Se la stampa semplicemente non dà le notizie

Cos’altro dovrebbero fare gli israeliani per “ingraziarsi” la bisbetica opinione pubblica occidentale?

Di Marco Paganoni

Corriere della Sera, 9 agosto 2014, pag. 15

In un editoriale sul Corriere della Sera del 14 agosto, l’ottimo Giovanni Belardelli si interroga sulla “singolare schizofrenia” di cui sembrano preda “le autorità e le opinioni pubbliche dei paesi occidentali” visto il “ritardo con cui hanno preso atto” dei crimini e dei massacri inenarrabili che si stanno consumando contro minoranze cristiane, curde e yazidi nell’Iraq conquistato dall’ISIS (i jihadisti dello “Stato Islamico in Iraq e nel Levante”). E si domanda come mai i timidi e tardivi interventi dei governi europei avvengano “senza alcuna vera spinta da parte delle loro opinioni pubbliche”. Un silenzio, aggiungiamo noi, in vistoso contrasto con l’automatica e rumorosa “mobilitazione delle coscienze” che si registrava nelle stesse settimane per il conflitto nella striscia di Gaza.

Alla ricerca di una spiegazione, proviamo a sfogliare lo stesso Corriere della Sera di pochi giorni prima. La mattina di sabato 9 agosto, due erano le principali notizie dallo scacchiere mediorientale: 1) il presidente Obama aveva dato ordine all’aviazione di intervenire contro l’ISIS; 2) Hamas, anziché rinnovare la tregua di 72 ore che Israele aveva già accettato di prolungare, aveva rotto il cessate il fuoco prima ancora che scadesse, scatenando un nuovo round di violenze. Come è stato informato il lettore del Corriere?

Corriere della Sera, 9 agosto 2014, prima pagina

La rottura della tregua da parte dei terroristi palestinesi era magistralmente nascosta in un titolo sterilizzato: “Razzi e raid, a Gaza torna la guerra”. La guerra “torna” per conto suo, come tornano la pioggia o la grandine. Ma l’occhiello chiariva subito, onde evitare che vacillassero le certezze del lettore: “Missile uccide un bambino palestinese” (notizia ovviamente di fonte Hamas, ripresa senza alcun interrogativo su attendibilità, dettagli e circostanze). Per sapere come fosse saltata una tregua già accettata da Israele, e che teoricamente avrebbe dovuto essere nel massimo interesse della popolazione di Gaza, il volenteroso lettore del Corriere doveva arrivare fino alla ventunesima riga dell’articolo, dove veniva a sapere: a) che “gli egiziani speravano di poter prolungare di altri tre giorni la tregua” (e gli israeliani cosa dicevano? Dettaglio trascurabile); b) che “la tregua non è durata un minuto di più” ed anzi “secondo gli israeliani qualche ora di meno”. Infatti “accusano i miliziani palestinesi” di aver sparato razzi prima della scadenza. A scanso d’equivoci, il Corriere tornava subito alla genericità meteorologica (“di certo i lanci sono ricominciati dopo le 8.00”), per poi puntare di nuovo il dito su un soggetto preciso (“L’esercito ha bombardato le aree nord ed est” della striscia di Gaza). Che Hamas stessa avesse annunciato con orgoglio che non avrebbe rinnovato la tregua, assumendosi la responsabilità della ripresa degli scontri, non veniva detto in nessuna parte dell’articolo (che invece non risparmiava al lettore il consueto ritornello sui ministri israeliani “oltranzisti” che sognavano “l’invasione completa” di Gaza ecc.).

Come veniva data, invece, la notizia della ripresa dei bombardamenti americani in Iraq? In prima pagina spiccavano due titoli. Il primo recitava: “Le bombe dei caccia Usa sugli estremisti islamici per evitare un genocidio”. Attenzione: le bombe hanno un obiettivo preciso (“gli estremisti islamici”): non come quelle israeliane che sono “su Gaza” e “sui palestinesi”. E hanno una precisa e nobile motivazione (“evitare un genocidio”): non come le bombe israeliane, che arrivano arbitrarie e capricciose come la pioggia e la grandine. Il secondo titolo, sempre in prima pagina, era un capolavoro: “La guerra del presidente riluttante”. Nelle pagine interne, diventava addirittura: “Il comandante riluttante non aveva scelta”. Si è mai visto un titolo del tipo: “Netanyahu riluttante non aveva altra scelta?”. Sottolineo: stiamo parlando del titolo di cronaca, non di qualche ponderata considerazione sepolta dentro a un pensoso editoriale di chissà quante colonne. Sempre nelle pagine interne, il titolo sull’ordine di Obama era ancora più categorico: “I jet bombardano i terroristi”. Attenzione: “i terroristi”. Si è mai visto un titolo sui jet israeliani che bombardano “i terroristi”? Eppure Hamas è ufficialmente definita un’organizzazione terrorista non solo da Israele, ma anche da Stati Uniti, Canada, Australia, Egitto, Giappone. E dall’Unione Europea, dunque anche dall’Italia.

