Se i mass-media ogni tanto ricordassero gli ostacoli alla pace causati dai palestinesi

Anche l'Associated Press si è adeguata ai dettami del giornalismo militante anti-israeliano propugnati da un’imbarazzante “lettera aperta ai colleghi” diffusa il mese scorso

Di Tamar Sternthal

Tamar Sternthal, autrice di questo articolo

L’Associated Press, una delle maggiori agenzie di stampa la cui missione dichiarata è “promuovere la forza dei fatti” con “un giornalismo di livello mondiale”, lunedì scorso sembrava essersi improvvisamente ispirata a una lettera aperta firmata a giugno da centinaia di giornalisti schierati contro l’etica del giornalismo.

I firmatari della lettera sostengono che la cronaca dei fatti deve essere sostituta da un programma di parte e anti-israeliano, fondato sul falso assunto che Israele sia uno stato criminale e di apartheid e i palestinesi irreprensibili vittime dell’oppressione israeliana (“Da giornalisti a giornalisti: perché i reportage sulla Palestina devono cambiare”). “Abbiamo tradito il nostro pubblico – accusa la lettera dei paladini della nuova verità giornalistica – con una narrazione che oscura gli aspetti più fondamentali della storia: l’occupazione militare d’Israele e il suo sistema di apartheid. Chiediamo ai giornalisti di dire la verità completa e contestualizzata, senza paura o favoritismi, ammettendo che mettere in ombra l’oppressione israeliana dei palestinesi tradisce gli standard di obiettività del nostro lavoro”. La “verità contestualizzata”, ovviamente, sarebbe l’occupazione militare e la presunta natura da apartheid di Israele.

L’Associated Press si è rapidamente adeguata all’appello, decidendo di inquadrare le informazioni attraverso il prisma dell’occupazione militare e di scartare fatti scomodi che non tornano utili alla causa del “popolo palestinese”, per dirla con gli autori della lettera ai giornalisti. Si legge infatti nelle righe conclusive di un reportage AP per il resto corretto e obiettivo, firmato lunedì 28 giugno da Laurie Kellman, Matthew Lee ed Ellen Knickmeyer (“Blinken e Lapid si incontrano a Roma nel mezzo di un reset delle relazioni USA-Israele“):

“Biden si è mosso per capovolgere le politiche di Trump sostenute da Netanyahu che hanno alienato i palestinesi, e l’amministrazione ha affermato che israeliani e palestinesi devono godere di eguali misure di sicurezza e prosperità.
Ma gli Stati Uniti devono ancora spiegare come intendono realizzare questo obiettivo senza porre fine all’occupazione militare israeliana della Cisgiordania, al suo blocco su Gaza governata da Hamas e alle politiche discriminatorie a Gerusalemme che hanno alimentato una primavera di disordini”.

Siamo qui di fronte a una formulazione totalmente faziosa. Essa infatti ignora completamente i seguenti ostacoli alla sicurezza e alla pace:

“Dal fiume al mare”, lo slogan per la distruzione di Israele. Sulla maglietta, la mappa dell’obiettivo: cancellare dalla carta geografica l’unico stato ebraico, nato nel 1948

– la rivendicazione palestinese del cosiddetto “diritto al ritorno” dei profughi e dei loro milioni di discendenti, che tutti gli osservatori obiettivi interpretano come una precisa minaccia all’esistenza dell’unico stato ebraico;

– il rifiuto palestinese di Israele come stato ebraico e il conseguente rifiuto palestinese, una dopo l’altra, di tutte le offerte di compromesso per uno stato palestinese accanto a Israele;

– la negazione palestinese di qualsiasi legame storico ebraico con la terra, ivi compreso il luogo più sacro dell’ebraismo a Gerusalemme;

– la martellante istigazione sostenuta dalle autorità di governo palestinesi, che celebrano e fomentano la violenza contro civili israeliani;

– il perdurante pagamento da parte dell’Autorità Palestinese di stipendi e vitalizi a favore dei terroristi e delle loro famiglie;

– gli investimenti palestinesi in strutture terroristiche come razzi e tunnel a scapito degli investimenti a beneficio della loro popolazione civile;

– i ripetuti lanci di razzi palestinesi sui civili israeliani e gli attacchi incendiari sul sud di Israele;

– i programmi e testi scolastici palestinesi che inculcano nelle nuove generazioni la convinzione che l’unica soluzione “giusta” sia cancellare Israele dalla carta geografica;

– i campi estivi organizzati da Hamas dove si indottrinano intere generazioni di ragazzini ad ammirare e imitare gli attentatori suicidi e altri terroristi.

E si potrebbe continuare. Tutti questi fatti rappresentano altrettanti formidabili ostacoli posti dai palestinesi a qualunque soluzione del conflitto. Ognuno di questi fatti contraddice e smonta la “verità completa e contestualizzata” per come la intendono i paladini del giornalismo di parte che hanno firmato la lettera aperta ai mass-media, tra i quali anche un anonimo reporter della Associated Press. Per questo, ognuno di questi fatti – secondo loro – non deve trovare spazio nei reportage “giornalistici” pubblicati in nome della narrazione palestinese.

(Da: jns.org, 30.6.21)