Scopo delle violenze? Tornare alla ribalta, ottenere concessioni senza negoziare

Per i palestinesi, il terrorismo è l'unico strumento da utilizzare per raggiungere i loro obiettivi

Reuven Berko

Reuven Berko

Scrive Reuven Berko: «Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) continua a giocare con il fuoco. Lui e i suoi sostengono che Israele, siccome è bloccato dai negoziati in stallo, cerca di scatenare violenza e terrorismo al fine di aumentare la pressione internazionale per la soluzione del problema palestinese. In realtà, è vero esattamente il contrario. Alla luce del caos in Medio Oriente, della minaccia di milioni di profughi che incombono sull’Europa e del fatto che il terrore islamico domina l’agenda internazionale, il problema palestinese è quasi uscito dai radar. Per questo motivo Autorità Palestinese e Hamas cercano di rilanciare il problema utilizzando il metodo che conoscono meglio: versare sangue di ebrei. Chiusi nell’angolo, Autorità Palestinese e Hamas hanno fatto ricorso ad un ignobile e collaudato detonatore: il grido “la moschea di Al-Aqsa è in pericolo”. A nulla sono valse le ripetute dichiarazione di Israele che lo status quo sul Monte del Tempio verrà preservato. Mentre in tutta la regione chiese e moschee vengono date alle fiamme, la calunnia contro Israele non si è fermata nonostante sia noto a tutti che proprio quella di al-Aqsa è la moschea meglio tutelata. La verità è che Abu Mazen e la sua gente (così come alcuni esponenti della Lista Araba Comune e del Movimento Islamico in Israele) aspirano a realizzare il sogno di una terza intifada, una sorta di riedizione di quella che a loro dire fu la prima intifada: “masse disarmate che praticano disobbedienza civile alla Gandhi”. E va da sé che per portare avanti questo sogno è necessario ammazzare degli ebrei. Ma come tutti i piromani, Abu Mazen e il suo staff non si sono soffermati a considerare il fatto che il fuoco potrebbe bruciare pure loro. Eppure Abu Mazen sa bene che, se le cose gli sfuggiranno di mano come avvenne a Gaza nel 2007, e Hamas prenderà il controllo sul suo territorio, i capi dell’Autorità Palestinese verranno buttati giù dai tetti e le proprietà accumulate grazie alla loro gestione corrotta verranno confiscate. Dopodiché sarà difficile premere su Israele perché accetti la nascita in Cisgiordania di stato islamico sotto Hamas. Ecco perché suonano vuote le minacce dell’Autorità Palestinese di interrompere la cooperazione sulla sicurezza con Israele: servono solo per cercare di estorcere ciò che si vuole mediante la pressione internazionale, senza concedere nulla in cambio a Israele. Ma il momento della verità, per i palestinesi, si avvicina. Abu Mazen dovrebbe finalmente riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico, rinunciare alla follia del “ritorno”, acconsentire a scambi di territori, accettare uno stato smilitarizzato con capitale Ramallah e confini non totalmente sotto il suo controllo. Purtroppo, invece, la falsa memoria dei palestinesi, e anche di alcuni arabi israeliani che sognano nuove intifade, fa loro dimenticare i disastri provocati dalla loro reiterata scelta di scontrarsi, anziché negoziare, con Israele. Alla luce della tragica “primavera araba”, dovrebbero piuttosto decidere di aggiornare la loro scheda di memoria». (Da: Israel HaYom, 7.10.15)

Eyal Zisser

Eyal Zisser

Scrive Eyal Zisser: «L’ondata di attacchi terroristici palestinesi ha riportato alla ribalta il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Tutt’a un tratto è di nuovo rilevante. Alcuni lo lodano per i suoi tentativi di contenere la portata delle violenze, altri lo criticano per aver contribuito a fomentare la piazza palestinese. E, naturalmente, non mancano quelli che invocano la ripresa dei colloqui di pace con lui. La cosa importante è che la gente è finalmente tornata a prestargli attenzione. Fino a poche settimane fa Abu Mazen era un uomo dimenticato. Anche i suoi più stretti collaboratori cominciavano a eroderne il potere. Con l’obiettivo di restare in scena, Abu Mazen ha usato il suo discorso alle Nazioni Unite per annunciare che i palestinesi non si ritengono più vincolati dagli accordi firmati con Israele. Ma anche questa minaccia non ha ottenuto molta attenzione. Ora, invece, Abu Mazen sta felicemente utilizzando l’ondata di attacchi terroristici al fine di garantire la propria sopravvivenza politica. La vuota minaccia formulata alle Nazioni Unite non nasconde il fatto che egli ha bisogno di Israele almeno quanto Israele ha bisogno di lui. Se non fosse per Israele, Abu Mazen avrebbe già perso da tempo il potere, e tutti i benefici che il potere comporta. Abu Mazen non è un uomo del terrorismo, e di certo ha imparato la lezione del suo predecessore Yasser Arafat che finì scottato dalle fiamme della seconda Intifada che egli stesso aveva innescato. Ma fiamme di basso livello servono agli scopi di Abu Mazen in questo momento, giacché aumentano la sua importanza di fronte a Israele, alla comunità internazionale e al suo popolo. E poi Abu Mazen si attiene strettamente alla narrazione palestinese secondo cui gli attacchi terroristici non vanno condannati in quanto fanno parte della “lotta popolare” contro “l’occupazione”. Solo poche settimane fa Abu Mazen era un uomo del passato. Ma l’ondata di attentati terroristici gli ha dato scopo e significato, perché ora ha di nuovo un ruolo da ricoprire. Speriamo che cerchi davvero di fermare le violenze. Soprattutto, speriamo che abbia ancora il potere di farlo». (Da: Israel HaYom, 8.10.15)

Ronen Yitzhak

Ronen Yitzhak

Scrive Ronen Yitzhak: «I palestinesi credono di poter intraprendere azioni unilaterali nei confronti di Israele, invece di negoziare con esso la creazione di uno stato palestinese. I palestinesi pensano di poter dettare le condizioni e ottenere che la comunità internazionale faccia pressione su Israele perché le accetti. E il terrorismo, per i palestinesi, è lo strumento da utilizzare per raggiungere i loro obiettivi. A quanto pare, Nazioni Unite e potenze mondiali hanno giocato un ruolo nell’ondata di terrorismo palestinese, quando hanno ignorato sia l’istigazione dell’Autorità Palestinese all’odio contro Israele, sia il suo sostegno finanziario ai terroristi detenuti. Se le Nazioni Unite e le potenze mondiali avessero preso posizione contro quella campagna di istigazione, avrebbero forse contribuito a prevenire il grosso degli attacchi terroristici. Invece l’Onu, lungi dal condannare l’istigazione, non ha nemmeno tenuto una seria discussione su di essa, esattamente come non ha discusso dell’esplicita istigazione iraniana per la distruzione di Israele. L’Onu ha invece offerto al presidente dell’Autorità Palestinese il palco da cui muovere minacce contro Israele e ha permesso ai palestinesi di issare la loro bandiera accanto alle bandiere degli stati membri, dando loro per l’ennesima volta l’illusione di essere ammessi nella comunità degli stati senza negoziare la pace con Israele. Ma i palestinesi cesseranno di ricorrere al terrorismo solo quando capiranno di non poter guadagnare nulla dal terrorismo sul piano politico. Portare i palestinesi al tavolo dei negoziati con Israele è nell’interesse sia di Israele che del mondo. Questo è ciò che dovrebbero fare Nazioni Unite e potenze mondiali». (Da: Israel HaYom, 8.10.15)