “reciproco rispetto”. È in questo spirito che diamo il benvenuto al Santo Padre.

(Da: Jerusalem Post, 11.05.09)