Se la calunnia sull’apartheid israeliano si ritorce contro la politica palestinese

I continui attacchi volti a delegittimare lo stato ebraico hanno un certo successo in Occidente, ma sono andati a sbattere contro un muro nella maggior parte dei paesi arabi

Di Dan Diker

Dan Diker, autore di questo articolo

Di recente il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid ha messo in guardia dalle implicazioni “tossiche” e “velenose” della campagna globale guidata dall’Olp volta a diffamare Israele come uno “stato di apartheid”, una strategia decennale che mira ad eliminare lo stato ebraico e democratico d’Israele dipingendolo come un nuovo regime sudafricano “suprematista bianco” e che secondo Lapid potrebbe raggiungere un picco nel 2022.

Se è vero che la calunnia dell’apartheid continua a danneggiare Israele e a ferire gli ebrei della diaspora suscitando violenti attacchi antisemiti, tuttavia le manovre politiche dell’Autorità Palestinese e la sua crescente popolarità in Occidente appaiono invece fallimentari nell’Oriente arabo. La politica palestinese imperniata sull’alleanza con Turchia e Iran si è ritorta contro i più forti sponsor e sostenitori dell’Olp nella Lega Araba, mentre le mosse destabilizzanti dell’Autorità Palestinese l’hanno indebolita a livello regionale e la sua corruzione interna l’ha danneggiata all’interno.

Come ha osservato Lapid, la recente istituzione senza precedenti da parte delle Nazioni Unite di una commissione d’indagine permanente per indagare i “crimini di guerra” israeliani, con 18 dipendenti fissi e un budget annuale di 5,5 milioni di dollari, rappresenta il più recente successo dell’Olp nella sua pluridecennale campagna di “guerra totale” contro Israele. Già nell’ottobre 1961 Ahmad Shukeiry, il primo presidente dell’Olp, in un discorso tenuto all’Assemblea Generale quando era ancora ambasciatore saudita presso le Nazioni Unite definì Israele un’entità “nazista” e di “apartheid”. Successivamente il presidente dell’Olp Yasser Arafat, con il benestare sovietico e cinese, rilanciò alle Nazioni Unite la calunnia dell’apartheid israeliano nel quadro del suo famigerato discorso “pistola e ramo d’ulivo” del 1974, che avrebbe aperto la strada all’approvazione della risoluzione dell’Assemblea Generale n. 3379 del 1975 che criminalizzava il sionismo come una forma di “razzismo e di discriminazione razziale”.

Manifestazione palestinese contro la normalizzazione dei rapporti fra paesi arabi e Israele. Sui cartelli, la consueta mappa delle rivendicazioni palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica

Rapido salto in avanti al 2001: Arafat e suo nipote, l’ambasciatore dell’Autorità Palestinese all’Onu Nasser al-Kidwa, si servono della strategia di calunniare Israele come apartheid alla prima Conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro il razzismo a Durban, in Sud Africa, nell’ambito della quale il forum delle organizzazioni non governative proclama che Israele è “uno stato razzista da apartheid colpevole di crimini di guerra, atti di genocidio e pulizia etnica”. Abu Mazen continua imperterrito con la stessa narrazione nei suoi discorsi rivolti all’Occidente, come è apparso evidente nel suo video-intervento a “Durban IV” del settembre 2021.

Per ironia della sorte, l’ossessione palestinese di infangare il nome di Israele in Occidente è fallita proprio nell’Oriente arabo. Come ha sottolineato il commentatore di affari arabi Jackie Hugi, oggi Abu Mazen e Autorità Palestinese appaiono isolati e alienati tra i membri di spicco della Lega Araba. L’Autorità Palestinese ha fatto harakiri politico nel 2020, quando Abu Mazen ha condannato senza mezzi termini i firmatari arabi degli Accordi di Abramo – dapprima Emirati Arabi Uniti e Bahrain, poi Marocco e Sudan – per aver normalizzato i loro rapporti con Israele. Nel suo attacco pubblico senza precedenti contro gli alleati arabi, Abu Mazen li ha accusati di aver “pugnalato alle spalle i palestinesi e di aver tradito la moschea di al-Aqsa, Gerusalemme e la causa palestinese”. L’ira furibonda palestinese per la normalizzazione arabo-israeliana ha portato il mufti palestinese di Gerusalemme, lo sceicco Mohammed Hussein, a emettere una fatwa (sentenza religiosa islamica) che vieta ai leader degli stati arabi, o a qualsiasi musulmano che normalizzi le relazioni con Israele, di pregare nella moschea al-Aqsa di Gerusalemme.

31 agosto 2020: uno dei primi incontri via Zoom fra giovani israeliani e giovani degli Emirati Arabi Uniti

I paesi arabi hanno reagito manifestando apertamente un disprezzo senza precedenti nei confronti dell’Autorità Palestinese. L’ex capo dell’intelligence dell’Arabia Saudita, il principe Bandar bin Sultan, ha bollato l’Autorità Palestinese e la sua dirigenza come dei “falliti” e ha definito l’affronto di Abu Mazen una “violazione” e un “discorso vergognoso”. Abu Mazen ha convocato i capi dei gruppi terroristici palestinesi, inclusi i rivali storici Hamas e Jihad Islamica Palestinese, per coordinare le risposte e le azioni contro gli Accordi. Le potenze arabe hanno considerato con totale disprezzo le manovre destabilizzanti di Abu Mazen, in particolare le sue aperture nei confronti degli avversari della Lega Araba, Turchia e Iran.

Nel 2022, i paesi arabi continuano ad allentare i legami con l’Autorità Palestinese mentre rafforzano quelli con Israele. Gli Emirati Arabi Uniti hanno recentemente annunciato un investimento di 100 milioni di dollari nel settore high-tech israeliano. Il Marocco cerca la cooperazione sulla sicurezza. A quanto risulta, persino il primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibeh ha incontrato il capo del Mossad David Barnea in Giordania per discutere di normalizzazione e cooperazione in materia di sicurezza. Anche l’Arabia Saudita, che ha tacitamente dato luce verde agli Accordi di normalizzazione degli stati del Golfo, ha fatto crescenti aperture verso Israele.

La propaganda palestinese che accusa Israele di apartheid può ancora trovare sostenitori in Occidente, dove l’odio contro gli ebrei tocca nuove vette e l’ostilità preconcetta verso lo stato ebraico si atteggia a “critica politica”. Ma da una prospettiva mediorientale, la dirigenza palestinese e i suoi continui attacchi politici sono andati a sbattere contro un muro sia nell’opinione pubblica israeliana, sia nella maggior parte dei vicini arabi. L’indebolita posizione dell’Autorità Palestinese tra le potenze arabe e il suo imperniarsi sul “fronte del rifiuto” guidato da Turchia e Iran gettano un’ombra ancora più cupa sulle sue già scarse prospettive di attuabilità e indipendenza politica.

(Da: Jerusalem Post, 24.1.22)