Se gli arabi israeliani sono i primi a dire no alla Palestina

La loro reazione di fronte alla prospettiva di uno spostamento del confine trabocca di paradossale ironia

Di Daniel Pipes

Daniel Pipes, autore di questo articolo

La minuziosa “visione per una pace verso la prosperità” illustrata dall’amministrazione Trump contiene molti dettagli, alcuni dei quali in questi giorni stanno facendo discutere in Israele e tra i palestinesi. Uno dei più sorprendenti riguarda un’area tradizionalmente conosciuta come il Triangolo di Galilea (o semplicemente “il Triangolo”), una regione d’Israele al confine con la Cisgiordania abitata da una forte maggioranza di circa 300.000 arabi israeliani. Il piano Trump “contempla la possibilità, previo accordo delle parti, che i confini di Israele vengano ridisegnati in modo tale che le comunità del Triangolo divengano parte dello stato di Palestina”. In altre parole, nessuno verrebbe sfrattato ma il confine di Israele verrebbe spostato in modo da escludere il Triangolo, che verrebbe così a far parte dell’odierna Autorità Palestinese e (forse) del futuro stato di Palestina.

Quella di spostare il confine non è certo un’idea nuova, giacché è già stata avanzata da diversi primi ministri israeliani, tra cui Ariel Sharon nel febbraio 2004, Ehud Olmert nell’ottobre 2007 e Benjamin Netanyahu nel gennaio 2014. Ne parlò anche l’allora ministro della difesa Avigdor Liberman nel settembre il 2016. L’ipotesi appare come un modo piuttosto elegante e vantaggioso per tutti di risolvere un problema che angustia entrambe le parti: gli israeliani vorrebbero meno arabi palestinesi all’interno del loro paese, gli arabi palestinesi vorrebbero vivere in una Palestina indipendente. In realtà, invece, è una soluzione che comporta un sacco di complicazioni. Due spiccano in modo particolare.

Innanzitutto, la stragrande maggioranza dei residenti nel Triangolo preferisce rimanere all’interno di Israele come dimostra, da oltre 15 anni, una massiccia quantità di riscontri, di dichiarazioni di politici arabi locali e nazionali, di ricerche e sondaggi. Alcuni di loro sottolineano che considerano Israele la loro casa, altri evidenziano le condizioni di vita nettamente migliori in Israele rispetto a quelle nell’Autorità Palestinese povera, corrotta e autoritaria.

Le principali località arabo-israeliane del cosiddetto Triangolo, vicine alla ex linea armistiziale fra Israele e Giordania (clicca per ingrandire)

Ad esempio, il sindaco islamista di Umm el-Fahm, la più popolosa città musulmana d’Israele, respinse senza mezzi termini la proposta di Sharon: “La democrazia e la giustizia in Israele – disse – sono migliori della democrazia e della giustizia nei paesi arabi e islamici”. Ahmad Tibi, un parlamentare arabo israeliano furiosamente anti-sionista, ha definito “pericolosa e antidemocratica” l’idea di un passaggio sotto il controllo dell’Autorità Palestinese.

Nel febbraio 2004, un centro di ricerca arabo trovò che gli intervistati arabi preferivano rimanere cittadini israeliani in un rapporto di 10 contro 1. Due sondaggi del dicembre 2007 rilevarono entrambi un rapporto di 4,5 contro 1. Un sondaggio del giugno 2008 rilevò che gli arabi israeliani preferivano Israele “a qualsiasi altro paese al mondo” in un rapporto di 3,5 a 1. Un sondaggio del giugno 2012 ha riscontrato un rapporto simile alla stessa domanda, e un sondaggio del gennaio 2015 ha riscontrato un’adesione 2 contro 1, fra i cittadini arabi, persino alla frase “sono fiero di essere israeliano”.

Non sono ancora stati fatti sondaggi dopo la presentazione del piano Trump ma Ayman Odeh, leader della Lista (araba) Congiunta, si è affrettato a proclamare in tono di sfida: “Nessuno ci priverà della cittadinanza della patria dove siamo nati”. I sindaci di tre città arabe espressamente menzionate nel piano hanno stroncato l’idea di essere inclusi nella futura Palestina indipendente, e nelle città arabe sono già state inscenate varie manifestazioni di protesta. Anche la reazione dei mass-media arabo-israeliani è unanimemente contraria all’idea. A quanto pare, le opinioni degli arabi israeliana sono tanto inequivocabili quanto paradossali.

In occasione della Giornata della Nakba, manifestazione di arabi israeliani contro la nascita dello stato di Israele

Un secondo problema nasce dal fatto che, qualora la prospettiva di uno spostamento del confine diventasse reale, gli arabi israeliani eserciterebbero il loro pieno diritto in quanto cittadini israeliani di partire dal Triangolo per andare a vivere in una regione non destinata a passare sotto le amorevoli cure di Abu Mazen & Co. E’ una cosa in parte già accaduta a Gerusalemme dove, per evitare di svegliarsi una mattina e ritrovarsi in Palestina, un numero considerevole di residenti arabi ha traslocato in aree prevalentemente ebraiche come French Hill e Pisgat Ze’ev (per inciso, aree che l’Autorità Palestinese considera “insediamenti illegali israeliani”). Lo stimato giornalista Khaled Abu Toameh, che abita in uno di questi “insediamenti ebraici”, ama definirsi scherzosamente un “colono arabo”. Un movimento analogo sta avvenendo nel Triangolo. Riferisce Jalal Bana: “Quasi del tutto sotto i radar, si verifica un fenomeno interessante che vede molti residenti del Triangolo acquistare immobili nelle città ebraiche. Alcuni vi si sono anche trasferiti. Adesso questa tendenza potrebbe davvero prendere piede: le giovani coppie preferiranno acquistare appartamenti in luoghi come Harish e Netanya e andare a viverci”.

Dunque il passaggio del Triangolo di Galilea dal controllo israeliano a quello palestinese, per quanto possa sembrare una semplice ed elegante soluzione del tipo win-win, purtroppo in realtà non è possibile. E il governo israeliano sembra averla già respinta. Naturalmente, tutta questa tematica trabocca di paradossale ironia. Gli arabi israeliani, che spesso e volentieri coprono di denigrazione e disprezzo lo stato ebraico e celebrano come eroi gli assassini di bambini ebrei (segnatamente gli estremisti che fungono da loro rappresentanti in parlamento), sono gli stessi che sperano disperatamente di rimanere al interno dello stato ebraico piuttosto che far parte della Palestina. Chissà che lo spavento che si sono presi in questi giorni non li renda appena un po’ più moderati e meno ipocriti.

(Da: Jerusalem Post, 4.2.19)