Corriere della Sera, 9 agosto 2014, pag. 13

Spesso si accusa Israele di non preoccuparsi abbastanza della propria immagine nell’opinione pubblica occidentale. In genere gli israeliani rispondono con l’inoppugnabile frase di Golda Meir “meglio essere antipatici e vivi, che molto simpatici ma morti”. Ma in ogni caso, come potrebbero non risultare “antipatici”, gli israeliani, se l’opinione pubblica semplicemente non viene informata? Se ad esempio – come abbiamo visto – non viene informata dal Corriere che Israele rispetta e rinnova le tregue mentre Hamas le viola e le affossa; e non viene informata che il “riluttante” governo Netanyahu ha incassato centinaia di lanci di razzi in pochi giorni prima di decidersi ad avviare l’operazione “Margine protettivo”. E l’elenco potrebbe continuare a lungo come sanno bene i lettori di informazionecorretta e di israele.net.

La mattina del 30 luglio, a Gaza, tre soldati israeliani sono morti nell’esplosione di un ordigno piazzato all’interno di un ambulatorio dell’Unrwa (l’agenzia Onu per i profughi palestinesi). Le forze israeliane sapevano che dentro quell’edificio era celato l’ingresso a uno dei tunnel usati per infiltrare terroristi all’interno di Israele, ma anziché bombardarlo come avrebbe fatto qualunque altro esercito al mondo, e certamente qualunque altro esercito mediorientale, avevano deciso di risparmiare l’edificio e di esplorarlo con le truppe sul campo proprio perché contrassegnato come sito sensibile Unrwa. “Quando i nostri sono entrati – ha spiegato ai giornalisti Micky Edelstein, comandante della Divisione Gaza delle forze israeliane – i terroristi da dentro quel tunnel hanno attivato l’ordigno facendo saltare metà ambulatorio, che è crollato sui soldati”. In altri termini, i tre soldati Matan Gotlib, 21 anni di Rishon Lezion, Omer Chai, 21 anni di Savion, e Guy Algranati, 20 anni di Tel Aviv, hanno perso la vita – ripeto: la vita – per lo scrupolo delle forze israeliane di non bombardare un obiettivo civile, cinicamente usato da terroristi spietati e senza scrupoli. Domanda: cos’altro dovrebbero fare gli israeliani per “ingraziarsi” la bisbetica opinione pubblica occidentale? E comunque a che servirebbe, se notizie come questa semplicemente non arrivano all’opinione pubblica occidentale? E a che serve farle arrivare, se il riflesso pavloviano anti-israeliano scatta in ogni caso, anche di fronte a dimostrazioni, documenti, testimonianze?

“Benché centinaia di migliaia di persone vengano barbaramente massacrate in Siria, Iraq, Libia, Africa orientale e altrove – ha scritto Shimon Ohayon su Times of Israel (3.8.14) – non si vedono manifestazioni di piazza nelle città occidentali, titoli indignati sui mass-media internazionali, editorialisti e social network scatenati, convocazioni d’urgenza di organismi internazionali, petizioni e appelli. L’indignazione scatta solo quando sono coinvolti gli ebrei. Se non si può incolpare in qualche modo gli ebrei, ecco che queste decine di migliaia di campioni della pace e dei diritti umani svaniscono nel nulla, non potendogliene importare di meno di sprecare tempo e fiato per i massacri in Siria, lo sterminio dei cristiani a Mosul, le conversioni forzate, lo stupro delle studentesse nigeriane e così via. Niente ebrei, niente sdegno: questo è il riflesso condizionato. E se non volete chiamarlo antisemitismo, chiamatelo come volete: la sostanza non cambia”.

(Da: informazionecorretta.com, 18.8.14)

I tre soldati israeliani morti per evitare danni ai civili palestinesi