Se Israele è l’eterno nemico

Accettare la narrazione iper-semplicistica palestinese significa sostenere che Israele è un crimine in se stesso, e chiudere gli occhi su tutto il resto

Di Marc Goldberg

Marc Goldberg, autore di questo articolo

Marc Goldberg, autore di questo articolo

Nei minuti in cui state leggendo questo articolo delle persone vengono uccise in Siria. Nello stesso momento in cui il regime di Assad sta schiacciando la resistenza ad Aleppo e si consuma una delle peggiori crisi civili dalla seconda guerra mondiale, il tema più discusso nei campus universitari del mondo occidentale rimane la questione israelo-palestinese. Un conflitto fra opposte narrazioni.

Conosco bene la versione palestinese. So che è una narrazione iper-semplicistica che suona più o meno così: un giorno arrivarono gli ebrei che cacciarono via i palestinesi e ora li opprimono sulla terra che hanno rubato loro e, quel che è peggio, hanno la sfacciataggine di dire che quella terra è il loro paese.

Credere a questa narrazione significa credere nella colpa intrinseca dello stato d’Israele. Anche i paesi in cui libertà e democrazia non sono mai esistite, anche quelli in cui le minoranze vengono sistematicamente perseguitate, dove le persone vengono sommariamente giustiziate in pubblico, anche i paesi i cui conflitti hanno causato e continuano a causare un numero di vittime e distruzioni infinitamente più alto del conflitto arabo-israeliano, tutti questi paesi sono più accettabili di Israele. Perché le loro guerre potrebbero finire, i loro governi dispotici e sanguinari potrebbero cadere, le loro politiche retrograde potrebbero cambiare. Non è così per Israele. La narrazione palestinese sostiene che l’esistenza stessa di Israele è un crimine, frutto di pulizia etnica, spargimenti di sangue e razzismo. Perché tutto vada a posto nel mondo, Israele in quanto tale deve scomparire.

Celebrando ogni anno all’Onu la “Giornata di Solidarietà col Popolo Palestinese” proprio il 29 novembre (giorno in cui l’Onu approvò la spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno arabo e uno ebraico) i palestinesi ribadiscono il loro rifiuto dell’esistenza di Israele, come confermano tutte le mappe della loro propaganda

La narrazione palestinese, se la si accetta, significa che tutta la Palestina doveva diventare un unico stato arabo affrancato dal dominio coloniale, come gli altri stati insieme ai quali avrebbe celebrato il conseguimento dell’indipendenza. In questo contesto, tutti gli interrogativi su democrazia, guerra e pace, diritti delle minoranze, sviluppo economico e sociale diventano insignificanti: sono tutte cose (teoricamente) temporanee, mentre l’esistenza di un paese viene vista come un dato permanente e definitivo, ed è per questo che è così importante condurre una perpetua campagna contro Israele indipendentemente da tutto quello che succede nel mondo. Poco importa se in Siria infuria una guerra civile devastante: prima o poi finirà e in qualche modo tutto si aggiusterà. Ma nulla può aggiustarsi per i palestinesi finché esiste Israele.

Ma questa non è l’unica narrazione. Non potendone più d’essere costretti nei ghetti, d’essere additati al disprezzo e all’odio dei loro concittadini, d’essere usati come capro espiatorio per qualunque male, gli ebrei riacquistarono la propria dignità reclamando il diritto alla loro patria ancestrale, dove sono nati come popolo, dove non hanno mai smesso del tutto di abitare, dove hanno sempre sperato di poter tornare. In un mondo che li aveva traditi e abbandonati più e più volte, gli ebrei si resero conto che potevano contare solo su se stessi, che dovevano prendere nelle loro mani il loro destino. E così ricostruirono il loro stato, riscattando un paese sottosviluppato e semi-abbandonato, e si guadagnarono la libertà che difesero da attacchi letali. Grazie all’autodeterminazione nazionale, gli ebrei non vivono più alla mercé del potere altrui, tirannico o democratico; non vivono più nel timore d’essere prelevati nel mezzo della notte per essere portati in un lager o in gulag. Con il loro esercito che li difende, noi devono più temere d’essere di nuovo soggiogati; con la loro voce tra le nazioni del mondo non devono più temere di restare di nuovo inascoltati, di poter essere di nuovo perseguitati o assassinati mentre il mondo sostiene di non sapere niente, di non poter fare nulla.

In questo scontro fra narrazioni ogni fatto, ogni missile, ogni bomba, ogni posto di blocco, persino ogni dichiarazione diventa semplicemente un’occasione per sostenere la stessa narrazione. E così arriviamo al punto in cui una serie di incendi che hanno imperversato nel paese mettendo in pericolo allo stesso modo cittadini ebrei e arabi e l’habitat in cui vivono, diventa solo un ennesimo pretesto per proclamare che Israele non dovrebbe esistere. E la Siria viene totalmente dimenticata quando un giovane soldato israeliano in visita ad un campus universitario di Londra diventa il fulcro di un’enorme manifestazione anti-israeliana che non ha niente a che fare con il miglioramento della condizione dei palestinesi che vivono in Cisgiordania e Gaza, e ha tutto a che fare con la volontà di imporre la narrazione iper-semplicistica per la cancellazione di Israele.

Pensateci, la prossima volta che vedete in tv la devastazione di Aleppo e gli studenti in un campus che gridano: “Palestina libera dal fiume al mare”.

(Da: Times of Israel, 1.12.16)

Manifestazione anti-israeliana a Washington. Sul cartello a sinistra: “Gaza è l’Olocausto di oggigiorno”. Sul cartello di destra: “Dal fiume [Giordano] al mare [Mediterraneo] la Palestina sarà libera”